17 aprile alla “10 ore di calcio per Alessandro”, una maratona calcistica ha l’obiettivo di raccogliere risorse da destinare al “fondo Alessandr


ROMA - L’appello di una madre coraggiosa che dall’Anagnina chiama a raccolta Roma per aiutare il figlio affetto da una grave forma di distrofia muscolare. L’appuntamento è per il 17 aprile alla “10 ore di calcio per Alessandro”, una maratona calcistica che ha l’obiettivo di raccogliere risorse da destinare al “fondo Alessandro Cannella”, un bambino di due anni aggredito dalla distrofia muscolare di Duchenne e Becker, una malattia degenerativa dei muscoli che colpisce in età infantile e per la quale non è ancora stata trovata una cura. E’ proprio questa la ragione che ha indotto la madre di Alessandro, Ilaria Baldi, ad organizzare l’evento e ad attivare il fondo presso il Parent project onlus, l’associazione che riunisce i genitori dei bambini affetti dalla distrofia di Duchenne.

La maratona. La quota d’ iscrizione all’evento, che si svolgerà a Roma dalle 14 alle 24 sui campi della Polisportiva Quadraro Cinecittà di Roma e dell’Uln Consalvo (in via del Quadraro), è di cinque euro a persona: il denaro raccolto servirà a sostenere progetti di ricerca dedicati alle mutazioni genetiche meno comuni. «Ogni partita durerà un’ora – dice Ilaria - possono partecipare tutti, dai bambini di otto anni alle persone anziane, singoli o squadre già formate, comprese le donne, ovviamente». Per iscriversi è sufficiente una telefonata alla segreteria della Polisportiva Quadraro (chiamare lo 06.45420549) e a quella della Consalvo (06.76960718).

La Duchenne. Ma la maratona calcistica, è solo uno degli eventi che sta mettendo in campo Ilaria, 32 anni, per cercare di aiutare il figlio, «per non gettare al vento quell’unica speranza di guarigione su un miliardo - spiega la madre – e perché Alessandro, un giorno, non debba rimproverarmi di non aver fatto abbastanza». La sindrome di Duchenne colpisce essenzialmente i bambini di sesso maschile, la causa è l’alterazione di un gene sul cromosoma X che impedisce la produzione di Distrofina, una sostanza del tessuto connettivo la cui assenza produce un effetto a catena nell’organismo, fino alla completa distruzione delle fibre muscolari, che si raggiunge intorno ai 30 anni. Ne è affetto un bambino ogni 3.500 nuovi nati, e secondo le stime diffuse dal Parent project, in Italia si conterebbero cinquemila casi, anche se non si tratta di stime ufficiali, a causa della mancanza di una base di dati in materia.

La storia di Alessandro. Tutto è iniziato nel marzo dello scorso anno. Alessandro, che allora aveva 18 mesi, «stava male, aveva la febbre alta – ricorda Ilaria – così con mio marito l’abbiamo portato al pronto soccorso, gli abbiamo fatto fare le analisi del sangue, da cui è subito risultato avere le transaminasi molto alte». Poi la febbre gli è passata, «ma i livelli delle transaminasi non scendevano. Abbiamo continuato con i controlli, e gli è stata fatta un’ecografia del fegato che non ha riscontrato anomalie. Finché il gastroenterologo dell’Umberto I, che lo aveva in cura per una banale stipsi – aggiunge Ilaria - non ha avuto l’intuizione di inserire tra i valori delle analisi anche il Cpk», un enzima che normalmente è presente solo nel muscolo, ma che viene rintracciato nel sangue in caso di danno muscolare. «Alessandro aveva il Cpk 130 volte più alto del normale», ammette Ilaria. Così il bambino è stato subito ricoverato al Gemelli: «Il 27 maggio – racconta la madre - la pediatra ha disposto una biopsia muscolare, e il primo giugno è stata formulata la diagnosi esatta: distrofia muscolare di Duchenne».

La vita stravolta in una manciata di giorni. Una notizia che in pochi giorni ha stravolto completamente la vita di Ilaria e di suo marito Massimo, 36 anni. Lei, laureata in Scienze politiche alla Luiss, dopo un paio di mesi dalla diagnosi ha deciso di chiudere l’azienda di famiglia per dedicarsi completamente alla cura del figlio. «Stavo per prendere le redini della società aperta da mio padre – confida Ilaria - ci occupavamo di reperire il personale da impiegare nei cantieri petrolchimici e nelle raffinerie in Italia e nel mondo. Facevo una bella vita: ho viaggiato ovunque – prosegue Ilaria – a casa avevamo la domestica e partivamo spesso per le vacanze. Ma ho deciso di chiudere tutto e di mettermi a fare la segretaria per avere almeno la metà delle giornata libera da dedicare ad Alessandro». Mentre parla Ilaria, ti guarda dritto negli occhi, e con la voce ferma spiega che: «Si, è vero, quando scopri una cosa del genere cadi in un baratro, ti disperi, prendi coscienza del fatto che non ti abituerai mai al destino di tuo figlio, però hai il dovere di reagire. Perché Alessandro – conclude Ilaria – nonostante tutto merita di vivere in una famiglia felice».
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