Denise Pipitone: Un'intercettazione riapre il caso della scomparsa
Una nuova inchiesta è stata aperta dalla Procura di Marsala a seguito dell'intercettazione ambientale dell'11 ottobre 2004 in cui si ascolta un dialogo tra Jessica Pulizzi e la sorella minore Alice. La prima avrebbe detto alla seconda che la loro madre, Anna Corona, ha ucciso Denise. Il fascicolo aperto dalla procura in questo momento è contro ignoti. Jessica, attualmente sotto processo davanti alla terza sezione della Corte d'appello di Palermo per concorso in sequestro di minorenne - avrebbe detto in dialetto alla sorella, secondo la trascrizione del perito, "Eramu n'casa, a mamma l'ha uccisa a Denise" (Eravamo a casa, la mamma ha ucciso Denise). Ad ascoltare e trascrivere la frase, pronunciata a bassa voce, è stato il perito nominato dalla Corte d'appello, Massimo Mendolìa. Anna Corona, assieme ad altri, era stata indagata per concorso in sequestro, ma poi il procedimento fu archiviato. "Se la notizia relativa all'apertura dell'inchiesta è vera - dice l'avvocato Giacomo Frazzitta, legale di parte civile che assiste Piera Maggio, mamma di Denise - il fatto che venga divulgata mette sull'avviso gli interessati". Denise Pipitone sparì da Mazara del Vallo (Tp) il primo settembre 2004. Sotto processo, per sequestro di persona, finì la sorellastra Jessica Pulizzi, nata dal matrimonio tra Anna Corona e Piero Pulizzi, padre naturale di Denise. Il 27 giugno 2013, Jessica, che adesso ha 27 anni, è stata assolta dal Tribunale di Marsala "per non aver commesso il fatto", anche se con la formula del secondo comma dell'articolo 530 del codice di procedura penale ("mancata o insufficiente formazione della prova"). Per l'imputata l'accusa aveva chiesto 15 anni di carcere.
Labrador si scaglia contro i rapinatori per difendere la padrona: ucciso
Etichette: 0 commenti | edit post
Raffreddore bambini 0-2 anni
Con l’arrivo della stagione fredda si ricomincia con il tran tran di raffreddori e altre infezioni respiratorie. Pare non si faccia in tempo a finire con una malattia che ne comincia un’altra, almeno fino a primavera. È un fenomeno normale nei bambini, soprattutto prima dei sei anni. “Più i bambini sono piccoli, più è facile che si ammalino, perché sono ancora ‘vergini’ da un punto di vista immunologico, vale a dire non conoscono ancora i vari agenti infettivi e appena ne vengono a contatto ne restano contagiati” dice Maurizio de Martino, Direttore del Dipartimento di Pediatria Internistica Ospedale Pediatrico Anna Meyer, Università di Firenze. Ci sono bambini che, esposti agli stessi fattori di rischio di altri coetanei, vanno incontro più facilmente ad infezioni alle alte e basse vie respiratorie, ossia, per usare l’espressione medica, a infezioni respiratorie ricorrenti (la sigla è IRR), che comprendono raffreddori, tonsilliti, otiti, faringiti, bronchiti e broncopolmoniti. A volte arriva anche la febbre. È un fenomeno che riguarda circa il 6% dei bambini in età prescolare e comincia ad attenuarsi a partire dai 4-6 anni, man mano che il sistema immunitario matura e comincia a formarsi un suo ‘bagaglio di esperienze’. Perché alcuni bambini si ammalano più di altri? I fattori possono essere: Un sistema immunitario più ‘lento’. Ogni bambino ha tempi di maturazione individuali del sistema immunitario ed alcuni possono avere un sistema di difesa più ‘lento’ rispetto ad altri coetanei; una questione ereditaria. Se uno dei genitori da piccolo era solito ammalarsi di frequente, è più probabile che anche il figlio abbia la stessa tendenza; l’ingresso precoce all’asilo nido. È il luogo dove si concentra un gran numero gi germi, in una fase in cui il bambino non è ancora ben pronto a contrastarli; l’esposizione al fumo passivo. Il fumo blocca i meccanismi di protezione delle vie aeree e rende più vulnerabili alle infezioni; A questi si aggiungono fattori minori, come vivere in un posto inquinato o avere il caminetto in casa: “La combustione della legna produce biossido di azoto ed anidride solforosa che, specie in bambini di per sé più deboli, diminuiscono le difese delle vie aeree” commenta il pediatra. Quali sono le regole di prevenzione per raffreddore e malanni di stagione? Abituare il bambino a lavarsi le mani più volte al giorno e soprattutto prima di mangiare. Ritardare se possibile l’ingresso al nido, o scegliere micronidi o nidi in famiglia, frequentati da un minor numero di bambini. È vero che se la mamma deve tornare al lavoro è una soluzione difficile da adottare, ma è pur vero che un bambino che si ammala spesso è costretto a restare tanti giorni a casa, con tutte le difficoltà organizzative – ed economiche - che ne conseguono. Evitare l’esposizione al fumo e all’inquinamento. Se non è possibile andare a vivere in campagna, è almeno possibile evitare di fumare in presenza del bambino o di farlo soggiornare dove si fuma, di usare il caminetto in casa o di uscire a passeggio nelle ore di maggior traffico. Allattare al seno. Allattare il bambino al seno contribuisce a uno sviluppo di migliori difese immunitarie. Curare l’alimentazione. Se il bambino è già svezzato, è importante assicurargli un’alimentazione equilibrata e variegata, che comprenda tutti i nutrienti e le sostanze antiossidanti che si possono trovare soprattutto in frutta e verdura. Integratori: non servono, se non vi sono carenze. Superflui invece gli integratori, a meno che non vi siano specifiche ed accertate carenze di determinate sostanze. Evitare un uso intensivo del ciuccio. Si è visto che un uso continuativo del ciuccio può favorire l’insorgenza di otiti: “Il meccanismo non è ancora chiarito, ma si ipotizza che la suzione prolungata favorisca il reflusso di secrezioni nasofaringee all’interno della tuba di Eustachio” dice Claudio Profeti, neonatologo presso l’Ospedale Pediatrico Anna Meyer, Azienda Ospedaliera Universitaria di Firenze. Immunostimolanti: non servono. Gli immunostimolanti contengono estratti di batteri responsabili delle infezioni che, come una sorta di vaccino, dovrebbero sollecitare la risposta immunitaria e renderla più resistente di fronte agli attacchi delle infezioni. “Sulla loro efficacia i pareri della comunità scientifica sono discordanti, inoltre i bambini con infezioni ricorrenti non sono immunodeficienti, quindi non hanno bisogno di sostanze immunostimolanti” è il commento di Mautrizio de Martino. Quali sono le buone pratiche da seguire quando il bambino ha il raffreddore o altre malattie respiratorie? Fare lavaggi nasali. Servono per liberare il naso dal muco, che impedisce al bambino di respirare e di riposare bene. Il metodo più semplice è iniettare della soluzione fisiologica (o una soluzione ‘casalinga’ al 90% di acqua e 10 % di sale) nelle narici con una siringa senza ago. Fare aerosol, sempre con la sola soluzione fisiologica, dal momento che il vapore fluidifica il muco. Umidificare gli ambienti, l’aiuto di un umidificatore (ma senza aggiungere sostanze balsamiche, che potrebbero irritare!) o più semplicemente stendendo sui radiatori teli di spugna bagnati e strizzati. Dare da bere in abbondanza, perché i liquidi fluidificano il muco. Aggiungere un cuscino sotto il materasso. Far dormire il bambino con la testa un po’ più sollevata rispetto al solito lo aiuta a far defluire le secrezioni e respirare meglio durante il sonno. Non dare medicinali di propria iniziativa, senza aver prima interpellato il pediatra. Quando bisogna rivolgersi al pediatra? sopraggiunge febbre elevata, che non passa dopo 2-3 giorni; si notano persistenti secrezioni purulente giallo-verdognole; il bambino è particolarmente inappetente e lamentoso; si ha l’impressione che il bambino avverta mal d’orecchie; il piccolo ha meno di 3 mesi di vita.
Pediatri arrestati. Dicevano a mamme: "Non allattate" Meglio il latte in polvere
LIVORNO 21 Novembre 2014 Convincevano le mamme a non allattare: 12 pediatri in manette. I Carabinieri dei NAS di Livorno e dell'Arma territoriale stanno eseguendo 18 ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari per corruzione nei confronti di 12 pediatri, tra cui due primari, 5 informatori scientifici e un dirigente d'azienda di alimenti per l'infanzia, nonché 26 decreti di perquisizioni in Toscana, Lombardia, Marche e Liguria. 
Secondo le indagini, i medici inducevano le mamme a utilizzare latte artificiale di note ditte al posto del latte materno.  
Etichette: 0 commenti | edit post
Quando arriverà l'influenza 2014-2015?
Le temperature ballerine degli ultimi giorni stanno iniziando a mietere le "prime vittime". Complice il tempo ballerino, sempre più italiani, soprattutto bambini, sono a letto con quella che viene definita 'simil-influenza', una sindrome causata da virus simili a quelli influenzali ma con sintomi meno intensi. "Quelli attualmente in circolazione sono virus parainfluenzali che appartengono a 260 diversi tipi, dai rinovirus ai coronavirus. Tutti provocano sindromi simili all'influenza ma, appunto, meno intense, con sintomi vari come febbre, naso chiuso, problemi intestinali'' afferma Fabrizio Pregliasco, ricercatore del dipartimento di Scienze Biomediche dell'Università di Milano. Oltre 90mila i casi stimati, soprattutto tra i bambini. Pur presentandosi come una sorta di 'influenza attenuata', questo malanno di stagione non va sottovalutato. Il consiglio dell'esperto? ''Se i sintomi persistono, è bene rivolgersi al medico''. Quando arriverà l'influenza 2014-2015? A dicembre Per l'influenza vera e propria dovremo aspettare dicembre. Ci sono stati alcuni primi casi isolati, con virus simili a quelli dell'anno scorso. Per questo motivo, spiega Pregliasco "si prevede una stagione influenzale di intensità non elevata''. Come mai non è ancora arrivata la 'vera influenza'? ''I virus influenzali - chiarisce lo specialista - si diffondono più massicciamente in presenza di basse temperature che si protraggono nel tempo''. Come prevenire l'influenza? Con l'alimentazione uno dei consigli per prevenire l'influenza è fare attenzione a quello che si mette in tavola. Come consigliano i nutrizionisti è importante non far mancare frutta e verdura, ricche di vitamine e utili per combattere raffreddori. Anche i sali minerali, dal calcio al fosforo, possono dare una mano. Contenuti di diversi alimenti, rinforzano il sistema immunitario. Inoltro, il Centro Europeo per il controllo delle Malattie (ECDC) ha stilato una serie di azioni utili per prevenire il contagio. E' fortemente raccomandato lavare bene e spesso le mani. E in assenza di acqua e possibile anche utilizzare gel alcolici E' una buona norma coprire bocca e naso quando si starnutisce o tossisce E' preferibile l'isolamento volontario a casa delle persone ammalate specie durante la fase iniziale
Bambino vuole stare 'sempre' in braccio...
“Attenta, se lo prendi sempre in braccio già ora che è piccolo, cresce viziato!”. È una sorta di mantra che, pur se con infinite varianti sul tema, ogni neo-mamma si è sentita dire (almeno una volta!) da chi crede di saperla molto più lunga di lei. Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale, che si occupa da anni di puericultura, parto e allattamento, mamma di due bambine, nel suo libro “E se poi prende il vizio?”, (Il Leone Verde), sostiene però il contrario: tenere in braccio il neonato (o bambino piccolo) significa rispondere a un suo bisogno naturale e fisiologico, molto importante per la sua crescita sana e serena. L’idea che sia meglio non tenere 'troppo' in braccio il neonato (e il bimbo molto piccolo) ha un qualche fondamento scientifico o no? Questa convinzione, ancora molto diffusa nella nostra cultura, non ha base oggettiva, né scientifica. La pratica di limitare il contatto fisico tra figlio e genitore è un pregiudizio culturale molto forte. Il bimbo nasce con un'esperienza di totale avvolgimento e si scontra con questo pregiudizio di chi dice di non prenderlo in braccio. Appena nato, ogni piccolo cerca la vicinanza fisica che gli garantisce la sopravvivenza fuori dalla pancia. Si tratta di un bisogno naturale e fisiologico di ogni cucciolo d'uomo, in ogni parte del globo. “Spesso, da noi, si condivide l'opinione secondo cui un bambino che piange o reclama attenzione è soltanto un bambino viziato, capriccioso o furbo o noioso che vuole distrarre l'adulto senza un motivo valido; come se i bisogni dei bambini fossero trascurabili o, addirittura, come se ignorarli servisse al bebè da palestra di vita per diventare grande, forte e indipendente”. (Alessandra Bortolotti, “E se poi prende il vizio?”, Il Leone Verde). Ci spieghi meglio: che cosa vuol dire che il contatto fisico è un bisogno naturale e fisiologico di tutti i neonati? Il tatto è il primo senso che si forma e, attraverso la pelle, le 'informazioni' arrivano al cervello. Già nella vita uterina, verso l'ottava settimana, l'embrione ha una pelle molto sviluppata in grado di reagire agli stimoli. In altre parole, la pelle è l'organo del nostro corpo che si sviluppa per primo e ha maggiori connessioni con il sistema nervoso centrale. Il bisogno di contatto garantisce al bimbo la sopravvivenza fuori dalla pancia. Insomma, non si può vivere senza tatto... Come scrivo nel mio libro, il bisogno di contatto è anche superiore a quello di nutrimento come dimostrano, per esempio, gli esperimento di H. Harlow sulle scimmie Rhesus in laboratorio. I cuccioli appena nati preferiscono il contatto con una finta mamma ricoperta di pelo sintetico che avvolge ed emana calore, piuttosto che il biberon offerto da una fredda mamma metallica. Allora, possiamo dire che prendere in braccio un bimbo è importante come nutrirlo e accudirlo ... Insomma, non è mai un vizio? La vicinanza fisica tra mamma e bambino rientra nella categoria dei bisogni primari ed è fondamentale soddisfarla. Non è certo un vizio e nessuno studio lo dimostra. Dopo nove mesi nella pancia, in una condizione protetta e accogliente, ogni bimbo del mondo cerca, in modo del tutto naturale, le braccia della mamma. Il 'troppo' contatto fisico non esiste, è invece un normale bisogno fisiologico che si modifica a seconda dell'età. Non dimentichiamo che tutte le sensazioni emotive che passano al bimbo attraverso la pelle e il tatto, nell'abbraccio, per esempio, sono importantissime, e benefiche, per la sua crescita psicofisica globale. Come mai nel mondo occidentale, spesso, sembra che la cosa più importante sia 'staccare' presto, quasi il prima possibile, il bimbo dalla mamma e, già da piccolissimo, renderlo indipendente? Nella nostra cultura è ancora comune l'idea che l'autonomia del bambino sia favorita da un precoce distacco tra genitore e figlio. L'adulto 'bravo' ci riesce prima, più in fretta, e altrettanto bravo è il bimbo che accetta la situazione senza tante storie. In realtà, questa è solo un'altra convinzione culturale. Non è dimostrato da nessuno studio che i bimbi che vivono un distacco precoce diventino adulti più sicuri e sereni. Secondo lei, che cosa può dare invece sicurezza al bambino? Nei primi tre anni di vita, ogni bimbo cerca il contatto fisico per fare 'pieno di sicurezza'. Naturalmente, la 'quantità' di vicinanza e coccole cambia molto per un bebè di tre mesi o un piccolo di due-tre anni. Il bimbo non è un pupazzo inerme privo di capacità ma è competente, si 'muove da solo' verso l'indipendenza, secondo i suoi ritmi. Se cerca sempre la mamma quando è più grande, significa che gli è mancato qualcosa nel primo periodo della sua vita. Come sostiene lo psicologo e psicoanalista inglese John Bowlby con la sua teoria dell'attaccamento, un buon rapporto con la mamma rappresenta la base sicura indispensabile per esplorare il mondo e crescere sereni e fiduciosi in se stessi. Il nostro scopo come adulti è dare sicurezza al bambino decodificando i suoi segnali. Se un neonato, per esempio, piange va preso in braccio, poiché esprime un bisogno. Diverso è il caso di un bimbo di due anni che strilla perché vuole una nuova macchinina. Queste sono bizze. Il bisogno di contatto, invece, non ha nulla a che vedere con i 'vizi' e accomuna tutti gli esseri umani”. Ma a volte le mamme dicono che è difficile, e anche un po' stancante, prendere spesso in braccio il bimbo. Come ci si può comportare pensando al benessere del piccolo? Dare una risposta al bisogno primario di vicinanza fisica del bambino non vuol dire rinunciare a qualsiasi tipo di attività per sei mesi. Basta ingegnarsi un po'! Come mamma, ho risolto la questione in modo molto semplice, utilizzando la fascia con mia figlia che lascia le mani libere e la possibilità di fare anche altro. E, a sette mesi, la piccola quasi camminava già. Non è vero, infatti, che stare vicino alla mamma dentro la fascia 'blocchi' dal punto di vista fisico il normale sviluppo del neonato nei primi sei mesi vita. Al contrario, la fascia è utilissima e comoda, ma deve adattarsi al singolo bimbo, un po' come un buon paio di scarpe! Nei primi sei mesi di vita un'ottima soluzione, ancora poco praticata, è anche quella di appoggiare il neonato per terra, vicino a sé, su un tappeto morbido con tanti cuscini intorno. Non è necessario tenerlo sempre nella culla, nell'ovetto o sulla sdraietta che è rigida e può risultare scomoda. Per terra, tra l'altro, il neonato può muoversi, sgambettare e sentirsi più libero. Così, la mamma, per esempio, può stare in cucina e preparare la cena tranquilla con il suo bimbo appoggiato su un tappeto vicino a lei. E se il bimbo piange disperato, che cosa è meglio fare? C'è chi afferma che è 'furbo' e non fa male lasciarlo piangere, così 'può farsi i polmoni'. Che ne pensa? Spesso la convinzione di non prendere 'troppo' in braccio il bimbo piccolo, nel primo anno di vita, è considerata altrettanto valida quando piange: un altro pregiudizio su cui è essenziale far chiarezza. Per un piccolo di cinque-sei mesi, il pianto è l'ultimo segnale, la sua ultima 'risorsa' per dimostrare un qualche disagio. In genere, prima di strillare disperato, avrà cercato di comunicare con l'adulto lanciando altri segnali che probabilmente non sono stati interpretati. È allora importante prenderlo in braccio e confortarlo. Da uno studio recente è emerso che quando il piccolo urla inconsolabile bastano due minuti perché entri in circolo nell'organismo il cortisolo, l'ormone dello stress. E poi ci vogliono almeno 24 ore affinché venga riassorbito. Insomma, allora, lasciare il bimbo piangere non gli insegna a essere più forte? No, il pianto ignorato fa sentire il piccolo incapace di usare quanto la natura gli ha dato, un segnale evidente che il genitore volutamente ignora. Lasciare un bimbo di sei mesi piangere e non prenderlo in braccio come modalità educativa non aiuta certo a renderlo più forte e autonomo. Con questo atteggiamento, non si offre una risposta a un bisogno naturale condiviso da ogni cucciolo d'uomo. E la sua memoria emotiva 'registra' questa mancanza di contatto pur se a livello inconscio. Fino a tre anni domina infatti l'emisfero destro, quello delle emozioni, che non è cosciente e per questo non possiamo ricordare a livello razionale. Limitare le occasioni di contatto significa privare il bimbo di quelle iniezioni di fiducia così importanti per l'acquisizione dell'autostima, necessaria per una crescita sana e serena.
Coliche del neonato:cause,rimedi
Qual è la regola per parlare di coliche o crisi di pianto inconsolabile? Quali sono le cause, i rimedi e le soluzioni. Possono venire a causa dell'alimentazione della mamma che allatta oppure per il latte artificiale. Quali farmaci possono essere utilizzati? Le risposte di Arrigo Barabino, primario di gastroenterologia pediatrica presso l’Ospedale Gaslini di Genova Le coliche del neonato sono un disturbo che colpisce circa il 10% dei lattanti nei primi mesi di vita e che stressa molto i genitori, che si sentono impotenti di fronte al pianto inconsolabile del proprio figlio. Le cause delle coliche gassose non sono ancora ben chiare, ma esistono accorgimenti che possono dare sollievo al piccolo. Nell’attesa che, dopo i tre-quattro mesi di età, cessino da sole. “Non bisogna pensare alle coliche ogni volta che il neonato piange” dice Arrigo Barabino, primario di gastroenterologia pediatrica presso l’Ospedale Gaslini di Genova. “Nei neonati un pianto, che si prolunga anche per due ore al giorno, è da considerare fisiologico e fa parte del normale sviluppo. Si può invece ipotizzare che il bambino soffra di coliche se rispetta la cosiddetta ‘regola del 3’, coniata negli anni ’50 dal dottor Wessel e valida ancor oggi: si tratta di coliche se ci troviamo davanti a un lattante sano, ben nutrito, che piange più di 3 ore al giorno, per più di 3 giorni alla settimana, e per più di 3 settimane di seguito”. Anche i sintomi hanno caratteristiche ben precise: all’improvviso il bambino, senza alcuna causa scatenante, comincia a essere irrequieto e a strillare, diventa pallido o addirittura cianotico, stringe i pungi, flette le gambe sull’addome. Neanche il seno della mamma o il succhiotto spesso riescono a dargli consolazione. Tra una crisi e l’altra può calmarsi, addormentarsi, emettere un flato, che gli procura sollievo momentaneo. Di solito (ma non è una regola assoluta) le crisi sono più frequenti nelle ore serali se il bambino è allattato al biberon, mentre nei piccoli allattati al seno possono manifestarsi in qualunque momento della giornata. (Leggi anche: 10 + 1 consigli per calmare le coliche del neonato) Le coliche cominciano a manifestarsi in genere verso la 4-5 settimana di vita, ma sono autolimitanti, ossia si riducono spontaneamente dopo i 3 mesi, fino a cessare del tutto. Alla diagnosi di colica gassosa si arriva dopo un’attenta visita del pediatra, volta a escludere altre cause (circa il 5%), come ad esempio un reflusso gastro-esofageo, impatto fecale (ossia l’accumulo di feci nell’ultimo tratto dell’intestino), eventuali traumi, ma anche semplicemente un corpo estraneo nell’occhio che infastidisce il bambino. La prognosi delle coliche gassose è buona per quanto riguarda il sintomo in sé stesso, anche se alcuni studi hanno dimostrato che il lattante con coliche abbia un rischio aumentato di presentare nel primo anno di vita dei disturbi del sonno, dell’attenzione e dell’umore per cui può essere definito di temperamento “difficile”. (Leggi anche 11 consigli per calmare le coliche del neonato) Le cause delle coliche: non ci sono certezze “Sulle cause delle coliche sono state fatte numerose ipotesi, ma ancora oggi non abbiamo certezze” dice Barabino. “Una prima ipotesi è quella psico-relazionale, secondo la quale alla base delle coliche ci sarebbe un alterato rapporto mamma-bambino. In effetti le coliche gassose si presentano maggiormente nei primogeniti e nelle classi sociali più elevate, con mamme più apprensive o iperprotettive e possono scomparire se il bambino è affidato alle cure di terzi. Inoltre vi è maggior rischio nelle madri single, depresse o che hanno vissuto con ansia la gravidanza. Tuttavia studi psicologici condotti a lungo termine su tali famiglie non hanno portato a conclusioni ben definite al riguardo. Un’altra teoria chiama in causa l’eccessiva presenza di gas nelle anse intestinali (da qui il nome di coliche gassose), determinata o da eccessiva ingestione di aria col pasto o da produzione di aria intestinale. In effetti alla visita pediatrica l’addome si presenta molto espanso e meteorico, ed in genere l’eliminazione di gas porta beneficio, anche se transitorio. Tuttavia non vi è una chiara dimostrazione che il bambino con le coliche abbia più aria nell’intestino rispetto al bambino senza coliche. Poi c’è la teoria di una eccessiva dinamica della peristalsi. I bambini che soffrono di coliche cioè avrebbero delle contrazioni intestinali più intense a causa di una produzione maggiore di un ormone chiamato motilina (i cui livelli sembrano variare in rapporto all’alimentazione e all’esposizione passiva al fumo di sigaretta). Tale ipotesi è suffragata dal fatto che alcuni lattanti con coliche rispondono positivamente a farmaci antispastici. Altre ipotesi chiamano in causa l’allergia alimentare al latte vaccino, non solo a quello del latte artificiale, ma anche alle piccole quantità di latte vaccino che passano attraverso il latte materno. Che cosa fare se il bebè ha le coliche La prima cosa da fare è rivolgersi al pediatra, che, dopo aver visitato il bambino ed aver escluso altre cause, potrà rassicurare i genitori spiegando loro che: il bambino sta bene e cresce bene: le coliche infatti non comportano rischi per la salutee non compromettono la crescita del lattante; si tratta di un problema maturazionale del neonato e si risolvono spontaneamente dopo i 3 mesi di vita; le coliche non sono indice di scarso affetto o scarse attenzioni da parte della mamma. “Tranquillizzare i genitori, e soprattutto la mamma che trascorre col bambino molto più tempo, è il primo passo per affrontare le coliche nel modo giusto” spiega Barabino. “Spesso infatti di fronte ad un pianto così inconsolabile e stressante la mamma si sente nervosa e frustrata e le prova di tutte: prova a modificare la sua alimentazione, tenta di cullarlo e calmarlo, lo attacca al seno (o al biberon) continuamente, molte volte guidata e consigliata da parenti e amici (compreso il papà), che la fanno sentire giudicata e inadeguata. Il rischio? Che si crei un circolo vizioso: il bebè infatti capta subito se nell’aria c’è tensione e preoccupazione e quindi potrebbe mostrarsi ancor più irrequieto e implacabile. Viceversa, un atteggiamento sereno e tranquillo diminuisce la tensione mamma-bambino e infonde sicurezza e serenità al piccolo, che potrebbe quietarsi più facilmente”. E se fosse colpa del latte? Tra i colpevoli delle coliche viene chiamata in causa anche l’allergia alimentare. “Ha senso sospettare un’allergia solo se sulla cute compare un’eczema e se c’è almeno un familiare di primo grado con accertata allergia” dice Barabino. “Se la mamma allatta al seno il suo bambino, si consiglia di solito una dieta di eliminazione, che prevede di togliere non solo il latte e i suoi derivati, ma anche altri alimenti potenzialmente allergizzanti, come uova, pesce, frutta secca. Si è visto che effettivamente in questo modo c’è una riduzione del tempo di pianto, ma non è un beneficio sufficiente a giustificare una dieta così spinta, che a lungo andare provoca carenze nell’alimentazione materna. Non è invece assolutamente dimostrato che l’assunzione da parte della mamma di alimenti come i legumi o certi tipi di ortaggi, come i cavolfiori, favoriscano le coliche gassose”. Se è allattato al biberon. Se il bambino è allattato al biberon, per alleviare le coliche si possono provare latti più digeribili, con basso contenuto di lattosio, proteine lievemente predigerite e una discreta quantità di prebiotici, come i galattoligosaccaridi e fruttoligosacaridi (sigle GOS e FOS), e ricchi di garssi come l’acido betapalmitico, sostanze presenti naturalmente nel latte umano, che favoriscono la produzione di una flora intestinale simile a quella che si produce con il latte materno e rendono più morbide le feci, facilitando l’evacuazione. Per questo motivo sono utili anche in caso di stitichezza. Se invece si sospetta un’allergia di tipo alimentare, si può arrivare a formule dietoterapiche, in cui le proteine sono idrolisate, cioè ‘spaccate’ in tanti piccoli pezzi in modo da neutralizzare il loro potere allergizzante. I loro lati negativi? Sono piuttosto costosi e dal sapore non proprio buono. Si può fare un tentativo di circa 2 settimane; se le coliche regrediscono si continua con tale latte, se non si modificano si ritorna alla formula di partenza. 7 consigli e possibili rimedi per alleviare le coliche del bambino Ecco alcuni consigli pratici che possono rivelarsi utili, se non a eliminare le coliche, ad alleviare i disturbi del piccolo e ridurre le crisi di pianto: 1) Favorire il contenimento. Abbracciare il bambino e fargli sentire il contatto fisico, ma anche favorire il contenimento nella culla, creandogli una specie di nido con un lenzuolo o un asciugamano arrotolati intorno a lui: è un modo per ricostruire l’ambiente protetto e circoscritto dell’utero materno, che spesso dà conforto al piccolo. 2) Massaggi. Alcuni bambini provano sollievo se vengono cullati in posizione prona e si fanno dei piccoli massaggi alla pancia; in alternativa si possono mettere a pancia in giù sulle ginocchia, dando piccoli (e delicati!) colpetti sulla schiena. 3) Ridurre le stimolazioni sia visive che acustiche: no alla luce eccessiva e ai rumori troppo forti, che possono irritare ulteriormente il bambino. 4) Le tisane. In alcuni casi si rivela utile somministrare tisane a base di camomilla, verbena, menta, liquirizia, finocchio: meglio però chiedere il parere del pediatra ed evitare di acquistare di propria iniziativa dei mix di erbe, che possono avere dosaggi non adeguati ai neonati. È bene inoltre ricordare che qualunque tisana può interferire con l’allattamento, poiché potrebbe indurre un finto senso di sazietà che può ridurre il numero di poppate (e alterare di conseguenza la produzione del latte se il bambino è allattato al seno!) Inoltre non devono essere zuccherate. 5) Fare un giretto in macchina. Ebbene sì, il classico giretto in macchina per quietare il bambino molte volte funziona, meglio ancora delle passeggiate in carrozzina. Tanto vale provare! 6) Il sondino. Può essere d’aiuto se il bambino non riesce ad andare di corpo regolarmente, e questo può succedere se è presente un piccolo tappo di feci oppure se il bambino non riesce a coordinare la spinta con la dilatazione dello sfintere anale esterno (praticamente stringe lo sfintere quando fa la spinta). La mamma può accorgersene perché nota che il piccolo prova a spingere, diventa rosso in volto per lo sforzo ma non riesce a scaricarsi. Nel primo caso il sondino è utile perché toglie il tappo e consente al bambino di liberarsi; nel secondo aiuta a dilatare lo sfintere. L’importante è non esagerare con l’uso del sondino, altrimenti il bambino si abitua e non riesce ad evacuare più spontaneamente. 7) Sconsigliati invece i microclismi con glicerina, efficaci se c’è anche stitichezza, ma controindicati se usati per lungo tempo perchè irritano lo sfintere anale rendendolo ancor più spastico. Quali sono i farmaci anti-coliche? Ci sono vari farmaci che vengono proposti per alleviare le coliche gassose, ma non sempre sono indicati o efficaci: Simeticone. È un farmaco da banco innocuo, da sempre prescritto per le coliche, in linea con l’ipotesi che attribuisce tale disturbo ad una maggiore presenza di gas nell’intestino: ha infatti azione antimeteorica, poiché rompe le bolle d’aria e le rende più piccole. Dal punto di vista clinico però l’efficacia si è dimostrata piuttosto scarsa. Antispastici. Il più utilizzato è il cimetropio-bromuro. In alcuni casi può funzionare, in altri no, ma a differenza del simeticone non è esente da effetti collaterali, come stipsi o sonnolenza e comunque gli studi condotti sui bambini sono ancora pochi. Probiotici. Se ne parla sempre più spesso, ed effettivamente ci sono studi interessanti, condotti dalle università di Bari e Torino, sull’uso dei probiotici, e in particolare sullactobacillus reuterii, per alleviare le coliche. Nei bambini affetti da coliche infatti sembra che ci sia un dismicrobismo, ossia un’alterazione della flora batterica intestinale, che il probotico aiuterebbe a ripristinare, in più aiuterebbe ad accelerare lo svuotamento gastrico ed agire favorevolmente sulla motilità intestinale.