In un paese lontano della Francia, viveva nel suo splendido castello un giovane principe. Era viziato ed egoista. Durante una fredda notte d'inverno una vecchia mendicante si presentò al castello e chiese al giovane riparo dal freddo. La vecchia offrì al principe una rosa, ma lui la cacciò. Lei, allora, si trasformò in una bella fata e per punizione gettò un incantesimo sul castello trasformando il principe in una orribile bestia. solo se fosse riuscito a farsi amare prima che la rosa incantata sfiorisse, sarebbe tornato uomo. In un villaggio vicino viveva Belle, tutti credevano che fosse una ragazza strana perchè amava tanto leggere e, quando aveva un libro in mano non si accorgeva neppure di Gaston, l'idolo di tutte le ragazze. Egli pensava che Belle fosse la ragazza più carina del paese, perciò aveva deciso di sposarla senza aver nemmeno chiesto il suo parere tanto era convinto che nessuna potesse resistergli; la ragazza, però, lo trovava terribilmente noioso. Il padre di Belle, Maurice, era un inventore, e quel giorno stava sperimentando una curiosa macchina spaccalegna da presentare a una fiera. "Funziona!" gridò, quando lo strano marchingegno si mise in moto. Maurice, partì per la fiera convinto di poter vincere il primo premio e diventare famoso. Belle era felice: se il padre avesse avuto fortuna, forse la loro vita sarebbe cambiata. A lei non piaceva stare in quel paesino, sognava qualcosa di diverso. Ben presto, Maurice si accorse di aver sbagliato strada. "Andiamo di qua, Philippe,"disse l'inventore rivolto al cavallo,ed entrò nel bosco. Ad un tratto degli ululati minacciosi spaventarono Philippe, che fece cadere il suo padrone e scappò. Erano lupi! Inseguito dalle belve, anche Maurice fuggì e arrivò davanti a un cancello altissimo. Lo spinse e riuscì ad aprirlo mettendosi in salvo. In fondo al viale vide un castello. Sembrava abbandonato e aveva un aspetto pauroso. Ma la notte era fredda ed era scoppiato un temporale, perciò l'uomo decise di entrare. "C'è nessuno?" chiese. "Certamente,lei è il benvenuto!" disse una voce. "Chi ha parlato?" esclamò Maurice, afferrando un candeliere. "Sono qui!" rispose... il candeliere. Incredibile, quell'oggetto parlava e si muoveva! E così pure Tockins, l'orologio: "Sai che succederà se il padrone lo trova qui?" Già, quello era proprio il castello in cui viveva la Bestia. Da quando la fata gli aveva fatto l'incantesimo, si vergognava del suo aspetto e aveva ordinato che nessuno potesse vederlo. Così non appena si accorse di Maurice, si infuriò: quell'uomo era venuto per curiosare. Allora sarebbe rimasto lì per sempre! Intanto Belle era alle prese con Gaston. Era entrato in casa sua e le stava proponendo di sposarlo! Che idea! La ragazza mandò via quel maleducato, aveva alto per la testa: sogni, avventure... Quando, però, Philippe tornò a casa da solo, i sogni di Belle svanirono in un soffio. La ragazza capì che doveva essere successo qualcosa di brutto: "Dov'è papà?" chiese agitata. Philippe non poteva rispondere, ma... poteva portarla da lui! Arrivarono al castello. Belle si stupì: com'era possibile che suo padre fosse arrivato fin laggiù? Appena varcato il cancello trovò il cappello del padre, così con coraggio entrò nelle sale buie... Camminando lungo i corridoi, Belle arrivò dove la Bestia aveva rinchiuso Maurice. "Devi andartene subito!" cercò di spiegargli il padre, preoccupato. Troppo tardi... il mostro era già lì! "Sono venuta per mio padre. La prego, lo liberi!" supplicò Belle. Ma la Bestia non ebbe pietà: "Rimarrà dove si trova!" Generosamente la ragazza propose uno scambio. "Prenda me al suo posto!" La Bestia accettò a patto che Belle rimanesse al castello per sempre. "La prego, risparmi mia figlia!" continuava a chiedere Maurice, mentre la Bestia lo trascinava via. Tutto inutile: il padrone del castello non lo ascoltava, e l'inventore fu costretto a ripartire da solo, su una carrozza stregata. Tornato al villaggio, Maurice corse alla taverna per chiedere aiuto, ma nessuno dei presenti, nemmeno Gaston, volle credere alla sua storia. In quel momento al castello, la teiera Mrs. Bric, la tazzina Chicco, Tockins e gli altri oggetti animati cercavano di consolare Belle, che si sentiva molto triste. La ragazza non voleva aver niente a che fare con la Bestia. Gli oggetti, sapendo che il loro padrone, in fondo, aveva un animo sensibile, cercarono di convincerlo a comportarsi da gentiluomo: se fosse riuscito ad amarla e a farsi amare da lei, avrebbe potuto spezzare l'incantesimo! Ma quando la Bestia provò a invitarla a cena, lei rifiutò perchè non era stato per niente gentile. Solo più tardi si decise a uscire dalla sua camera per cercare qualcosa da mangiare. Gli oggetti incantati furono felicissimi di vederla entrare entrare nel salone e prepararono una tavola fantastica! Dopo la cena, Belle passeggiò nelle sale del castello, attratta dal mistero di quel luogo incantato. Arrivata all'ala ovest, ricordò che la Bestia le aveva proibito di entrarci, ma non riuscì a resistere alla curiosità. Fu così che scoprì la rosa fatata! Stava perdendo i suoi petali a uno a uno... Affascinata da quello spettacolo, non si accorse che la Bestia era lì vicino! "Perchè è venuta qui?" le chiese pieno di rabbia, proteggendo la rosa con una zampa. Belle non poteva saperlo, ma quel fiore rappresentava l'unica speranza di salvezza per la Bestia. Ancora una volta la Bestia la spaventò. Ormai la ragazza ne aveva abbastanza: balzò a cavallo di Philippe e fuggì. Tra gli alberi, però, i lupi erano sempre in agguato! Circondata da quei feroci animali aveva perso ogni speranza. Ma all'improvviso arrivò la Bestia e, lottando duramente, mise in fuga i lupi. Nello scontro la Bestia era stato ferito e ora giaceva a terra. Era il momento giusto per fuggire. Belle, però, decise di restare: lui l'aveva salvata rischiando la vita. A fatica lo caricò su Philippe e lo riportò al castello. Più tardi Belle curò le ferite della Bestia e per la prima volta i due parlarono sul serio. Sì, lei era fuggita, ma solo perchè lui l'aveva spaventata! "Grazie per avermi salvato la vita," mormorò Belle alla fine. La Bestia rimase molto colpito da quelle parole gentili. Dolcezza, buone maniere: ecco quello che a lui mancava. Ma voleva cambiare... e cambiò perchè in fondo aveva un animo nobile. Per cominciare diventò un perfetto padrone di casa, un vero gentiluomo... e anche un ballerino fantastico! Belle si accorse del cambiamento, mentre la Bestia si affezionava sempre di più alla ragazza. Belle sarebbe riuscita ad amarlo? La ragazza si sentiva felice, ma le mancava suo padre. La Bestia le diede allora uno specchio magico, con il quale Belle potè vedere Maurice: era solo nel bosco ed era in pericolo! Oh, se solo avesse potuto raggiungerlo! La Bestia era innamorato di Belle; la rosa stava sfiorendo, ma la felicità della ragazza contava più di ogni altra cosa. Le donò lo specchio magico e la lasciò andare. Belle ritrovò il padre nel bosco. Era venuto da solo a salvarla, ma il freddo l'aveva indebolito. La ragazza lo riportò a casa, e qui Maurice si riprese in fretta. La felicità, però, durò poco... Gli abitanti del villaggio, guidati da Gaston, arrivarono per portare Maurice in manicomio, dicendo che aveva perso la testa: parlava di castelli, di bestie... In realtà si trattava di una perfida idea di Gaston, il quale avrebbe fatto liberare Maurice solo se Belle lo avesse sposato. La ragazza sapeva che Maurice aveva detto la verità! La Bestia esisteva davvero e lei poteva dimostrarlo, grazie allo specchio magico. Quando gli uomini videro il padrone del castello ne ebbero paura, allora Belle cercò di spiegare che non era affatto malvagio. Gaston si accorse che la ragazza si era affezionata a quella strana creatura e ne fu geloso. Subito convinse gli abitanti del villaggio che la Bestia era un pericolo per tutti loro. Gli uomini, guidati da Gaston, partirono per il castello decisi ad attaccare la Bestia. Usando il tronco di un albero, riuscirono a sfondare il portone del castello. La battaglia stava per cominciare... Gli oggetti animati difesero il castello con tutte le loro forze. Intanto Gaston cercava la Bestia nelle sale e nei corridoi. E presto lo trovò: pieno di tristezza per la partenza di Belle, sembrava non preoccuparsi minimamente di quello che stava succedendo. Quando Gaston tese l'arco, non si mosse, e quando fu colpito non reagì. Gaston spinse la Bestia sul terrazzo del castello, ma lui ancora non si difendeva. All'improvviso Belle entrò a cavallo nel cortile sotto di loro. Era tornata! Nel vedere la ragazza la Bestia sentì rinascere la speranza e cominciò a lottare. Anche se adesso aveva una gran paura Gaston non smetteva di stuzzicare il suo rivale: "Sei innamorato di lei, Bestia? Pensavi davvero che avrebbe voluto te, quando poteva avere uno come me?" Belle intanto stava salendo di corsa le scale del castello... Durante la lotta, la Bestia aveva afferrato Gaston per il collo. Questi lo supplicava di lasciarlo andare: "Farò qualunque cosa!" "Vattene!" rispose allora la Bestia, appoggiandolo sul cornicione. Belle era già sul terrazzo: "Sono qui!" gridò felice. La Bestia si arrampicò accanto lei, fu allora che Gaston lo colpì alle spalle! La sua malvagità fu punita: tentando di colpire ancora la Bestia, perse l'equilibrio e precipitò nel vuoto. Era finita per lui. Sul terrazzo, Belle era disperata: la Bestia era ferito molto gravemente. "Non lasciarmi, io ti amo!" disse piangendo. E prima che la Bestia chiudesse gli occhi per sempre, la rosa fatata perse l'ultimo petalo. In quel momento luci magiche cominciarono a scendere dal cielo... Una pioggia di scintille cadeva sul corpo della Bestia, che fu sollevato nell'aria. Belle non lo sapeva, ma l'incantesimo si era spezzato. L'amore aveva vinto! Si, la Bestia era riuscita ad amare e a farsi amare prima che la rosa sfiorisse... e così tornò ad essere un principe. Lei, che era innamorata della Bestia, per un attimo non capì. Ma poi vide negli occhi del giovane la stessa dolcezza che aveva conquistato il suo cuore e finalmente lo riconobbe. Subito dopo anche gli altri abitanti del castello furono liberati dall'incantesimo. Quel giorno, sotto lo sguardo commosso di papà Maurice, Belle e il principe danzarono a lungo. La gioia ormai era di casa nel castello e non se ne sarebbe andata più.
Avvicinatevi, amici miei, venite ad ammirare la mia mercanzia, la più bella e conveniente che potrete trovare qui ad Agrabah, la perla d'Oriente, la città del mistero e degli incantesimi! Che ne dite di questa lampada? Il suo aspetto è dei più comuni, eppure un giorno cambiò il destino di un giovane. Molti, prima di lui, l'avevano cercata invano. Come Jafar, il potente consigliere del sultano di Agrabah, che pure una notte riuscì a trovare, con l'aiuto di uno scarabeo magico, l'ingresso della Caverna delle meraviglie nella quale, fra montagne di pietre preziose, monili, opere d'arte d'inestimabile valore, si celava la lampada. Ma, ahimè, come disse la Dea Tigre, il grande simulacro di pietra a guardia dell'antro: "Solo uno potrà entrare qui, uno i cui stracci nascondono un cuore puro come un diamante allo stato grezzo!" E quella notte, sotto le stelle indifferenti, mentre la Dea Tigre sprofondò di nuovo nella sabbia del deserto, Jafar giurò a se stesso che avrebbe trovato quel diamante grezzo... Giovane, aitante e poverissimo, quando le donne del mercato di Sgrabah lo vedono passare, non possono fare a meno di sorridergli; lui, Aladdin ha sempre un saluto, una parola scherzosa. Solo il fornaio si arrabbia quando il giovane fugge via dopo aver... "prelevato" dal banco una bella pagnotta. E qualche volta Aladdin se la vedrebbe brutta se non lo aiutasse Abù, la sua scimmietta. Ma, insomma, bisogna pur mangiare, no? Si, ma vallo a spiegare alle guardie, prova a far credere loro che metà del bottino va regolarmente a chi è ancora più povero di Aladdin... "Beh, anche oggi abbiamo messo qualcosa nello stomaco. Per ora accontentiamoci!" pensa Aladdin tornando nella sua "casa" sul terrazzo di un vecchio palazzo. Niente di più che un po' di paglia in terra e una logora tenda per ripararsi dal sole... Ma la vista di lassù è bellissima: il palazzo del sultano splendente come una gemma. Quali meraviglie nasconderanno quelle Mura? Tra marmi preziosi, morbidi tappeti del palazzo, c'è lei, la bella tra le figlie del sultano, Jasmine, che continua ostinatamente a respingere tutti i pretendenti, cioè i più ricchi e nobili d'Oriente. Il povero sultano non sa davvero più che fare, per giunta non può nemmeno permettersi di alzare la voce con questa benedetta figliola, visto che il suo migliore amico è una gigantesca tigre di nome Rajah... "Eppure devi deciderti, figlia mia! - la implora il sultano - Fra tre giorni sarà il tuo compleanno e per allora, secondo la legge, dovrai sposarti! Ma Jasmine desidera si sposarsi, ma solo per amore, e più di tutto desidera uscire dal palazzo e sentirsi libera! Al povero sultano non rimane che chiedere l'aiuto di Jafar e in cambio deve cedergli il suo famoso anello con il magico diamante azzurro. Jafar era raggiante perchè il diamante magico gli permetterà finalmente di vedere il volto dell'unica persona in grado di entrare nella caverna delle meraviglie! Intanto Jasmine ha preso una decisione: uscirà dal palazzo per conoscere finalmente la vita che si svolge fuori da quella prigione dorata. Il sole è alto quando la fanciulla entra nel dedalo di viuzze del mercato di Agrabah! Dove, nel frattempo, Aladdin si è già procurato, con l'aiuto di Abù un bel cocomero per colazione. Ma... Al diavolo la colazione! Chi è mai la fanciulla davanti al banco della frutta?... Ehi, un momento, il fruttivendolo pretende di essere pagato dalla celestiale visione! Come se una dea potesse maneggiare la vile moneta (e qui Aladdin non è lontano dal vero: le principesse, si sa, non toccano mai denaro)... Con un balzo il nostro eroe raggiunge la visione e le sussurra di fingersi pazza: solo così sfuggirà all'ira del mercante. Ma torniamo per un attimo al palazzo dove Jafar, con l'inseparabile pappagallo Iago, sta compiendo il fatidico esperimento: grazie all'anello del sultano egli potrà vedere l'immagine di colui che è destinato ad entrare nella Caverna delle meraviglie! Gli appare il volto di... Aladdin! "il mio diamante grezzo! - esulta Jafar - Ma che ci fa la principessa Jasmine con lui?" I due giovani stanno vivendo attimi di quiete, rimirando il palazzo nella luce dorata del tramonto! Attimi di breve durata, infatti si stanno avvicinando le guardie inviate da Jafar per arrestare Aladdin! Invano Jasmine, tornata a palazzo, chiede a Jafar di liberare il giovane: Aladdin è accusato nientemeno che di... averla rapita! E di fronte ad un simile reato neppure il sultano può intervenire. Solo il piccolo Abù riesce a raggiungere il suo amico passando attraverso le sbarre della segreta in cui è rinchiuso. La scimmietta libera Aladdin dai ceppi, ma chi può farlo uscire di lì? "Io posso farlo"! A quella voce Aladdin sobbalza: accanto a lui c'è un vecchio cencioso che gli indica un buco nella parete. "Seguimi e sarai libero e tanto ricco da poter persino sposare la tua principessa!" Sotto quei laceri panni si nasconde - l'avrete capito - Jafar e Aladdin, abbagliato dalla prospettiva di poter chiedere la mano di Jasmine, accetta di seguirlo nel deserto. Davanti a lui la Dea Tigre riemerge dalla sabbia e spalanca le fauci mentre una voce cavernosa dice: "Non prendere nulla tranne la lampada e sarai premiato!" Aladdin si ritrova circondato da mille tesori, in cima a una ripida scalinata c'è il solo oggetto che gliè consentito avere, un'umile lampada un po' arrugginita! Chi invece non sa resistere alla tentazione è la scimmietta. Attratto da un'enorme gemma nelle mani di un idolo, Abù si avvicina, tocca la pietra e un rombo immane scuote la caverna! Il pavimento sprofonda, l'immenso tesoro precipita in un mare di lava infuocata e Aladdin finirebbe tra le fiamme con Abù se, ad interrompere il loro tragico volo, non giungesse un... tappeto magico, uno dei tanti tesori della caverna, che li solleva fino all'uscita! Qui li attende Jafar che allunga le mani verso la lampada ancora stretta in pugno da Aladdin, la afferra e lascia che il giovane ricada nello strapiombo! Poi depone per un attimo la lampada e riprende il suo naturale aspetto scoppiando in una risata di trionfo! E Aladdin? Trasportato al sicuro dal tappeto, resta per qualche istante esanime. Quando si riprende vede il musetto impertinente di Abù che gli porge la lampada: l'incorreggibile ladruncolo è riuscito a riprenderla a Jafar senza che questi se ne accorgesse!!! "Sembrerebbe un oggetto senza alcun valore... Ma, un momento, c'è scritto qualcosa..." E nell'attimo stesso in cui il giovane strofina una mano sull'iscrizione per ripulirla, la lampada... sembra animarsi, dal suo becco esce un fil di fumo e davanti agli occhi allibiti di Aladdin e Abù, appare il GENIO! Il Genio piega ad Aladdin che può soddisfare tre dei suoi desideri, qualunque essi siano, purchè non si tratti di uccidere, resuscitare i morti o far sì che qualcuna si innamori di lui! Intanto ad Agrabah, nel palazzo del sultano, Jafar pensa di sposare Jasmine " Una volta sposata la principessa, sarà un gioco da ragazzi liberarmi di lei e di quel sempliciotto del sultano e sedermi sul trono!" Anche Aladdin sta pensando a Jasmine, ma i suoi son pensieri d'amore: "Ah, se fossi degno della sua mano... Ma, perchè no? Genio, voglio che tu faccia di me un principe: aiutami e sarai libero per sempre!" Aladdin promette al Genio che come terzo desiderio chiederà che sia libero dalla schiavitù della lampada! Il Genio subito dopo soddisfa il desiderio di Aladdin trasformandolo in un ricco principe! Intanto a Palazzo Jasmine stava rifiutando tutti i pretendenti e Jafar stava leggendo al sultano (ipnotizzato) un'interminabile pergamena in cui c'era scritto che se la principessa rifiuterà tutti i pretendenti dovrà sposare il visir reale, cioè lui, JAFAR! Per fortuna un rumore proveniente dalla piazza richiama il sultano al balcone. Accidenti, mai visto un corteo così sontuoso: carovane di cammelli pieni di doni, uomini con stendardi, e infine, in groppa all'elefante, ecco il nuovo pretendente alla mano di Jasmine, ovvero Aladdin, sfarzosamente abbigliato come un vero principe, il principe Alì Abàbua! Il sultano esulta: "E' anche bello! Che sia la volta buona?" "Lasciate che veda vostra figlia e la conquisterò subito!" azzarda Aladdin-Alì. Ma a raffreddare ogni entusiasmo, ecco la gelida voce di Jasmine:" Come osate parlare così di me? Io non sono un premio da vincere!" Aladdin non se la prende troppo e raggiunge Jasmine invitandola a far con lui un volo sul tappeto magico. Inizia così per la fanciulla un'avventura indimenticabile! Che notte magica... Jasmine, che sia questo principe così bello e gentile lo sposo dei tuoi sogni? Ma, ahinoi, il dramma è in agguato. Aladdin viene legato da alcuni sgherri di Jafar e gettato in acqua! Riesce però a sfiorare la lampada ed ad esprimere il suo secondo desiderio: essere salvato! Il Genio corre subito a salvare il padroncino. A palazzo intanto, Jafar, convinto di essersi sbarazzato del rivale, torna alla carica con il sultano riproponendo la sua candidatura, ma nella sala piomba Aladdin che accusa senza mezzi termini il visir reale di aver tentanto di ucciderlo! Il sultano e Jasmine ordinano che venga arrestato e gettato nella buia cella in attesa di scontare le sue colpe. Ma, il perfido ha ancora un'arma in mano: una fiala che getta sul pavimento provocando una nube di fumo. Diradato il fumo, in mano alle guardie rimane solo un mantello. "Pazienza, lo ritroveremo presto! - esclama il saggio sultano - L'importante è che ora mia figlia abbia accettato un pretendente... Vi sposerete al più presto!" Ma il perfido Jafar non si arrende così facilmente: nella notte ruba la lampada magica nella stanza del principe Alì. Addio sogni d'amore! Ora la lampada è nelle peggiori delle mani: quelle del perfido visir! Il primo desiderio espresso da Jafar è quello di diventare lui stesso sultano di Agrabah ed il Genio è costretto ad esaudirlo. Come secondo desiderio ordina al genio di diventare il più potente mago del mondo. Detto e fatto! Jafar allora lancia una saetta col suo scettro trasformando in un innocuo micio il fedele Rajah che accorreva in aiuto di Jasmine. Infine prende di mira il principe Alì. Lo spoglia dei suoi abiti regali e lo imprigiona con Abù in una torre! Gridò poi a Jasmine:" Guarda, il tuo principe non è che Aladdin, il misero ladro che hai conosciuto al mercato! AH AH AH!" Sembrava che tutto volgesse per il meglio per Il visir... ma si era dimenticato del tappeto magico che liberò Aladdin e Abù! I due corsero in aiuto di Jasmine gridando: "Jafar, tu ora sei un grande mago, ma non sarai mai potente come un genio!" All'udir ciò Jafar esprime il suo terzo desiderio: "Voglio essere il più potente dei geni!" E così è, con Aladdin svelto a riprendersi la lampada ed a risucchiarvi dentro il suo nuovo... inquilino! Jafar è così sconfitto dall'astuto Aladdin! Gli incatesimi finiscono! Alladin pur sapendo che non avrebbe mai potuto sposare Jasmine non essendo principe, espresse il terzo desiderio: "Genio, da questo momento sei libero"! Il Genio era commosso: il suo giovane amico aveva sacrificato la propria felicità per mantenere una promessa! A risolvere tutti i problemi intervenne il sultano che cambiò la legge e permise a Jasmine ed Alladin di sposarsi! E così la nostra favola finisce bene per tutti, o quasi... Perchè, come vorreste che finisse una bella favola? :)
Benvenuti nella Terra del branco, dimora di alcuni dei più gloriosi animali dell'Africa. Io Sono Rafiki e voglio raccontarvi la storia di un leone, un leone che occupa uno spazio molto particolare nel mio cuore.Ogni mattina, quando il sole spunta all'orizzonte, un gigantesco sperone roccioso cattura i primi raggi di luce. E' la "Rupe dei Re", dimora del mio buon amico, il Re Mufasa e della sua adorata sposa la Regina Sarabi.
Una mattina, tutti gli animali provenienti da ogni angolo della Terra del Branco, si erano radunati alla Rupe del Re per onorare la nascita del loro primogenito, Simba. Io Presi parte alla cerimonia con un compito speciale. Spaccai in due una zucca, vi immersi il dito e feci un segno sulla fronte di Simba. Quindi sollevai in alto il futuro re perchè tutti potessero vederlo. Gli elefanti fecero squillare le loro proboscidi come trombe, le scimmie saltellarono su e giù e le zebre batterono con gioia i loro zoccoli sul terreno.
Non lontano dal luogo della cerimonia, in una caverna dietro la Rupe dei Re, un accigliato leone dalla nera criniera bonfonchiava:"La vita a volte è ingiusta, non è vero? io non diventerò mai re". Era Scar, il fratello di Mufasa, geloso della posizione di Simba quale futuro sucessore al trono. Pochi istanti dopo, Mufasa giunse all'ingresso della caverna." Sarabi ed io non ti abbiamo visto alla presentazione di Simba". Comparve anche Zazu, il fidato consigliere di Mufasa. "Avresti dovuto essere in prima fila". "Ero il primo della fila finchè non è nato quel micio spelacchiato". Detto questo, Scar uscì sprezzante dalla caverna. In poco tempo, Simba divenne un leoncino robusto e giocherellone.
Una mattina presto lui e Mufasa salirono sulla sommità della Rupe dei Re. Mentre osservavano il sorgere del sole, Mufasa indicò i raggi che andavano illuminando la Terra del Branco. "Guarda, Simba. Tutto ciò che è illuminato dal sole è il nostro regno". Simba percorse l'orizzonte con lo sguardo e notò in lontananza una macchia scura. "Ed i posti all' ombra, allora?" "Quelli sono oltre i nostri confini. Non ci devi mai andare, Simba". "Ma credevo che un re potesse fare ciò che vuole". "Essere re vuol dire molto di più che fare quello che vuoi. Tutto ciò che vedi coesiste grazie ad un delicato equilibrio. Come re, devi capire questo equilibrio e rispettare tutte le creature, dalla piccola formica alla saltellante antilope. Siamo tutti collegati nel grande cerchio della vita". Più tardi, rimasto solo, Simba incontrò Scar. "Ehi, zio Scar, indovina? Io sarò re della Rupe dei Re. Il mio papà mi ha appena fatto vedere il regno. E io lo comanderò tutto quanto". Scar guardò astutamente il cucciolo di leone. "Ti ha fatto vedere cosa c'è dietro l'altura del confine Nord?" "beh, lì no. Ha detto che non ci posso andare". "Una decisione assolutamente sensata. E' troppo pericoloso. Solo i leoni più coraggiosi ci possono andare. Promettimi di non andare mai in quell'orribile posto". Quando simba tornò a casa, vi trovò la sua amica Nala e la madre di lei, Serafina, venute a far visita a Sarabi. "Vieni! Ho appena saputo di un posto fantastico". Le madri diedero ai due cuccioli il permesso di uscire, a patto che con loro ci fosse anche Zazu. Simba e Nala si misero a correre per la Terra del Branco nel tentativo di distanziare il loro baby-sitter, facendosi inseguire in mezzo ai branchi di animali finchè non lo seminarono. Liberatisi di Zazu, i cuccioli cominciarono a giocare alla lotta. Nala, con una finta prese Simba alle spalle e lo atterrò. insieme ruzzolarono giù per il pendio finendo in un oscuro crepaccio pieno di teschi e ossa di elefante. "Whoa!" Simba si guardò intorno e trasalì. "Ci siamo! Ce l'abbiamo fatta!" Ma Prima che i cuccioli potessero iniziare l'esplorazione, furono raggiunti da Zazu. "Oh, Accidenti!" "Avete superato largamente i confini della Terra del Branco. Ed al momento direi che siamo tutti in grave pericolo".
D'un tratto tre iene sbucarono fuori dagli occhi di un teschio d'elefante. Spaventati, Simba, Zazu e Nala fecero un balzo indietro. Erano Banzai, il suo compare Shenzi e lo sghignazzante Ed. Banzai ridacchiò."Un trio di intrusi". Zazu cercò di portare i cuccioli in salvo, ma Banzai lo afferrò per le penne della coda e lo bloccò a terra. Le iene circondarono le loro prede leccandosi i baffi. "Che fretta c'è? Saremo molto felici di avervi a cena". Mentre le iene discutevano su chi mangiare prima, Simba, Nala e Zazu sgusciarono via quatti quatti. Ma le iene non rimasero distratte a lungo. Si misero al loro inseguimento costringendo Simba e Nala a correre a più non posso. Alla fine i cuccioli tentarono di nascondersi in mezzo ad alcune ossa d'elefante. Ma inutilmente! E proprio quando per i due sembrava essere giunta la fine, Comparve Mufasa che con una zampata mandò le tre iene zampe all'aria. "Se vi avvicinate di nuovo a mio figlio...". Le iene sgusciarono via con la coda tra le zampe e Mufasa guardò Simba. "Hai disobbedito a tuo padre. Mi hai molto deluso". Mufasa mandò a casa Nala e Zazu per poter parlare da solo con suo figlio. Simba sbirciò su verso suo padre. "Stavo solo cercando di essere coraggioso come te". "Essere coraggiosi non significa andare in cerca di guai". "Papà? Siamo amici, vero? E staremo sempre insieme. vero?" Mufasa guardò il cielo stellato. "Simba, lascia che ti dica una cosa che mio padre disse a me. Guarda le stelle. I grandi re del passato ci guardano da quelle stelle. Perciò quando ti senti solo, ricorda che quei re saranno sempre lì per guidarti. E ci sarò anch'io".
Nel frattempo le iene ricevettero la visita di Scar, che adirato emerse dal buio della loro tana. "Vi avevo consegnato quei cuccioli su un vassoio d'argento e non siete stati capaci di sistemarli a dovere". "Beh, non è che quei cuccioli fossero proprio soli, Scar". Banzai sghignazzò. "Già cosa potevamo fare, uccidere il re?" Scar lo fulminò con lo sguardo. "Esattamente". Il giorno seguente, Scar invitò Simba ad accompagnarlo nella gola. Quando vi giunsero, Scar si voltò verso il suo giovane nipote. "Ora aspetta qui. Tuo padre ha una magnifica sorpresa per te". Poco dopo averlo lasciato, Scar ordinò alle iene di lanciarsi contro un branco di gnu, per spingerlo verso Simba. Da lontano Mufasa notò il polverone sollevato dagli animali in fuga. Scar comparve al suo fianco. "La mandria è impazzita! Nella gola! Ho visto Simba laggiù!" Senza aspettare un secondo, Mufasa si lanciò in soccorso del figlio. Mufasa Balzò giù nella gola lanciandosi in una corsa forsennata contro il tempo. Trovò Simba e lo afferò, mettendolo in salvo su una vicina sporgenza rocciosa un attimo prima che il branco degli animali arrivasse a travolgerlo. Quindi venne investito dalla valanga impazzita degli gnu. Disperatamente cercò di issarsi su uno sperone roccioso sopra il quale c'era scar che lo stava guardando. "Fratello aiutami!" Scar si protese verso Mufasa, lo tirò a sè quanto bastò per sussurrargli all'orecchio: "Lunga vita al re!". Quindi lasciò la presa, facendo precipitare Mufasa verso la morte.
Simba guardò oltre la sporgenza di roccia proprio nell'attimo in cui il padre veniva travolto dagli animali in fuga. Più tardi, Scar trovò Simba che singhiozzava accucciato accanto al corpo senza vita di suo padre. "E' stato un incidente. Non l'ho fatto apposta". "Ma il re è morto. E se non fosse stato per te, sarebbe ancora vivo. Cosa penserà tua madre?" Simba singhiozzò più forte. "Cosa posso fare adesso?" "Devi scappare, Simba. Scappa lontano e non tornare mai più". Simba fece come gli venne detto, senza sapere che suo zio aveva già dato ordine alle iene di ucciderlo. Scar tornò alla Rupe dei Re per prendere possesso del trono. Nel frattempo Simba si era addentrato nella savana senza cibo né acqua . E non passò molto tempo che si accasciò esanime al suolo sotto il sole infuocato.
Mentre gli avvoltoi volteggiavano sopra la sua testa, un facocero dal grande cuore di nome Pumbaa, si avvicinò al cucciolo di leone e si rivolse al suo fidato amico Timon, una mangusta dalla parlantina facile "E' così carino, e tutto solo. Possiamo tenerlo?" "Pumbaa, ma sei impazzito? I leonei mangiano quelli come noi!" Ma Pumbaa senza dargli retta, lo prese e lo portò in salvo. Quando Simba si svegliò, il primo pensiero che lo colpì fu la morte di suo padre. Timon gl'insegnò allora l'Hakuna Matata, un motto che significa: "bando alle preoccupazioni". "Devi sempre lasciare il passato dietro di te". E questo fu esattamente ciò che fece Simba. E rimase nella giungla con Pumbaa e Timon per molto, molto tempo finchè non diventò un leone grande e grosso. Ma alla fine gli venne una gran nostalgia del branco. Una notte, mentre guardava il cielo stellato, si ricordò le parole che suo padre gli aveva detto tanto tempo prima. "I grandi re del passato ci guardano da quelle stelle. Perciò quando ti senti solo, ricordati che quei re saranno sempre lì per guidarti. E ci sarò anch'io".
Il giorno seguente, Pumbaa venne sorpreso da una leonessa. Simba accorse in suo aiuto. Ma la leonessa ebbe facilmente ragione anche di lui, atterrandolo con una finta. Fu in quel momento che Simba la riconobbe. "Nala? Che cosa ci fai qui?" "Perchè non sei tornato alla Rupe dei Re? Tu sei il re!" "Non sono io il re. Il re è Scar". "Simba, lui ha permesso alle iene d'impossessarsi della Terra del branco". "Cosa?". "Non c'é più cibo, non c'è più acqua. Se non farai qualcosa, moriranno tutti di fame. Sei la nostra unica speranza". "Non posso tornare". Simba gridò al cielo. "Avevi detto che mi saresti sempre stato vicino. Ma non è così. E' stata colpa mia!" Simba non si sentiva di sfidare Scar, così rimase nella giungla con Nala e i suoi amici. Ma io sapevo che per Simba era venuto il tempo di occupare il suo posto nel cerchio della vita e mi diressi verso la giungla. Quando Simba mi vide, rimase sorpreso. "Ma chi sei?" "La domanda è 'chi sei tu'?" "Credevo di saperlo. Ora non ne sono più tanto sicuro". "beh, io so chi sei. Sei il figlio di Mufasa. E' vivo! E te lo farò vedere. Segui il vecchio Rafiki. Lui conosce la strada". Guidai Simba fino allo specchio di una sorgente. Quando guardò nell'acqua, vide un leone. "Quello non è mio padre. E' solo la mia immagine". "No. Guarda con attenzione. Vedi, lui vive in te". Magicamente apparve lo spirito di Mufasa. "Guarda dentro te stesso, Simba. Tu sei molto più di quello che sei diventato. E devi prendere il tuo posto nel cerchio della vita". Incoraggiato dalle parole di suo padre, Simba s'incamminò verso la Rupe dei re, seguito da Nala, Pumbaa e Timon. Quella che vide arrivando era una terra arida e desolata: le iene ne avevano preso il pieno controllo. In quel momento Scar stava urlando contro la madre di Simba. Sarabi si girò verso Scar. "Dobbiamo lasciare la Rupe dei Re". "Non andiamo da nessuna parte. Io sono il re. Posso fare ciò...". "Se valessi solo la metà di quanto valeva Mufasa, non...". "IO VALGO DIECI VOLTE PIU' DI MUFASA!" Di colpo un lampo illuminò la Rupe sulla quale si stagliava Simba. Scar fece un balzo indietro. "Simba! Sono un po' sorpreso di vederti... ancora vivo". "Dammi una sola buona ragione per cui non dovrei farti a pezzi". Ma Simba fu costretto da Scar a confessare di fronte a tutti i leoni di essere stato lui a causare la morte di suo padre. Scar sogghignò. "Oh, Simba, sei di nuovo nei guai. Ma questa volta non c'è il tuo paparino a salvarti. E ora tutti quanti sanno perchè". Cadde un fulmine e appiccò il fuoco alla sterpaglia secca della Terra del branco. Simba scivolò nel pendio. Pregustando la sua fine, Scar gli confessò di essere stato lui a uccidere suo padre. Con uno sforzo immane Simba riuscì a issarsi sulla rupe e si lanciò contro Scar, mentre Nala e le altre leonesse si univano in battaglia disperdendo le iene. Senza più via di scampo, Scar supplicò suo nipote. "Simba, mi farò perdonare, te lo prometto. Come posso sdebitarmi con te?" "Vattene , vattene via, Scar e non tornare più". Scar fece per andarsene ma di colpo si voltò lanciandosi un'ultima volta contro Simba. Simba evitò l'assalto di Scar che nello slancio precipitò dalla rupe giù nella gola, dove aspettavano fameliche le iene. Zoppicando vistosamente, Simba raggiunse la sommità della Rupe dei Re e lanciò un possente ruggito mentre guardava quello che era il suo regno. Non passò molto tempo che la Terra del branco prese a rifiorire. Nala rimase al fianco di Simba e presto nacque il loro primogenito. Alla presenza di tutti i loro amici, inclusi Zazu, Pumbaa e Timon, ebbe luogo la celebrazione di una nuova vita. Dopo aver fatto un segno sulla fronte del cucciolo, lo sollevai in alto perchè tutti nel regno potessero vederlo.
Una volta, nel cuor dell'inverno, mentre i fiocchi di neve cadevano dal cielo come piume, una regina cuciva, seduta accanto a una finestra, dalla cornice d'ebano.
E così, cucendo e alzando gli occhi per guardar la neve, si punse un dito, e caddero nella neve tre gocce di sangue.
Il rosso era così bello su quel candore, ch'ella pensò:
"Avessi una bambina bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come il legno della finestra!"
Poco dopo diede alla luce una figlioletta bianca come la neve, rossa come il sangue e dai capelli neri come l'ebano; e la chiamarono Biancaneve.
E quando nacque, la regina morì.
Dopo un anno il re prese un'altra moglie; era bella, ma superba e prepotente, e non poteva sopportare che qualcuno la superasse in bellezza. Aveva uno specchio magico, e nello specchiarsi diceva:
- Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
E lo specchio rispondeva: Nel regno, Maestà, tu sei quella.
Ed ella era contenta, perché sapeva che lo specchio diceva la verità.
Ma Biancaneve cresceva, diventava sempre più bella e a sette anni era bella come la luce del giorno e ancor più della regina.
Una volta che la regina chiese allo specchio:
Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
lo specchio rispose: Regina, la più bella qui sei tu, ma Biancaneve lo è molto di più.
La regina allibì e diventò verde e gialla d'invidia.
Da quel momento la vista di Biancaneve la sconvolse, tanto ella odiava la bimba.
E invidia e superbia crebbero come le male erbe, così che ella non ebbe più pace né giorno né notte.
Allora chiamò un cacciatore e disse:
- Porta la bambina nel bosco, non la voglio più vedere. Uccidila, e mostrami i polmoni e il fegato come prova della sua morte -.
Il cacciatore obbedì e condusse la bimba lontano; ma quando estrasse il coltello per trafiggere il suo cuore innocente, ella si mise a piangere e disse:
- Ah, caro cacciatore, lasciami vivere! Correrò nella foresta selvaggia e non tornerò mai più -.
Ed era tanto bella che il cacciatore disse, impietosito:
- Và, pure, povera bambina-. "Le bestie feroci faranno presto a divorarti", pensava; ma sentiva che gli si era levato un gran peso dal cuore, a non doverla uccidere.
E siccome proprio allora arrivò di corsa un cinghialetto, lo sgozzò, gli tolse i polmoni e il fegato e li portò alla regina come prova.
Il cuoco dovette salarli e cucinarli, e la perfida li mangiò, credendo di mangiare i polmoni e il fegato di Biancaneve.
Ora la povera bambina era tutta sola nel gran bosco e aveva tanta paura che badava anche alle foglie degli alberi e non sapeva che fare.
Si mise a correre e corse sulle pietre aguzze e fra le spine; le bestie feroci le passavano accanto, ma senza farle alcun male.
Corse finché le ressero le gambe; era quasi sera, quando vide una casettina ed entrò per riposarsi.
Nella casetta tutto era piccino, ma lindo e leggiadro oltre ogni dire.
C'era una tavola apparecchiata con sette piattini: ogni piattino col suo cucchiaino, e sette coltellini, sette forchettine e sette bicchierini.
Lungo la parete, l'uno accanto all'altro, c'eran sette lettini, coperti di candide lenzuola.
Biancaneve aveva tanta fame e tanta sete, che mangiò un po' di verdura con pane da ogni piattino, e bevve una goccia di vino da ogni bicchierino, perché non voleva portar via tutto a uno solo.
Poi era così stanca che si sdraiò in un lettino ma non ce n'era uno che andasse bene: o troppo lungo o troppo corto, finchè il settimo fu quello giusto: ci si coricò, si raccomandò a Dio e si addormentò. A buio, arrivarono i padroni di casa: erano i sette nani, che scavavano i minerali dai monti.
Accesero le loro sette candeline e, quando la casetta fu illuminata, videro che era entrato qualcuno; perché non tutto era in ordine, come l'avevan lasciato.
Il primo disse:
- Chi si è seduto sulla mia seggiolina?-
Il secondo: - Chi ha mangiato dal mio piattino?-
Il terzo: - Chi ha preso un po' del mio panino?-
Il quarto: - Chi ha mangiato un po' della mia verdura?-
Il quinto: - Chi ha usato la mia forchettina?-
Il sesto: - Chi ha tagliato col mio coltellino?-
Il settimo: - Chi ha bevuto dal mio bicchierino?-
Poi il primo si guardò intorno, vide che il suo letto era un po' ammaccato e disse:
- Chi mi ha schiacciato il lettino?-
Gli altri accorsero e gridarono: - Anche nel mio c'è stato qualcuno -.
Ma il settimo scorse nel suo letto Biancaneve addormentata.
Chiamò gli altri, che accorsero e gridando di meraviglia presero le loro sette candeline e illuminarono Biancaneve.
– Ah, Dio mio! ah, Dio mio! – esclamarono: - Che bella bambina! –
Ed erano così felici che non la svegliarono e la lasciarono dormire nel lettino.
Il settimo nano dormì coi suoi compagni, un'ora con ciascuno; e la notte passò.
Al mattino, Biancaneve si svegliò e s'impaurì vedendo i sette nani.
Ma essi le chiesero gentilmente: - Come ti chiami?- Mi chiamo Biancaneve,- rispose. – Come sei venuta in casa nostra?- dissero ancora i nani.
Ella raccontò che la sua matrigna voleva farla uccidere, ma il cacciatore le aveva lasciato la vita ed ella aveva corso tutto il giorno, finchè aveva trovato la casina.
I nani dissero: - Se vuoi curare la nostra casa, cucinare, fare i letti, lavare, cucire e far la calza, e tener tutto in ordine e ben pulito, puoi rimanere con noi, e non ti mancherà nulla.
– Sì,- disse Biancaneve,- di gran cuore-.
E rimase con loro.
Teneva in ordine la casa; al mattino essi andavano nei monti, in cerca di minerali e d'oro, la sera tornavano, e la cena doveva essere pronta. Di giorno la fanciulla era sola. I nani l'ammonivano affettuosamente, dicendo:
- Guardati dalla tua matrigna; farà presto a sapere che sei qui: non lasciar entrare nessuno. Ma la regina, persuasa di aver mangiato i polmoni e il fegato di Biancaneve, non pensava ad altro, se non ch'ella era di nuovo la prima e la più bella; andò davanti allo specchio e disse:
- Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
E lo specchio rispose: - Regina, la più bella qui sei tu; ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più.
La regina inorridì, perché sapeva che lo specchio non mentiva mai, e si accorse che il cacciatore l'aveva ingannata e Biancaneve era ancora viva.
E allora pensò di nuovo come fare ad ucciderla: perché, s'ella non era la più bella di tutto il paese, l'invidia non le dava requie.
Pensa e ripensa, finalmente si tinse la faccia e si travestì da vecchia merciaia, in modo da rendersi del tutto irriconoscibile. Così trasformata, passò i sette monti, fino alla casa dei sette nani, bussò alla porta e gridò:
- Roba bella, chi compra! chi compra!- Biancaneve diede un'occhiata dalla finestra e gridò:
- Buon giorno, brava donna, cos'avete da vendere?
– Roba buona, roba bella,- rispose la vecchia,- stringhe di tutti i colori -. E ne tirò fuori una, di seta variopinta.
"Questa brava donna posso lasciarla entrare", pensò Biancaneve; aprì la porta e si comprò la bella stringa.
– Bambina, - disse la vecchia,- come sei conciata! Vieni, per una volta voglio allacciarti io come si deve-.
La fanciulla le si mise davanti fiduciosa e si lasciò allacciare con la stringa nuova: ma la vecchia strinse tanto e così rapidamente che a Biancaneve mancò il respiro e cadde come morta.
– Ormai lo sei stata la più bella,- disse la regina, e corse via.
Presto si fece sera e tornarono i sette nani: come si spaventarono, vedendo la loro cara Biancaneve stesa a terra, rigida, come se fosse morta!
La sollevarono e, vedendo che era troppo stretta alla vita, tagliarono la stringa.
Allora ella cominciò a respirare lievemente e a poco a poco si rianimò.
Quando i nani udirono l'accaduto, le dissero:
- La vecchia merciaia altri non era che la scellerata regina; sta' in guardia, e non lasciar entrare nessuno, se non ci siamo anche noi.
Ma la cattiva regina, appena arrivata a casa, andò davanti allo specchio e chiese:
- Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
Come al solito, lo specchio rispose:
- Regina, la più bella qui sei tu; ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più.
A queste parole, il sangue le affluì tutto al cuore dallo spavento, perché vide che Biancaneve era tornata in vita.
"Ma adesso,. pensò,- troverò qualcosa che sarà la tua rovina"; e, siccome s'intendeva di stregoneria, preparò un pettine avvelenato. Poi si travestì e prese l'aspetto di un'altra vecchia. Passò i sette monti fino alla casa dei sette nani, bussò alla porta e gridò:
- Roba bella! roba bella! –
Biancaneve guardò fuori e disse:
- Andate pure, non posso lasciar entrare nessuno.
– Ma guardare ti sarà permesso,- disse la vecchia; tirò fuori il pettine avvelenato e lo sollevò.
Alla bimba piacque tanto che si lasciò sedurre e aprì la porta.
Conclusa la compera, la vecchia disse:
-Adesso voglio pettinarti per bene-.
La povera Biancaneve, di nulla sospettando, lasciò fare; ma non appena quella le mise il pettine nei capelli, il veleno agì e la fanciulla cadde priva di sensi.
– Portento di bellezza!- disse la cattiva matrigna: - è finita per te!- e se ne andò.
Ma per fortuna era quasi sera e i sette nani stavano per tornare. Quando videro Biancaneve giacer come morta, sospettarono subito della matrigna, cercarono e trovarono il pettine avvelenato; appena l'ebbero tolto, Biancaneve tornò in sé e narrò quel che era accaduto.
Di nuovo l'ammonirono che stesse in guardia e non aprisse la porta a nessuno.
A casa, la regina si mise allo specchio e disse:
- Dal muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
Come al solito, lo specchio rispose:
- Regina, la più bella qui sei tu; ma al di là di monti e piani, presso i sette nani, Biancaneve lo è molto di più.
A tali parole, ella rabbrividì e tremò di collera.
– Biancaneve morirà,- gridò,- dovesse costarmi la vita -.
Andò in una stanza segreta dove non entrava nessuno e preparò una mela velenosissima.
Di fuori era bella, bianca e rossa, che invogliava solo a vederla; ma chi ne mangiava un pezzetto, doveva morire.
Quando la mela fu pronta, ella si tinse il viso e si travestì da contadina, e così passò i sette monti fino alla casa dei sette nani.
Bussò, Biancaneve si affacciò alla finestra e disse:
- Non posso lasciar entrare nessuno, i sette anni me l'hanno proibito.
- Non importa,- rispose la contadina,- le mie mele le vendo lo stesso. Prendi, voglio regalartene una.
- No,- rispose Biancaneve,- non posso accettar nulla.
- Hai paura del veleno?- disse la vecchia.- Guarda, la divido per metà: tu mangerai quella rossa, io quella bianca -.
Ma la mela era fatta con tanta arte che soltanto la metà rossa era avvelenata.
Biancaneve mangiava con gli occhi la bella mela, e quando vide la contadina morderci dentro, non potè più resistere, stese la mano e prese la metà avvelenata.
Ma al primo boccone cadde a terra morta.
La regina l'osservò ferocemente e scoppiò a ridere, dicendo:
- Bianca come la neve, rossa come il sangue, nera come l'ebano! Stavolta i nani non ti sveglieranno più -.
A casa, domandò allo specchio:
- Da muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella ?
E finalmente lo specchio rispose: - Nel regno, Maestà, tu sei quella.
Allora il suo cuore invidioso ebbe pace, se ci può esse pace per un cuore invidioso.
I nani, tornando a casa, trovarono Biancaneve che giaceva a terra, e non usciva respiro dalle sue labbra ed era morta. La sollevarono, cercarono se mai ci fosse qualcosa di velenoso, le slacciarono le vesti, le pettinarono i capelli, la lavarono con acqua e vino, ma inutilmente: la cara bambina era morta e non si ridestò. La misero su un cataletto, la circondarono tutti e sette e la piansero, la piansero per tre giorni. Poi volevano sotterrarla; ma in viso, con le sue belle guance rosse, ella era ancora fresca, come se fosse viva. Dissero: - Non possiamo seppellirla dentro la terra nera,- e fecero fare una bara di cristallo, perché la si potesse vedere da ogni lato, ve la deposero e vi misero sopra il suo nome, a lettere d'oro, e scrissero che era figlia di re. Poi esposero la bara sul monte, e uno di loro vi restò sempre a guardia. E anche gli animali vennero a pianger Biancaneve: prima una civetta, poi un corvo e infine una colombella. Biancaneve rimase molto, molto tempo nella bara, ma non imputridì: sembrava che dormisse, perché era bianca come la neve, rossa come il sangue e nera come l'ebano.
Ma un bel giorno capitò nel bosco un principe e andò a pernottare nella casa dei nani.
Vide la bara sul monte e la bella Biancaneve e lesse quel che era scritto a lettere d'oro.
Allora disse ai nani: - Lasciatemi la bara; in compenso vi darò quel che volete -.
Ma i nani risposero: - Non la cediamo per tutto l'oro del mondo
- Regalatemela, allora,- egli disse,- non posso vivere senza veder Biancaneve: voglio onorarla ed esaltarla come la cosa che mi è più cara al mondo.-
A sentirlo, i buoni nani s'impietosirono e gli donarono la bara.
Il principe ordinò ai suoi servi di portarla sulle spalle.
Ora avvenne che essi inciamparono in uno sterpo e per la scossa quel pezzo di mela avvelenata, che Biancaneve aveva trangugiato, le uscì dalla gola.
E poco dopo ella aprì gli occhi, sollevò il coperchio e si rizzò nella bara: era tornata in vita.
-Ah Dio, dove sono?- gridò.
Il principe disse, pieno di gioia: - Sei con me,- e le raccontò quel che era avvenuto, aggiungendo: - Ti amo sopra ogni cosa del mondo; vieni con me nel castello di mio padre, sarai la mia sposa-.
Biancaneve acconsentì e andò con lui, e furono ordinate le nozze con gran pompa e splendore.
Ma alla festa invitarono anche la perfida matrigna di Biancaneve. Indossate le sue belle vesti, ella andò allo specchio e disse:
- Da muro, specchietto, favella: nel regno chi è la più bella?
Lo specchio rispose: - Regina, la più bella qui sei tu; ma la sposa lo è molto di più.
La cattiva donna imprecò e il suo affanno era così grande che non poteva più dominarsi. Dapprima non voleva assistere alle nozze; ma non trovò pace e dovette andar a vedere la giovane regina.
Entrando, riconobbe Biancaneve e impietrì dallo spavento e dall'orrore.
Ma sulla brace eran già pronte due pantofole di ferro: le portarono con le molle, e le deposero davanti a lei. Ed ella dovette calzare le scarpe roventi e ballare, finché cadde a terra, morta.