Denise Pipitone: Un'intercettazione riapre il caso della scomparsa
Una nuova inchiesta è stata aperta dalla Procura di Marsala a seguito dell'intercettazione ambientale dell'11 ottobre 2004 in cui si ascolta un dialogo tra Jessica Pulizzi e la sorella minore Alice. La prima avrebbe detto alla seconda che la loro madre, Anna Corona, ha ucciso Denise. Il fascicolo aperto dalla procura in questo momento è contro ignoti. Jessica, attualmente sotto processo davanti alla terza sezione della Corte d'appello di Palermo per concorso in sequestro di minorenne - avrebbe detto in dialetto alla sorella, secondo la trascrizione del perito, "Eramu n'casa, a mamma l'ha uccisa a Denise" (Eravamo a casa, la mamma ha ucciso Denise). Ad ascoltare e trascrivere la frase, pronunciata a bassa voce, è stato il perito nominato dalla Corte d'appello, Massimo Mendolìa. Anna Corona, assieme ad altri, era stata indagata per concorso in sequestro, ma poi il procedimento fu archiviato. "Se la notizia relativa all'apertura dell'inchiesta è vera - dice l'avvocato Giacomo Frazzitta, legale di parte civile che assiste Piera Maggio, mamma di Denise - il fatto che venga divulgata mette sull'avviso gli interessati". Denise Pipitone sparì da Mazara del Vallo (Tp) il primo settembre 2004. Sotto processo, per sequestro di persona, finì la sorellastra Jessica Pulizzi, nata dal matrimonio tra Anna Corona e Piero Pulizzi, padre naturale di Denise. Il 27 giugno 2013, Jessica, che adesso ha 27 anni, è stata assolta dal Tribunale di Marsala "per non aver commesso il fatto", anche se con la formula del secondo comma dell'articolo 530 del codice di procedura penale ("mancata o insufficiente formazione della prova"). Per l'imputata l'accusa aveva chiesto 15 anni di carcere.
Labrador si scaglia contro i rapinatori per difendere la padrona: ucciso
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Raffreddore bambini 0-2 anni
Con l’arrivo della stagione fredda si ricomincia con il tran tran di raffreddori e altre infezioni respiratorie. Pare non si faccia in tempo a finire con una malattia che ne comincia un’altra, almeno fino a primavera. È un fenomeno normale nei bambini, soprattutto prima dei sei anni. “Più i bambini sono piccoli, più è facile che si ammalino, perché sono ancora ‘vergini’ da un punto di vista immunologico, vale a dire non conoscono ancora i vari agenti infettivi e appena ne vengono a contatto ne restano contagiati” dice Maurizio de Martino, Direttore del Dipartimento di Pediatria Internistica Ospedale Pediatrico Anna Meyer, Università di Firenze. Ci sono bambini che, esposti agli stessi fattori di rischio di altri coetanei, vanno incontro più facilmente ad infezioni alle alte e basse vie respiratorie, ossia, per usare l’espressione medica, a infezioni respiratorie ricorrenti (la sigla è IRR), che comprendono raffreddori, tonsilliti, otiti, faringiti, bronchiti e broncopolmoniti. A volte arriva anche la febbre. È un fenomeno che riguarda circa il 6% dei bambini in età prescolare e comincia ad attenuarsi a partire dai 4-6 anni, man mano che il sistema immunitario matura e comincia a formarsi un suo ‘bagaglio di esperienze’. Perché alcuni bambini si ammalano più di altri? I fattori possono essere: Un sistema immunitario più ‘lento’. Ogni bambino ha tempi di maturazione individuali del sistema immunitario ed alcuni possono avere un sistema di difesa più ‘lento’ rispetto ad altri coetanei; una questione ereditaria. Se uno dei genitori da piccolo era solito ammalarsi di frequente, è più probabile che anche il figlio abbia la stessa tendenza; l’ingresso precoce all’asilo nido. È il luogo dove si concentra un gran numero gi germi, in una fase in cui il bambino non è ancora ben pronto a contrastarli; l’esposizione al fumo passivo. Il fumo blocca i meccanismi di protezione delle vie aeree e rende più vulnerabili alle infezioni; A questi si aggiungono fattori minori, come vivere in un posto inquinato o avere il caminetto in casa: “La combustione della legna produce biossido di azoto ed anidride solforosa che, specie in bambini di per sé più deboli, diminuiscono le difese delle vie aeree” commenta il pediatra. Quali sono le regole di prevenzione per raffreddore e malanni di stagione? Abituare il bambino a lavarsi le mani più volte al giorno e soprattutto prima di mangiare. Ritardare se possibile l’ingresso al nido, o scegliere micronidi o nidi in famiglia, frequentati da un minor numero di bambini. È vero che se la mamma deve tornare al lavoro è una soluzione difficile da adottare, ma è pur vero che un bambino che si ammala spesso è costretto a restare tanti giorni a casa, con tutte le difficoltà organizzative – ed economiche - che ne conseguono. Evitare l’esposizione al fumo e all’inquinamento. Se non è possibile andare a vivere in campagna, è almeno possibile evitare di fumare in presenza del bambino o di farlo soggiornare dove si fuma, di usare il caminetto in casa o di uscire a passeggio nelle ore di maggior traffico. Allattare al seno. Allattare il bambino al seno contribuisce a uno sviluppo di migliori difese immunitarie. Curare l’alimentazione. Se il bambino è già svezzato, è importante assicurargli un’alimentazione equilibrata e variegata, che comprenda tutti i nutrienti e le sostanze antiossidanti che si possono trovare soprattutto in frutta e verdura. Integratori: non servono, se non vi sono carenze. Superflui invece gli integratori, a meno che non vi siano specifiche ed accertate carenze di determinate sostanze. Evitare un uso intensivo del ciuccio. Si è visto che un uso continuativo del ciuccio può favorire l’insorgenza di otiti: “Il meccanismo non è ancora chiarito, ma si ipotizza che la suzione prolungata favorisca il reflusso di secrezioni nasofaringee all’interno della tuba di Eustachio” dice Claudio Profeti, neonatologo presso l’Ospedale Pediatrico Anna Meyer, Azienda Ospedaliera Universitaria di Firenze. Immunostimolanti: non servono. Gli immunostimolanti contengono estratti di batteri responsabili delle infezioni che, come una sorta di vaccino, dovrebbero sollecitare la risposta immunitaria e renderla più resistente di fronte agli attacchi delle infezioni. “Sulla loro efficacia i pareri della comunità scientifica sono discordanti, inoltre i bambini con infezioni ricorrenti non sono immunodeficienti, quindi non hanno bisogno di sostanze immunostimolanti” è il commento di Mautrizio de Martino. Quali sono le buone pratiche da seguire quando il bambino ha il raffreddore o altre malattie respiratorie? Fare lavaggi nasali. Servono per liberare il naso dal muco, che impedisce al bambino di respirare e di riposare bene. Il metodo più semplice è iniettare della soluzione fisiologica (o una soluzione ‘casalinga’ al 90% di acqua e 10 % di sale) nelle narici con una siringa senza ago. Fare aerosol, sempre con la sola soluzione fisiologica, dal momento che il vapore fluidifica il muco. Umidificare gli ambienti, l’aiuto di un umidificatore (ma senza aggiungere sostanze balsamiche, che potrebbero irritare!) o più semplicemente stendendo sui radiatori teli di spugna bagnati e strizzati. Dare da bere in abbondanza, perché i liquidi fluidificano il muco. Aggiungere un cuscino sotto il materasso. Far dormire il bambino con la testa un po’ più sollevata rispetto al solito lo aiuta a far defluire le secrezioni e respirare meglio durante il sonno. Non dare medicinali di propria iniziativa, senza aver prima interpellato il pediatra. Quando bisogna rivolgersi al pediatra? sopraggiunge febbre elevata, che non passa dopo 2-3 giorni; si notano persistenti secrezioni purulente giallo-verdognole; il bambino è particolarmente inappetente e lamentoso; si ha l’impressione che il bambino avverta mal d’orecchie; il piccolo ha meno di 3 mesi di vita.
Pediatri arrestati. Dicevano a mamme: "Non allattate" Meglio il latte in polvere
LIVORNO 21 Novembre 2014 Convincevano le mamme a non allattare: 12 pediatri in manette. I Carabinieri dei NAS di Livorno e dell'Arma territoriale stanno eseguendo 18 ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari per corruzione nei confronti di 12 pediatri, tra cui due primari, 5 informatori scientifici e un dirigente d'azienda di alimenti per l'infanzia, nonché 26 decreti di perquisizioni in Toscana, Lombardia, Marche e Liguria. 
Secondo le indagini, i medici inducevano le mamme a utilizzare latte artificiale di note ditte al posto del latte materno.  
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Quando arriverà l'influenza 2014-2015?
Le temperature ballerine degli ultimi giorni stanno iniziando a mietere le "prime vittime". Complice il tempo ballerino, sempre più italiani, soprattutto bambini, sono a letto con quella che viene definita 'simil-influenza', una sindrome causata da virus simili a quelli influenzali ma con sintomi meno intensi. "Quelli attualmente in circolazione sono virus parainfluenzali che appartengono a 260 diversi tipi, dai rinovirus ai coronavirus. Tutti provocano sindromi simili all'influenza ma, appunto, meno intense, con sintomi vari come febbre, naso chiuso, problemi intestinali'' afferma Fabrizio Pregliasco, ricercatore del dipartimento di Scienze Biomediche dell'Università di Milano. Oltre 90mila i casi stimati, soprattutto tra i bambini. Pur presentandosi come una sorta di 'influenza attenuata', questo malanno di stagione non va sottovalutato. Il consiglio dell'esperto? ''Se i sintomi persistono, è bene rivolgersi al medico''. Quando arriverà l'influenza 2014-2015? A dicembre Per l'influenza vera e propria dovremo aspettare dicembre. Ci sono stati alcuni primi casi isolati, con virus simili a quelli dell'anno scorso. Per questo motivo, spiega Pregliasco "si prevede una stagione influenzale di intensità non elevata''. Come mai non è ancora arrivata la 'vera influenza'? ''I virus influenzali - chiarisce lo specialista - si diffondono più massicciamente in presenza di basse temperature che si protraggono nel tempo''. Come prevenire l'influenza? Con l'alimentazione uno dei consigli per prevenire l'influenza è fare attenzione a quello che si mette in tavola. Come consigliano i nutrizionisti è importante non far mancare frutta e verdura, ricche di vitamine e utili per combattere raffreddori. Anche i sali minerali, dal calcio al fosforo, possono dare una mano. Contenuti di diversi alimenti, rinforzano il sistema immunitario. Inoltro, il Centro Europeo per il controllo delle Malattie (ECDC) ha stilato una serie di azioni utili per prevenire il contagio. E' fortemente raccomandato lavare bene e spesso le mani. E in assenza di acqua e possibile anche utilizzare gel alcolici E' una buona norma coprire bocca e naso quando si starnutisce o tossisce E' preferibile l'isolamento volontario a casa delle persone ammalate specie durante la fase iniziale
Bambino vuole stare 'sempre' in braccio...
“Attenta, se lo prendi sempre in braccio già ora che è piccolo, cresce viziato!”. È una sorta di mantra che, pur se con infinite varianti sul tema, ogni neo-mamma si è sentita dire (almeno una volta!) da chi crede di saperla molto più lunga di lei. Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale, che si occupa da anni di puericultura, parto e allattamento, mamma di due bambine, nel suo libro “E se poi prende il vizio?”, (Il Leone Verde), sostiene però il contrario: tenere in braccio il neonato (o bambino piccolo) significa rispondere a un suo bisogno naturale e fisiologico, molto importante per la sua crescita sana e serena. L’idea che sia meglio non tenere 'troppo' in braccio il neonato (e il bimbo molto piccolo) ha un qualche fondamento scientifico o no? Questa convinzione, ancora molto diffusa nella nostra cultura, non ha base oggettiva, né scientifica. La pratica di limitare il contatto fisico tra figlio e genitore è un pregiudizio culturale molto forte. Il bimbo nasce con un'esperienza di totale avvolgimento e si scontra con questo pregiudizio di chi dice di non prenderlo in braccio. Appena nato, ogni piccolo cerca la vicinanza fisica che gli garantisce la sopravvivenza fuori dalla pancia. Si tratta di un bisogno naturale e fisiologico di ogni cucciolo d'uomo, in ogni parte del globo. “Spesso, da noi, si condivide l'opinione secondo cui un bambino che piange o reclama attenzione è soltanto un bambino viziato, capriccioso o furbo o noioso che vuole distrarre l'adulto senza un motivo valido; come se i bisogni dei bambini fossero trascurabili o, addirittura, come se ignorarli servisse al bebè da palestra di vita per diventare grande, forte e indipendente”. (Alessandra Bortolotti, “E se poi prende il vizio?”, Il Leone Verde). Ci spieghi meglio: che cosa vuol dire che il contatto fisico è un bisogno naturale e fisiologico di tutti i neonati? Il tatto è il primo senso che si forma e, attraverso la pelle, le 'informazioni' arrivano al cervello. Già nella vita uterina, verso l'ottava settimana, l'embrione ha una pelle molto sviluppata in grado di reagire agli stimoli. In altre parole, la pelle è l'organo del nostro corpo che si sviluppa per primo e ha maggiori connessioni con il sistema nervoso centrale. Il bisogno di contatto garantisce al bimbo la sopravvivenza fuori dalla pancia. Insomma, non si può vivere senza tatto... Come scrivo nel mio libro, il bisogno di contatto è anche superiore a quello di nutrimento come dimostrano, per esempio, gli esperimento di H. Harlow sulle scimmie Rhesus in laboratorio. I cuccioli appena nati preferiscono il contatto con una finta mamma ricoperta di pelo sintetico che avvolge ed emana calore, piuttosto che il biberon offerto da una fredda mamma metallica. Allora, possiamo dire che prendere in braccio un bimbo è importante come nutrirlo e accudirlo ... Insomma, non è mai un vizio? La vicinanza fisica tra mamma e bambino rientra nella categoria dei bisogni primari ed è fondamentale soddisfarla. Non è certo un vizio e nessuno studio lo dimostra. Dopo nove mesi nella pancia, in una condizione protetta e accogliente, ogni bimbo del mondo cerca, in modo del tutto naturale, le braccia della mamma. Il 'troppo' contatto fisico non esiste, è invece un normale bisogno fisiologico che si modifica a seconda dell'età. Non dimentichiamo che tutte le sensazioni emotive che passano al bimbo attraverso la pelle e il tatto, nell'abbraccio, per esempio, sono importantissime, e benefiche, per la sua crescita psicofisica globale. Come mai nel mondo occidentale, spesso, sembra che la cosa più importante sia 'staccare' presto, quasi il prima possibile, il bimbo dalla mamma e, già da piccolissimo, renderlo indipendente? Nella nostra cultura è ancora comune l'idea che l'autonomia del bambino sia favorita da un precoce distacco tra genitore e figlio. L'adulto 'bravo' ci riesce prima, più in fretta, e altrettanto bravo è il bimbo che accetta la situazione senza tante storie. In realtà, questa è solo un'altra convinzione culturale. Non è dimostrato da nessuno studio che i bimbi che vivono un distacco precoce diventino adulti più sicuri e sereni. Secondo lei, che cosa può dare invece sicurezza al bambino? Nei primi tre anni di vita, ogni bimbo cerca il contatto fisico per fare 'pieno di sicurezza'. Naturalmente, la 'quantità' di vicinanza e coccole cambia molto per un bebè di tre mesi o un piccolo di due-tre anni. Il bimbo non è un pupazzo inerme privo di capacità ma è competente, si 'muove da solo' verso l'indipendenza, secondo i suoi ritmi. Se cerca sempre la mamma quando è più grande, significa che gli è mancato qualcosa nel primo periodo della sua vita. Come sostiene lo psicologo e psicoanalista inglese John Bowlby con la sua teoria dell'attaccamento, un buon rapporto con la mamma rappresenta la base sicura indispensabile per esplorare il mondo e crescere sereni e fiduciosi in se stessi. Il nostro scopo come adulti è dare sicurezza al bambino decodificando i suoi segnali. Se un neonato, per esempio, piange va preso in braccio, poiché esprime un bisogno. Diverso è il caso di un bimbo di due anni che strilla perché vuole una nuova macchinina. Queste sono bizze. Il bisogno di contatto, invece, non ha nulla a che vedere con i 'vizi' e accomuna tutti gli esseri umani”. Ma a volte le mamme dicono che è difficile, e anche un po' stancante, prendere spesso in braccio il bimbo. Come ci si può comportare pensando al benessere del piccolo? Dare una risposta al bisogno primario di vicinanza fisica del bambino non vuol dire rinunciare a qualsiasi tipo di attività per sei mesi. Basta ingegnarsi un po'! Come mamma, ho risolto la questione in modo molto semplice, utilizzando la fascia con mia figlia che lascia le mani libere e la possibilità di fare anche altro. E, a sette mesi, la piccola quasi camminava già. Non è vero, infatti, che stare vicino alla mamma dentro la fascia 'blocchi' dal punto di vista fisico il normale sviluppo del neonato nei primi sei mesi vita. Al contrario, la fascia è utilissima e comoda, ma deve adattarsi al singolo bimbo, un po' come un buon paio di scarpe! Nei primi sei mesi di vita un'ottima soluzione, ancora poco praticata, è anche quella di appoggiare il neonato per terra, vicino a sé, su un tappeto morbido con tanti cuscini intorno. Non è necessario tenerlo sempre nella culla, nell'ovetto o sulla sdraietta che è rigida e può risultare scomoda. Per terra, tra l'altro, il neonato può muoversi, sgambettare e sentirsi più libero. Così, la mamma, per esempio, può stare in cucina e preparare la cena tranquilla con il suo bimbo appoggiato su un tappeto vicino a lei. E se il bimbo piange disperato, che cosa è meglio fare? C'è chi afferma che è 'furbo' e non fa male lasciarlo piangere, così 'può farsi i polmoni'. Che ne pensa? Spesso la convinzione di non prendere 'troppo' in braccio il bimbo piccolo, nel primo anno di vita, è considerata altrettanto valida quando piange: un altro pregiudizio su cui è essenziale far chiarezza. Per un piccolo di cinque-sei mesi, il pianto è l'ultimo segnale, la sua ultima 'risorsa' per dimostrare un qualche disagio. In genere, prima di strillare disperato, avrà cercato di comunicare con l'adulto lanciando altri segnali che probabilmente non sono stati interpretati. È allora importante prenderlo in braccio e confortarlo. Da uno studio recente è emerso che quando il piccolo urla inconsolabile bastano due minuti perché entri in circolo nell'organismo il cortisolo, l'ormone dello stress. E poi ci vogliono almeno 24 ore affinché venga riassorbito. Insomma, allora, lasciare il bimbo piangere non gli insegna a essere più forte? No, il pianto ignorato fa sentire il piccolo incapace di usare quanto la natura gli ha dato, un segnale evidente che il genitore volutamente ignora. Lasciare un bimbo di sei mesi piangere e non prenderlo in braccio come modalità educativa non aiuta certo a renderlo più forte e autonomo. Con questo atteggiamento, non si offre una risposta a un bisogno naturale condiviso da ogni cucciolo d'uomo. E la sua memoria emotiva 'registra' questa mancanza di contatto pur se a livello inconscio. Fino a tre anni domina infatti l'emisfero destro, quello delle emozioni, che non è cosciente e per questo non possiamo ricordare a livello razionale. Limitare le occasioni di contatto significa privare il bimbo di quelle iniezioni di fiducia così importanti per l'acquisizione dell'autostima, necessaria per una crescita sana e serena.
Coliche del neonato:cause,rimedi
Qual è la regola per parlare di coliche o crisi di pianto inconsolabile? Quali sono le cause, i rimedi e le soluzioni. Possono venire a causa dell'alimentazione della mamma che allatta oppure per il latte artificiale. Quali farmaci possono essere utilizzati? Le risposte di Arrigo Barabino, primario di gastroenterologia pediatrica presso l’Ospedale Gaslini di Genova Le coliche del neonato sono un disturbo che colpisce circa il 10% dei lattanti nei primi mesi di vita e che stressa molto i genitori, che si sentono impotenti di fronte al pianto inconsolabile del proprio figlio. Le cause delle coliche gassose non sono ancora ben chiare, ma esistono accorgimenti che possono dare sollievo al piccolo. Nell’attesa che, dopo i tre-quattro mesi di età, cessino da sole. “Non bisogna pensare alle coliche ogni volta che il neonato piange” dice Arrigo Barabino, primario di gastroenterologia pediatrica presso l’Ospedale Gaslini di Genova. “Nei neonati un pianto, che si prolunga anche per due ore al giorno, è da considerare fisiologico e fa parte del normale sviluppo. Si può invece ipotizzare che il bambino soffra di coliche se rispetta la cosiddetta ‘regola del 3’, coniata negli anni ’50 dal dottor Wessel e valida ancor oggi: si tratta di coliche se ci troviamo davanti a un lattante sano, ben nutrito, che piange più di 3 ore al giorno, per più di 3 giorni alla settimana, e per più di 3 settimane di seguito”. Anche i sintomi hanno caratteristiche ben precise: all’improvviso il bambino, senza alcuna causa scatenante, comincia a essere irrequieto e a strillare, diventa pallido o addirittura cianotico, stringe i pungi, flette le gambe sull’addome. Neanche il seno della mamma o il succhiotto spesso riescono a dargli consolazione. Tra una crisi e l’altra può calmarsi, addormentarsi, emettere un flato, che gli procura sollievo momentaneo. Di solito (ma non è una regola assoluta) le crisi sono più frequenti nelle ore serali se il bambino è allattato al biberon, mentre nei piccoli allattati al seno possono manifestarsi in qualunque momento della giornata. (Leggi anche: 10 + 1 consigli per calmare le coliche del neonato) Le coliche cominciano a manifestarsi in genere verso la 4-5 settimana di vita, ma sono autolimitanti, ossia si riducono spontaneamente dopo i 3 mesi, fino a cessare del tutto. Alla diagnosi di colica gassosa si arriva dopo un’attenta visita del pediatra, volta a escludere altre cause (circa il 5%), come ad esempio un reflusso gastro-esofageo, impatto fecale (ossia l’accumulo di feci nell’ultimo tratto dell’intestino), eventuali traumi, ma anche semplicemente un corpo estraneo nell’occhio che infastidisce il bambino. La prognosi delle coliche gassose è buona per quanto riguarda il sintomo in sé stesso, anche se alcuni studi hanno dimostrato che il lattante con coliche abbia un rischio aumentato di presentare nel primo anno di vita dei disturbi del sonno, dell’attenzione e dell’umore per cui può essere definito di temperamento “difficile”. (Leggi anche 11 consigli per calmare le coliche del neonato) Le cause delle coliche: non ci sono certezze “Sulle cause delle coliche sono state fatte numerose ipotesi, ma ancora oggi non abbiamo certezze” dice Barabino. “Una prima ipotesi è quella psico-relazionale, secondo la quale alla base delle coliche ci sarebbe un alterato rapporto mamma-bambino. In effetti le coliche gassose si presentano maggiormente nei primogeniti e nelle classi sociali più elevate, con mamme più apprensive o iperprotettive e possono scomparire se il bambino è affidato alle cure di terzi. Inoltre vi è maggior rischio nelle madri single, depresse o che hanno vissuto con ansia la gravidanza. Tuttavia studi psicologici condotti a lungo termine su tali famiglie non hanno portato a conclusioni ben definite al riguardo. Un’altra teoria chiama in causa l’eccessiva presenza di gas nelle anse intestinali (da qui il nome di coliche gassose), determinata o da eccessiva ingestione di aria col pasto o da produzione di aria intestinale. In effetti alla visita pediatrica l’addome si presenta molto espanso e meteorico, ed in genere l’eliminazione di gas porta beneficio, anche se transitorio. Tuttavia non vi è una chiara dimostrazione che il bambino con le coliche abbia più aria nell’intestino rispetto al bambino senza coliche. Poi c’è la teoria di una eccessiva dinamica della peristalsi. I bambini che soffrono di coliche cioè avrebbero delle contrazioni intestinali più intense a causa di una produzione maggiore di un ormone chiamato motilina (i cui livelli sembrano variare in rapporto all’alimentazione e all’esposizione passiva al fumo di sigaretta). Tale ipotesi è suffragata dal fatto che alcuni lattanti con coliche rispondono positivamente a farmaci antispastici. Altre ipotesi chiamano in causa l’allergia alimentare al latte vaccino, non solo a quello del latte artificiale, ma anche alle piccole quantità di latte vaccino che passano attraverso il latte materno. Che cosa fare se il bebè ha le coliche La prima cosa da fare è rivolgersi al pediatra, che, dopo aver visitato il bambino ed aver escluso altre cause, potrà rassicurare i genitori spiegando loro che: il bambino sta bene e cresce bene: le coliche infatti non comportano rischi per la salutee non compromettono la crescita del lattante; si tratta di un problema maturazionale del neonato e si risolvono spontaneamente dopo i 3 mesi di vita; le coliche non sono indice di scarso affetto o scarse attenzioni da parte della mamma. “Tranquillizzare i genitori, e soprattutto la mamma che trascorre col bambino molto più tempo, è il primo passo per affrontare le coliche nel modo giusto” spiega Barabino. “Spesso infatti di fronte ad un pianto così inconsolabile e stressante la mamma si sente nervosa e frustrata e le prova di tutte: prova a modificare la sua alimentazione, tenta di cullarlo e calmarlo, lo attacca al seno (o al biberon) continuamente, molte volte guidata e consigliata da parenti e amici (compreso il papà), che la fanno sentire giudicata e inadeguata. Il rischio? Che si crei un circolo vizioso: il bebè infatti capta subito se nell’aria c’è tensione e preoccupazione e quindi potrebbe mostrarsi ancor più irrequieto e implacabile. Viceversa, un atteggiamento sereno e tranquillo diminuisce la tensione mamma-bambino e infonde sicurezza e serenità al piccolo, che potrebbe quietarsi più facilmente”. E se fosse colpa del latte? Tra i colpevoli delle coliche viene chiamata in causa anche l’allergia alimentare. “Ha senso sospettare un’allergia solo se sulla cute compare un’eczema e se c’è almeno un familiare di primo grado con accertata allergia” dice Barabino. “Se la mamma allatta al seno il suo bambino, si consiglia di solito una dieta di eliminazione, che prevede di togliere non solo il latte e i suoi derivati, ma anche altri alimenti potenzialmente allergizzanti, come uova, pesce, frutta secca. Si è visto che effettivamente in questo modo c’è una riduzione del tempo di pianto, ma non è un beneficio sufficiente a giustificare una dieta così spinta, che a lungo andare provoca carenze nell’alimentazione materna. Non è invece assolutamente dimostrato che l’assunzione da parte della mamma di alimenti come i legumi o certi tipi di ortaggi, come i cavolfiori, favoriscano le coliche gassose”. Se è allattato al biberon. Se il bambino è allattato al biberon, per alleviare le coliche si possono provare latti più digeribili, con basso contenuto di lattosio, proteine lievemente predigerite e una discreta quantità di prebiotici, come i galattoligosaccaridi e fruttoligosacaridi (sigle GOS e FOS), e ricchi di garssi come l’acido betapalmitico, sostanze presenti naturalmente nel latte umano, che favoriscono la produzione di una flora intestinale simile a quella che si produce con il latte materno e rendono più morbide le feci, facilitando l’evacuazione. Per questo motivo sono utili anche in caso di stitichezza. Se invece si sospetta un’allergia di tipo alimentare, si può arrivare a formule dietoterapiche, in cui le proteine sono idrolisate, cioè ‘spaccate’ in tanti piccoli pezzi in modo da neutralizzare il loro potere allergizzante. I loro lati negativi? Sono piuttosto costosi e dal sapore non proprio buono. Si può fare un tentativo di circa 2 settimane; se le coliche regrediscono si continua con tale latte, se non si modificano si ritorna alla formula di partenza. 7 consigli e possibili rimedi per alleviare le coliche del bambino Ecco alcuni consigli pratici che possono rivelarsi utili, se non a eliminare le coliche, ad alleviare i disturbi del piccolo e ridurre le crisi di pianto: 1) Favorire il contenimento. Abbracciare il bambino e fargli sentire il contatto fisico, ma anche favorire il contenimento nella culla, creandogli una specie di nido con un lenzuolo o un asciugamano arrotolati intorno a lui: è un modo per ricostruire l’ambiente protetto e circoscritto dell’utero materno, che spesso dà conforto al piccolo. 2) Massaggi. Alcuni bambini provano sollievo se vengono cullati in posizione prona e si fanno dei piccoli massaggi alla pancia; in alternativa si possono mettere a pancia in giù sulle ginocchia, dando piccoli (e delicati!) colpetti sulla schiena. 3) Ridurre le stimolazioni sia visive che acustiche: no alla luce eccessiva e ai rumori troppo forti, che possono irritare ulteriormente il bambino. 4) Le tisane. In alcuni casi si rivela utile somministrare tisane a base di camomilla, verbena, menta, liquirizia, finocchio: meglio però chiedere il parere del pediatra ed evitare di acquistare di propria iniziativa dei mix di erbe, che possono avere dosaggi non adeguati ai neonati. È bene inoltre ricordare che qualunque tisana può interferire con l’allattamento, poiché potrebbe indurre un finto senso di sazietà che può ridurre il numero di poppate (e alterare di conseguenza la produzione del latte se il bambino è allattato al seno!) Inoltre non devono essere zuccherate. 5) Fare un giretto in macchina. Ebbene sì, il classico giretto in macchina per quietare il bambino molte volte funziona, meglio ancora delle passeggiate in carrozzina. Tanto vale provare! 6) Il sondino. Può essere d’aiuto se il bambino non riesce ad andare di corpo regolarmente, e questo può succedere se è presente un piccolo tappo di feci oppure se il bambino non riesce a coordinare la spinta con la dilatazione dello sfintere anale esterno (praticamente stringe lo sfintere quando fa la spinta). La mamma può accorgersene perché nota che il piccolo prova a spingere, diventa rosso in volto per lo sforzo ma non riesce a scaricarsi. Nel primo caso il sondino è utile perché toglie il tappo e consente al bambino di liberarsi; nel secondo aiuta a dilatare lo sfintere. L’importante è non esagerare con l’uso del sondino, altrimenti il bambino si abitua e non riesce ad evacuare più spontaneamente. 7) Sconsigliati invece i microclismi con glicerina, efficaci se c’è anche stitichezza, ma controindicati se usati per lungo tempo perchè irritano lo sfintere anale rendendolo ancor più spastico. Quali sono i farmaci anti-coliche? Ci sono vari farmaci che vengono proposti per alleviare le coliche gassose, ma non sempre sono indicati o efficaci: Simeticone. È un farmaco da banco innocuo, da sempre prescritto per le coliche, in linea con l’ipotesi che attribuisce tale disturbo ad una maggiore presenza di gas nell’intestino: ha infatti azione antimeteorica, poiché rompe le bolle d’aria e le rende più piccole. Dal punto di vista clinico però l’efficacia si è dimostrata piuttosto scarsa. Antispastici. Il più utilizzato è il cimetropio-bromuro. In alcuni casi può funzionare, in altri no, ma a differenza del simeticone non è esente da effetti collaterali, come stipsi o sonnolenza e comunque gli studi condotti sui bambini sono ancora pochi. Probiotici. Se ne parla sempre più spesso, ed effettivamente ci sono studi interessanti, condotti dalle università di Bari e Torino, sull’uso dei probiotici, e in particolare sullactobacillus reuterii, per alleviare le coliche. Nei bambini affetti da coliche infatti sembra che ci sia un dismicrobismo, ossia un’alterazione della flora batterica intestinale, che il probotico aiuterebbe a ripristinare, in più aiuterebbe ad accelerare lo svuotamento gastrico ed agire favorevolmente sulla motilità intestinale.
Neonato perché non dorme 15 motivi...
Il vostro bambino fa fatica ad addormentarsi oppure si sveglia spesso di notte? Cercate di capire quale può essere la ragione che lo tiene sveglio, leggendo questo elenco tratto dal sito americano Webmd.com e attuate le strategie 1) E' ancora troppo piccolo Sono pochissimi i neonati che riescono a dormire tutta la notte. Infatti il loro sonno è ancora casuale: dormono diverse ore durante il giorno e poi passano la notte in bianco. E' dai 9 mesi circa che iniziano a regolarizzarsi dormendo soprattutto di notte. Ma spesso il sonno non più di cinque o sei ore di fila. 2) Non sa addormentarsi da solo Se un bambino si abitua a essere cullato da mamma e papà ogni notte prima di dormire, non imparerà mai ad addormentarsi da solo. Così se si sveglia di notte e non trova a fianco a sé i genitori è normale che si metta a piangere. Quindi è meglio che il genitore lasci la cameretta prima che si addormenti completamente, solo così imparerà a lasciarsi andare al sonno da solo, anche quando si sveglia nel mezzo della notte. 3) E' troppo stanco Spesso i bambini troppo stanchi fanno più fatica ad addormentarsi. Bisogna tener presente che i piccoli che vanno alla scuola primaria hanno bisogno di 11-14 ore di sonno, compreso il sonnellino. Se il piccolo dorme meno di quest'orario sarà in carenza di sonno. 4) Soffre di ansia da separazione Se un bambino si sveglia di notte e cerca la mamma potrebbe soffrire di ansia da separazione: cioè la paura di essere abbandonato dalla mamma. Di solito questo timore compare attorno all'ottavo mese. Il consiglio è di rimetterlo a nanna cercando di consolarlo, parlandogli a bassa voce e facendogli qualche massaggino alla schiena. Meglio non prenderlo in braccio, altrimenti sarà poi più difficile che si riaddormenti da solo. Una lucina notturna può aiutare se il piccolo ha paura del buio, anche se su questo punto ci sono pareri discordi. Leggi anche: L'ANSIA DA SEPARAZIONE 5) Non ha una routine per la nanna Fare sempre le stesse cose ogni sera prima della nanna aiuta tantissimo il bambino a capire che è arrivata l'ora di dormire. Quindi è importante creare una routine. Per esempio: andare in bagno, leggere una fiaba, spegnere la luce, un ultimo saluto e poi nanna. Meglio iniziare presto con queste abitudini, anche già dai 4 mesi. 6) Ritarda il momento di coricarsi Alcuni bambini fanno di tutto per ritardare il momento della nanna. Bloccano la routine chiedendo l'ennesimo bicchier d'acqua, un'altra visita al bagno, un'altra storia... Ma anziché cedere a queste richieste è meglio essere fermi, pur in modo gentile: il bambino deve avere chiaro che è proprio arrivato il momento di dormire. 7) Non fa il sonnellino Spesso se un bambino dorme troppo poco di pomeriggio fa fatica ad addormentarsi alla sera. La maggior parte dei bambini ha bisogno del sonnellino almeno fino ai 5 anni. L'importante è che i pisolini siano nel primo pomeriggio e lontani dall'ora di andare a nanna. 8) Soffre di apnee notturne Alcuni bambini non riescono a dormire a causa dell'apnea ostruttiva del sonno: le vie aeree sono bloccate, spesso da tonsille e tessuti nasali chiamati adenoidi. I bambini con apnea di solito russano forte e hanno il sonno agitato. L'apnea colpisce circa 1 bambino su 100 tra i 3 e i 7 anni. Se questo è il caso del vostro piccolo meglio parlarne col pediatra per vedere quali soluzioni trovare. 9) Lo stress Lo stress può influenzare il sonno bambini. Se è un bambino particolarmente agitato bisogna aiutarlo a rilassarsi con la respirazione profonda, un bagno caldo e infondergli sicurezza seguendo la solita routine prima della nanna. Bisogna anche cercare di insegnare al bambino a gestire lo stress durante il giorno, in modo che non si accumuli alla sera, pregiudicando il riposo notturno. 10) Fa brutti sogni I bambini a volte hanno degli incubi. Questo è normale, e per la maggior parte sono innocui. Il consiglio è quello di calmare il piccolo e farlo riaddormentare nel suo lettino. Se gli incubi persistono allora bisogna parlarne con il pediatra. 11) E' sonnambulo Alcuni bambini sono sonnambuli: possono camminare, parlare, sedersi sul letto o fare altro, tenendo con gli occhi aperti, mentre continuano a dormire. In questo caso è meglio non svegliarli perché potrebbero spaventarsi. Il piccolo sonnambulo va riaccompagnato dolcemente a letto. Il sonnambulismo non è una malattia e non va curato, bisogna solo stare attenti che il piccolo non si faccia male e quindi vigilare finché non si riaddormenta. Alcuni problemi di salute possono tenere i bambini svegli: il naso chiuso, il prurito dovuto alla dermatite atopica, la tosse, le coliche, il mal d'orecchi, la dentizione. In questi casi bisogna contattare il pediatra. 13) Medicinali Alcuni farmaci per raffreddore, allergie o altro possono dare disturbi del sonno. Se vi sembra che i problemi di sonno del vostro piccolo siano legati a qualche medicina che sta prendendo chiedete al pediatra se può cambiarla. 14) Non ha un oggetto consolatorio Avere un particolare oggetto vicino può aiutare il bambino ad addormentarsi. Peluche, bambole, dudù sono tra i più comuni, così come il ciuccio per i più piccoli. 15) Non dorme in un ambiente adatto Il bambino deve avere uno spazio adatto al sonno. La cameretta deve essere al buio (al massimo una piccola lucina) e silenziosa; il piccolo deve indossare un pigiama leggero e confortevole. Inoltre è meglio che in camera non ci siano computer, videogiochi, televisione o cellulare. Tutti gli schermi vanno spenti almeno 1 ora prima di coricarsi.
Lavaggi nasali neoanato
I bambini piccoli non sono in grado di soffiarsi il naso, pertanto per liberare il nasino chiuso dal muco sono molto utili i lavaggi nasali. Ecco come si fanno. “I bambini, fino ad una certa età, respirano esclusivamente attraverso il naso, quindi averlo intasato può essere per loro particolarmente fastidioso” premette Mario Quattrone, pediatra a Reggio Calabria. “Il disagio può essere avvertito soprattutto durante le poppate o durante il sonno, proprio a causa dell’ostruzione delle prime vie aeree”. Liberare il nasino chiuso è quindi molto importante. Come si fanno i lavaggi nasali I lavaggi nasali si possono effettuare utilizzando soluzione fisiologica, acque termali, acqua di Sirmione, acqua di mare sterilizzata, ma va benissimo anche una soluzione ‘casalinga’ con acqua e sale (90% di acqua e 10 % di sale) bolliti e lasciati raffreddare. “Per iniettarli, l’ideale è utilizzare il rinowash, un apparecchietto che si collega all’aerosol e permette di far arrivare il getto direttamente nelle cavità nasali” suggerisce Giovanni Cavagni, allergologo pediatra, già Responsabile dell’Unità Operativa di Allergologia Pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma; “in mancanza, è perfetta anche una siringa senza ago con 5-10 ml di soluzione per narice: l’importante è spingere sullo stantuffo piuttosto velocemente, così da esercitare una pressione che aiuta la rimozione delle secrezioni”. In commercio si trovano anche pratici flaconcini monodose, comodi soprattutto quando si è fuori casa. Molto efficaci anche gli aspiratori nasali, collegati ad una bocchetta attraverso la quale la mamma aspira delicatamente il muco dalle narici: il problema è però riuscire a tenere il piccolo fermo! Per aiutare il bambino a respirare meglio è anche importante umidificare gli ambienti ed invitarlo a bere spesso, in modo da fluidificare il muco e favorirne l’espulsione. Ok anche ad aerosol con semplice soluzione fisiologica.
Caccia al tesoro
Caccia all'indovinello Questa caccia al tesoro è adatta a bambini un po’ più grandicelli (6-10 anni, all’incirca l’età della scuola primaria). E' pensata per due squadre, ma è possibile aumentare il numero moltiplicando prove e indovinelli. La si può organizzare in casa o in un giardino. Requisiti: All’incirca una decina di bambini e almeno una mamma (o un papà o un fratello maggiore) che li aiuti in ogni squadra, tenendo i bigliettini delle prove da superare, oltre al “direttore di gioco” (un adulto). Materiale: occorre una benda per gli occhi, pennarelli ed etichette adesive bianche, fogli di carta e penne. Preparazione del gioco: Preparare i bigliettini con gli indovinelli e numerarli da 1 a 5 (meglio fare tutto al computer e stampare in due copie: per il capo squadra e per il direttore di gioco). Poi preparare i bigliettini con le prove da superare e numerarli da 1 a 5. Quindi nascondere i bigliettini con le prove da superare nei posti indicati dagli indovinelli. Disegnare (oppure stampare da Internet) due mappe del tesoro (una per ogni squadra) indicando i punti che possono rimandare facilmente ai nascondigli: può essere quella di una casa, o di una stanza o anche del giardino, per far capire dove è nascosto il primo biglietto. Attenzione: mentre gli indovinelli con i luoghi dove sono nascosti i bigliettini devono essere diversi per le due squadre, le prove devono essere le stesse. Per formare le squadre due bambini, un maschio e una femmina, dovranno scegliere il proprio gruppo bendati: i primi cinque compagni che toccheranno saranno in squadra con loro. Poi i bambini avranno due minuti di tempo per scegliere il nome della propria squadra. Una volta scelto il nome, il direttore di gioco e le mamme lo scriveranno con i pennarelli su alcune etichette adesive bianche che verranno attaccate sulle magliette dei bambini. Svolgimento: la caccia al tesoro consisterà nel rispondere correttamente al alcuni indovinelli* che a loro volta inviteranno a cercare dove è nascosto un biglietto che indicherà una prova da superare. In totale sono cinque tappe, per la durata di circa mezz’ora abbondante, ma si può anche aumentare il livello di gioco. 1ma prova Si consegna a ogni squadra una mappa del tesoro che indica il posto A, dove è nascosto il bigliettino con la prova n. 1: LA POESIA A MEMORIA I bambini devono leggere e imparare a memoria in un minuto il verso di una poesia (ad esempio “La nebbia agli irti colli piovviginando sale e sotto il maestrale urla e biancheggia il mare” oppure “Passata è la tempesta, odo augelli far festa e la gallina tornata in su la via che ripete il suo verso”) per poi ripeterla tutti insieme correttamente al direttore di gioco. La prova si considera superata se tutti ripetono la poesia correttamente. 2° prova Appena la squadra ha trovato il biglietto nel posto A e superato la prova n. 1, indicata dal biglietto nascosto, il capo-squadra consegna loro il secondo biglietto (cioè l'indovinello 2), che indica il posto B, dove si nasconde il bigliettino con l'indicazione della prova n. 2: i bambini dovranno restare TUTTI IN SILENZIO PER 1 MINUTO - senza ridere né parlare - dentro una stanza buia oppure in un angolo del giardino, insieme al capo-squadra, che decreterà quando la prova sarà superata. 3° prova Trovato il biglietto n. 2 e superata la prova, il capo-squadra consegna il biglietto dell'indovinello n. 3, che, se risolto, contiene le indicazioni per trovare il biglietto nascosto con l'indicazione della prova n. 3: scrivere su un foglio almeno VENTI PAROLE CHE INIZIANO PER LA STESSA LETTERA 4° prova: trovato il biglietto n. 3 e superata la prova, il capo-squadra consegna il biglietto dell'indovinello n. 4, che risolto, contiene le indicazioni per trovare il biglietto nascosto con l'indicazione della prova n. 4: CANTARE INSIEME UNA CANZONE CHE TUTTI CONOSCONO (tempo massimo: DUE minuti per deciderla e cantarla) Ultima prova: il bigliettino con l'ultimo indovinello consegnato dal capo gruppo descrive il posto dove si trova il tesoro (per individuarlo usare gli esempi per gli indovinelli) !!! * Esempi per gli indovinelli (da adattare poi al tipo di casa o di spazio che si sceglie per la caccia al tesoro): - Forse piove o forse no, ma con quello mi riparerò (l’ombrello) - C’è chi lo usa e chi no, ma nel bagno lo troverò (il sapone) - Se son stanco mi riposa, se son sveglio ci salto sopra! (il materasso) - Servono per cucinare e son sempre da riempire (le pentole) - Non è uno strumento eppure suona se uno vien dentro… (il citofono) - Sali e scendi che fatica, ma senza la casa non sarebbe finita (la scala) - Sopra quella la capra canta… (una panchina) - Se il giardino è recintato, forse un lucchetto l’avrà serrato? (il cancelletto di un giardino o parchetto) - Avanti e indietro lei va, sempre una coda accanto a lei sta (l’altalena) - Dentro è buia e piena di insetti, ma se cerchi ha anche i biglietti…(la siepe) Il tesoro: L'ultimo indovinello indica il luogo dove si nasconde il tesoro.... che consisterà in un sacchettino pieno di caramelle o di monete di cioccolata. Oppure si possono introdurre piccoli regalini. Per chi perde, il premio di consolazione è…..la merenda per tutti!
Educazione: 9 frasi da non dire MAI al vostro bambino
A tutti noi genitori stanchi e sempre di fretta può capitare di rivolgerci ai nostri figli con frasi sbagliate, che possono lasciare i nostri piccoli feriti e arrabbiati. Paula Spencer, blogger del sito americano parenting.com, ha stilato un elenco delle 9 cose che è meglio evitare di dire ai bambini e con quali frasi sostituirle. Leggi anche: Educazione dei figli: i 10 errori più comuni che fanno i genitori di oggi 1 Lasciami in pace! E' più che lecito che un genitore si prenda una pausa dai figli. Ma dire troppo spesso a un piccolo frasi come: "Lasciami in pace", "non disturbarmi", "sono occupata"... si rischia di far interiorizzare al bambino il messaggio che voi non avete mai tempo per lui. In questo modo sarà difficile che quando sarà grande abbia un dialogo con voi e vi racconti i suoi problemi da adolescente. Bisognerebbe, invece, abituarli fin da piccoli che i genitori hanno bisogno di un tempo per sé. Lasciateli qualche volta con una baby sitter, con una nonna o da un amico, e prendetevi un po' di spazio. Quando tornerete da loro sarete più disponibili. E quando siete stressate e dovete fare qualcosa di corsa, preparatevi in anticipo delle frasi da dire ai vostri figli. Ad esempio potete dire: "La mamma deve finire una cosa importante, state tranquilli a disegnare per qualche minuto, appena ho finito vi porto fuori". Ovviamente siate realistiche: difficilmente un bambino di età prescolare potrà intrattenersi un'ora da solo... 2 Tu sei così... Le etichette, soprattutto se negative, rimangono appiccicate ai bambini e si trasformano in profezie che si autoavverano "Perché sei sempre così... timido"? "Perché sei così scema...". Alla fine un piccolo si sente davvero stuipido e inizierà a comportarsi di conseguenza. Ma anche l'etichetta di "intelligente" rischia di trasformarsi in un'aspettativa difficile da sopportare per un bambino piccolo. Un approccio di gran lunga migliore è quello di affrontare il comportamento specifico ed evitare gli aggettivi sulla sua personalità. "Hai sbagliato a trattare male la tua amica. Vediamo insieme come si può rimediare..." 3 Non piangere Dire frasi come: "Non essere triste"; "Non fare il bambino"; " Non c'è motivo di avere paura"... Ma i bambini piccoli che ancora non riescono a dire a parole quello che provano è normale che piangano, così come è normale che abbiano delle paure. Dirgli che non devono piangere o non c'è motivo di essere tristi, significa mandargli il messaggio che le loro emozioni non sono valide. E che non è un bene essere tristi o spaventati. Piuttosto che negare le emozioni di un bambino, è molto meglio dimostrargli di riconoscere quello che prova, ad es: "Devi essere molto triste perché lui non vuole essere più tuo amico". "E' normale che tu abbia paura delle onde, ma io ti starò vicino e ti terrò per mano e vedrai che non ci sarà nessun percolo". Nominate le emozioni che prova vostro figlio, imparerà a gestirle e a non farsi travolgere. E la prossima volta anziché piangere descriverà con parole sue cosa sta provando. 4 Perché non sei come tua sorella? A volte viene naturale prendere un fratello d'esempio: “Tua sorella alla tua età si vestiva già da sola...”. Ma i paragoni si possono ritorcere contro. Inoltre ogni bambino è diverso dall'altro. Lasciate che ognuno si sviluppi secondo il proprio ritmo, il proprio temperamento e la sua personalità. Paragonarlo sempre agli altri, potrebbe far sembrare a vostro figlio che voi lo avreste desiderato diverso. Inoltre i confronti continui non aiutano a migliorare i comportamenti. Sentirsi sempre sotto pressione per qualcosa che non è pronto a fare o che non gli piace fare può essere fonte di confusione e stress e può minare la sua autostima (Leggi anche: Autostima in 7 regole: ecco come crescere bambini sicuri) Oppure potrebbe risentirsi e non fare ciò che gli chiedete per ripicca e iniziare così un braccio di ferro che non porta da nessuna parte. Meglio invece incoraggiare i successi e portare ad esempio ciò che riesce a fare: “Bravo, ti sei infilato il cappotto da solo!”... Leggi anche: Avere sorelle influenza il carattere? 5 Dai che lo sai fare benissimo! Come i confronti, le frecciatine ai figli possono fare più male di quello che un genitore immagina. Imparare è un percorso fatto di prove ed errori. Davvero pensate che vostro figlio sia capace di versarsi l'acqua da quella brocca così pesante? Se non se la sente non insistite, casomai provate insieme a vedere come fare. Magari riempite la brocca con meno acqua così non avrà paura di non riuscire a versarla. E se sbaglia evitate un commento negativo: non sarà né produttivo né d'aiuto. Da evitare anche frasi come: “Non posso credere che l'hai fatto!” “Era ora!” . Non sembrano frasi terribili, ma non vogliono dire niente e il messaggio che un piccolo potrebbe ricevere è “tu non fai mai niente di buono”!
L’equinozio di primavera è notte di cicogne.

Il 20 marzo (fino al 2020 l’equinozio di primavera cadrà in questa data)  è il giorno dell’equinozio di primavera, che rappresenta  il momento ideale  per concepire un bambino grazie alla giusta combinazione di temperature, durata giorno-notte. A dirlo è il pediatra di Milano Italo Farnetani, che da anni studia la correlazione tra concepimenti e l’andamento delle temperature.
Ma perchè l’equinozio di primavera andrebbe a influire sul concepimento?
Il 20 marzo la  durata del giorno  è uguale a quella della notte e questa situazione è vantaggiosa per la donna:  la luce ha effetti benefici sugli ormoni sessuali femminili favorendo così il concepimento. Le temperature notturne inoltre, non troppo elevate ma nemmeno troppo basse,  non danneggiano gli spermatozoi. La temperatura ottimale dovrebbe essere quella intorno ai 12 gradi.

Sintomi di una gravidanza in atto

sintomi iniziali di una gravidanza variano da donna a donna e, in una stessa donna, da gravidanza a gravidanza. Tuttavia, uno dei più importanti sintomi della gravidanza è il mancato arrivo delle mestruazioni. Anzi questo è il primo VERO sintomi di gravidanza, tutti gli altri sono molto soggettivi.
Comprendere i segni ed i sintomi della gravidanza è importante anche  perché ogni sintomo può essere collegata a qualcosa di diverso dalla  gravidanza.
Alcune donne sperimentano i primi sintomi di una gravidanza entro una settimana dal concepimento. Per altre donne, i sintomi della gravidanza si possono sviluppare nel corso di alcune settimane oppure non presentarsi affatto.
Di seguito vi riporto un elenco di alcuni dei più comuni sintomi di gravidanza, i primi sono in ordine più o meno cronologico. Naturalmente se state cercando un bambino o avete avuto rapporti completi non protetti e presentate uno di questi sintomi, soprattutto se le mestruazioni non si sono presentate quando dovevano, è importante eseguire un test di gravidanza.
Sicuramente il primo sintomo se e quando si presenta, è rappresentato dalle perdite da impianto, tutti gli altri possono presentarsi in qualsiasi ordine  di tempo. anche se le mancate mestruazioni, raramente stanno giù dal podio.

 1. Perdite da impianto dell’embrione

Lo spotting da impianto  può essere uno dei primi sintomi della gravidanza. Circa i 5-8 giorni dopo il concepimento, l’embrione si impianta nella parete uterina. Alle perdite possono essere associati dei doloretti simil mestruali. Non tutte osservano queste perdite, anzi spesso sono l’eccezione e non  la norma. Ci sono altri motivi che possono causare spotting intra-ciclo e sono rappresentati dalle perdite che anticipano le mestruazioni, oppure possono essere dovute alla rottura di qualche capillare, a piccole abrasioni o anche ad infezioni. Quindi se non è in corso una gravidanza è sempre bene riferire al medico se si manifestano perdite di sangue senza motivi particolari. .

2. Mestruazioni in ritardo

Quando il ciclo mestruale non si presenta, scatta l’allarme. Sarò incinta? E’ possibile, ma anche no. Le mestruazioni in genere si presentano circa un paio di settimane dopo l’ovulazione e se per qualche motivo quest’ultima è avvenuta in ritardo,  anche le mestruazioni seguiranno il ritardo a ruota. Pertanto è sempre ben fare attenzione ai sintomi dell’ovulazione per capire sia quando mirare i rapporti, sia quanto aspettare per attendere le mestruazioni e quindi avere anche un ‘idea di quando sarà possibile effettuare il test se queste non si presentano.
Le mestruazioni si presentano anche in caso di gravidanza?
In alcuni casi può succedere di registrare un leggero spotting o una pseudo-mestruazione anche in caso di gravidanza appena instaurata. Si tratta di poche macchie  e non il solito flusso. Se pertanto il ciclo che arriva ha una consistenza diversa ed è molto ma molto scarso rispetto al solito, non c’è il normale flusso e termina subito, allora si può sospettare una gravidanza
Ci sono altri motivi per cui le mestruazioni non si presentano? 
Si, ad esempio perché si è ovulato in ritardo o non si è ovulato affatto; oppure per qualche scompenso ormonale dovuto a vari fattori come lo stress, un cambiamento nelle abitudini, un forte dimagrimento e così via.
Anche se si è interrotta la pillola da poco il ciclo potrebbe faticare a ritornare e questo perché il nostro organismo ci mette un po’ per ritrovare i ritmi naturali.

3. Seno: le taglie aumentano, i capezzoli cambiano

La tensione al seno, e un seno più pieno, sono uno dei primi sintomi della gravidanza. Nel mio caso  ad esempio mi ha fatto sospettare la gravidanza ancora prima del ritardo delle mestruazioni.
E’ normale avere un po’ di tensione al seno dopo l’ovulazione , per effetto del progesterone che viene prodotto dal corpo luteo dopo la liberazione della cellula uovo. La produzione di progesterone aumenta in caso di gravidanza, dopo l’impianto dell’embrione nell’utero. Pertanto è possibile provare una maggior tensione al seno già dopo 1-2 settimane dal concepimento.
Ovviamente la gravidanza non è l’unica responsabile dei un seno pià sensibile e gonfio. Può essere dovuta all’assunzione della pillola anticoncezionale, a qualche problemino ormonale o semplicemente  alla  sindrome premestruale.
Anche i capezzoli possono subire dei cambiamenti: le areole infatti  possono diventare più scure. I tubercoli del Montogomery possono si diventare più evidenti ma a gravidanza inoltrata, nel secondo trimestre in genere .

4. Nausee mattutine e iperemesi

Questo è un tasto dolente per chi ne ha sofferto o ne soffre attualmente. Uno dei fastidi peggiori  e che delle volte va a braccetto con il vomito. In quest’ultimo caso attenzione all’iperemesi gravidica, che non va sottovalutata per evitare disidratazione.
Le nausee in genere iniziamo a manifestarsi  da 2 a 8 settimane dopo il concepimento e in genere cessano con il termine del primo trimestre di gravidanza. 
Attenzione: non è necessario soffrire di nausee quando si è incinte e quindi non spaventatevi se il test è  positivo e state bene. Chi ne a sofferto vi invidierà di sicuro e quindi godetevi il vostro benessere che è impagabile!!!