Sono più di 300.000 i minori di 18 anni attualmente impegnati in conflitti nel mondo.Centinaia di migliaia hanno combattuto nell'ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione.
La maggioranza di questi hanno da 15 a 18 anni ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza che si nota è verso un abbassamento dell'età. Decine di migliaia corrono ancora il rischio di diventare soldati.
Il problema è più grave in Africa (il rapporto presentato nell'aprile scorso a Maputo parla di 120.000 soldati con meno di 18 anni) e in Asia ma anche in America e Europa parecchi stati reclutano minori nelle loro forze armate.
Negli ultimi 10 anni è documentata la partecipazione a conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni in 25 Paesi. Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono usati come "portatori" di munizioni, vettovaglie ecc. e la loro vita non è meno dura e a rischio dei primi.
Alcuni sono regolarmente reclutati nelle forze armate del loro stato, altri fanno parte di armate di opposizione ai governi; in ambedue i casi sono esposti ai pericoli della battaglia e delle armi, trattati brutalmente e puniti in modo estremamente severo per gli errori. Una tentata diserzione può portare agli arresti e, in qualche caso, ad una esecuzione sommaria.
Anche le ragazze, sebbene in misura minore, sono reclutate e frequentemente soggette allo stupro e a violenze sessuali. In Etiopia, per esempio, si stima che le donne e le ragazze formino fra il 25 e il 30 per cento delle forze di opposizione armata.
Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento perché è cambiata la natura della guerra, diventata oggi prevalentemente etnica, religiosa e nazionalista. I "signori della guerra" che le combattono non si curano delle Convenzioni di Ginevra e spesso considerano anche i bambini come nemici. Secondo uno studio UNICEF, i civili rappresentavano all'inizio del secolo il 5 per cento delle vittime di guerra. Oggi costituiscono il 90 per cento.
L'uso di armi automatiche e leggere ha reso più facile l'arruolamento dei minori; oggi un bambino di 10 anni può usare un AK-47 come un adulto. I ragazzi, inoltre, non chiedono paghe, e si fanno indottrinare e controllare più facilmente di un adulto, affrontano il pericolo con maggior incoscienza (per esempio attraversando campi minati o intrufolandosi nei territori nemici come spie).
Inoltre la lunghezza dei conflitti rende sempre più urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite. Quando questo non è facile si ricorre a ragazzi di età inferiore a quanto stabilito dalla legge o perché non si seguono le procedure normali di reclutamento o perché essi non hanno documenti che dimostrino la loro vera età.
Si dice che alcuni ragazzi aderiscono come volontari: in questo caso le cause possono essere diverse: per lo più lo fanno per sopravvivere, perché c’è di mezzo la fame o il bisogno di protezione. Nella Rep. Democratica del Congo, per esempio, nel '97 da 4.000 a 5.000 adolescenti hanno aderito all'invito, fatto attraverso la radio, di arruolarsi: erano per la maggior parte "ragazzi della strada".
Un altro motivo può essere dato da una certa cultura della violenza o dal desiderio di vendicare atrocità commesse contro i loro parenti o la loro comunità. Una ricerca condotta dall'ufficio dei Quaccheri di Ginevra mostra come la maggioranza dei ragazzi che va volontario nelle truppe di opposizione lo fa come risultato di una esperienza di violenze subite personalmente o viste infliggere ai propri familiari da parte delle truppe governative.
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Una forma di sfruttamento
Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie respiratorie e dell'apparato sessuale, incluso l'AIDS.
Inoltre ci sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o aver commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi anche dopo anni. Si aggiungano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell'inserirsi nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze poi, soprattutto in alcuni ambienti, dopo essere state nell'esercito, non riescono a sposarsi e finiscono col diventare prostitute.
L'uso dei bambini soldato ha ripercussioni anche su gli altri ragazzi che rimangono nell'area del conflitto, perché tutti diventano sospettabili in quanto potenzialmente nemici. Il rischio è che vengano uccisi, interrogati, fatti prigionieri.
Qualche volta i bambini soldato possono rappresentare un rischio anche per la popolazione civile in senso lato: in situazioni di tensione sono meno capaci di autocontrollo degli adulti e quindi sono "dal grilletto facile".
Per quanto molti stati siano riluttanti ad ammetterlo, l'uso di bambini soldato può essere considerato come una forma di lavoro illegittimo per la natura pericolosa del lavoro. L'ILO riconosce che: "il concetto di età minima per l'ammissione all'impiego o lavoro che per sua natura o per le circostanze in cui si svolge porti un rischio per la salute, la sicurezza fisica o morale dei giovani, può essere applicata anche al coinvolgimento nei conflitti armati". L'età minima, secondo la Convenzione n° 138, corrisponde ai 18 anni.
Ricerche ONU hanno mostrato come la principale categoria di ragazzi che diventa soldato in tempo di guerra, sia soggetta allo sfruttamento lavorativo in tempo di pace.
La maggioranza dei bambini soldato appartiene a queste categorie:
ragazzi separati dalle loro famiglie (orfani, rifugiati non accompagnati, figli di single)
provenienti da situazioni economiche o sociali svantaggiate (minoranze, ragazzi di strada, sfollati)
ragazzi che vivono nelle zone calde del conflitto.
Chi vive in campi profughi è particolarmente a rischio di essere sfruttato da gruppi armati. Le famiglie e le comunità sono distrutte, i ragazzi sono abbandonati a se stessi e la situazione è di grande incertezza. I rifugiati sono così spesso alla mercé dei gruppi armati.
Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie respiratorie e dell'apparato sessuale, incluso l'AIDS.
Inoltre ci sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o aver commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi anche dopo anni. Si aggiungano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell'inserirsi nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze poi, soprattutto in alcuni ambienti, dopo essere state nell'esercito, non riescono a sposarsi e finiscono col diventare prostitute.
L'uso dei bambini soldato ha ripercussioni anche su gli altri ragazzi che rimangono nell'area del conflitto, perché tutti diventano sospettabili in quanto potenzialmente nemici. Il rischio è che vengano uccisi, interrogati, fatti prigionieri.
Qualche volta i bambini soldato possono rappresentare un rischio anche per la popolazione civile in senso lato: in situazioni di tensione sono meno capaci di autocontrollo degli adulti e quindi sono "dal grilletto facile".
Per quanto molti stati siano riluttanti ad ammetterlo, l'uso di bambini soldato può essere considerato come una forma di lavoro illegittimo per la natura pericolosa del lavoro. L'ILO riconosce che: "il concetto di età minima per l'ammissione all'impiego o lavoro che per sua natura o per le circostanze in cui si svolge porti un rischio per la salute, la sicurezza fisica o morale dei giovani, può essere applicata anche al coinvolgimento nei conflitti armati". L'età minima, secondo la Convenzione n° 138, corrisponde ai 18 anni.
Ricerche ONU hanno mostrato come la principale categoria di ragazzi che diventa soldato in tempo di guerra, sia soggetta allo sfruttamento lavorativo in tempo di pace.
La maggioranza dei bambini soldato appartiene a queste categorie:
ragazzi separati dalle loro famiglie (orfani, rifugiati non accompagnati, figli di single)
provenienti da situazioni economiche o sociali svantaggiate (minoranze, ragazzi di strada, sfollati)
ragazzi che vivono nelle zone calde del conflitto.
Chi vive in campi profughi è particolarmente a rischio di essere sfruttato da gruppi armati. Le famiglie e le comunità sono distrutte, i ragazzi sono abbandonati a se stessi e la situazione è di grande incertezza. I rifugiati sono così spesso alla mercé dei gruppi armati.
Prima di arrivare ad essere una responsabile mini club nei villaggi sono prima di tutto un'operatore dei servizi sociali....ho conosciuto realtà molto dure...ho regalato, insieme all'aiuto di altra gente esperta,tanti momenti di serenità a bambini ed adolescenti che di serenità ne hanno veramente poca...
La loro casa è la strada,la loro prima lingua è il dialetto,gli occhi sono spesso spenti,non hanno regole...cercano affetto un affetto che,per varie situazioni famigliari,li viene negato....
Facevo con loro i giochi più banali che possano esistere,erano le cose semplici e che a loro facevano stare bene...e quel mondo senza capricci...con volti tristi da far sorridere,da difficoltà serie da superare con loro che mi hanno portata a essere quella che sono oggi.
Nel 1997 nasce Il primo Piano d’azione sull’infanzia e l’adolescenza indicava le priorità di intervento a breve e medio termine riguardo la promozione dell’agio e la prevenzione del disagio.
Sempre nel 1997, precisamente il 28 agosto viene promulgata la prima legge quadro sulla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza. La legge 285/97 (Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza) concretizza una delle priorità del primo Piano d’azione, creando fermento anche in contesti dove storicamente non esisteva una cultura ed una attenzione alle problematiche infantili ed adolescenziali, introducendo innovazioni e sperimentazioni. Principalmente ci si muove con azioni preventive più che riparative, rafforzando quegli elementi di identità, di crescita, di benessere, di cultura, creando possibilità creative e di potenziamento delle proprie capacità. Differentemente dalla legge 216/91, la legge 285/97 stabiliva che dovessero essere le regioni a stabilire la programmazione degli interventi territorialmente così come la ripartizione economica e verificare l’efficacia degli interventi. Hanno visto la luce quindi, mediante accordi di programma che coinvolgevano enti locali, ASL, centri per la giustizia minorile interventi organizzati all’interno di un unico piano della durata massima di un triennio. Tutto ciò si è concretizzato in progetti e/o servizi, assistenziali, riabilitativi, preventivi a volte di natura sperimentale.
Sempre più negli ultimi anni quindi si tende verso una prevenzione primaria con interventi che influiscono positivamente sulla qualità della vita degli adolescenti. Promuovendo socializzazione, benessere, salute, si cerca di fornire strumenti, sostegno, nel percorso evolutivo adolescenziale sempre più caratterizzato da complessità crescenti. Diventano residuali quindi gli interventi di prevenzione secondaria, rivolte alle fasce più marcatamente a rischio, in quanto già questo etichetta, e quelli di prevenzione terziaria, finalizzati a contenere la recidiva.
Sempre più negli ultimi anni quindi si tende verso una prevenzione primaria con interventi che influiscono positivamente sulla qualità della vita degli adolescenti. Promuovendo socializzazione, benessere, salute, si cerca di fornire strumenti, sostegno, nel percorso evolutivo adolescenziale sempre più caratterizzato da complessità crescenti. Diventano residuali quindi gli interventi di prevenzione secondaria, rivolte alle fasce più marcatamente a rischio, in quanto già questo etichetta, e quelli di prevenzione terziaria, finalizzati a contenere la recidiva.
L’adolescenza è una fase evolutiva in cui l’individuo deve affrontare una serie infinita di compiti avendo a disposizione risorse personali talvolta inadeguate, e sempre meno riferimenti culturali e sociali. Potremo identificare tre grandi aree che vedono impegnato l’adolescente.
La prima riguarda il processo di individuazione all’interno della rete familiare attraverso uno smarcarsi da valori di riferimento infantili; pensiamo alle adolescenze prolungate e alla difficoltà di molti giovani a lasciare la casa paterna, in confronto alla spinta a girare il mondo presente nelle generazioni passate.
Un altro aspetto dello sviluppo adolescenziale riguarda le trasformazioni del proprio corpo, la costruzione di una propria immagine non solo fisica ma anche mentale, l’accesso alla sessualità, e quindi la definizione di una propria identità, non sempre supportata da riferimenti culturali e sociali chiari e definiti.
L’ultimo compito riguarda la costruzione di nuovi legami e relazioni affettive. Si esce dal guscio familiare, si costruiscono le prime amicizie, i primi amori, i primi legami, quelli che non si scordano mai, proprio perché rappresentano un debutto.
Nell’affrontare il loro percorso evolutivo gli adolescenti impattano queste aree non sempre in maniera indolore; a volte si rivelano più impegnative del previsto, fonte di disagio, sofferenza, inducono a comportamenti inadeguati o incongrui, a volte esponendo a dei rischi.
Sembra infatti naturale a questa età la tendenza a intraprendere tutta una serie di comportamenti che espongono a rischi a volte anche gravi, come se fosse una parte ineliminabile del processo evolutivo.
In un processo di crescita il rischio è insito ogni qual volta si affronta una esperienza nuova, ci sono delle decisioni da prendere, il fallimento è in agguato, e la posta è alta se si considera che è in gioco l’affermazione di sé stessi.
Quindi è sempre una sfida, con gli adulti, con i genitori, a scuola, con gli amici, con il partner sessuale. Esistono però situazioni dove i comportamenti a rischio sembrano assumere una caratteristica particolare, eccessiva rispetto all’effettivo significato dell’atto. La trasgressione non è più solo un comportamento descrittivo dell’adolescenza, un tratto fase-specifico.
L’uso di sostanze, la sessualità, comportamenti antisociali o propriamente devianti, sembrano essere qualcosa di più che semplici manifestazioni del travaglio adolescenziale; vanno oltre lo sperimentare il proprio coraggio, abilità, sfidare le regole sociali; piuttosto sembrano assumere significati particolari, come l’espressione di un disagio che non trova altre forme condivisibili, o tante volte anche la ricerca di un contenimento esterno.
Esperienze degli ultimi anni evidenziano come una destrutturazione generale, una difficoltà evolutiva, sia un comune denominatore che caratterizza i ragazzi più esposti a vivere situazioni di rischio di comportamenti antisociali.
Tale destrutturazione può essere rappresentata da una vulnerabilità individuale, difficoltà ad accettarsi (i propri sentimenti, il proprio corpo con le sue funzioni, anche espressive) e ad esprimere le proprie emozioni a livello verbale, corporeo, affettivo in modo congruo, dall’intolleranza verso l’attesa e la frustrazione e dal non percepire l’altro come fonte di sostegno, la difficoltà a mantenere un impegno. Contribuiscono a questo quadro situazioni come famiglie problematiche (separati, carenze educative ed affettive) o ambienti sociali deprivati culturalmente o economicamente, atteggiamenti caratterizzati da scarsa autostima, instabilità emotiva, comportamenti provocatori, spesso collegati ad un percorso scolastico marcato da insuccessi, l’uso più o meno saltuario di sostanze stupefacenti.
Questi fattori combinandosi tra loro producono quei comportamenti che più marcatamente evidenziano situazioni di disagio che si manifestano con l’abuso di sostanze stupefacenti o alcolici, abbandoni scolastici, una continua violazione di norme, comportamenti che denotano una incapacità ad assumersi le responsabilità del proprio comportamento.
Il concetto di responsabilità, secondo un modello psicologico, implica la possibilità di assumersi un impegno all’interno di un legame sociale riconosciuto, di prefigurarsi le conseguenze delle proprie azioni, di essere capaci di riparare i danni commessi.
Sembrerebbe quindi che sia l’adolescenza stessa una condizione di rischio, caratterizzata da comportamenti trasgressivi, antisociali, devianti.
E’ importante distinguere allora quando certi comportamenti possono essere considerati specifici dell’adolescenza e quando connotino una più stabile strutturazione deviante.
Per spiegare la devianza minorile si fa riferimento principalmente a quattro gruppi di teorie, quelle psicologiche, sociologiche, psicosociali, e della costruzione sociale.
Tra le teorie psicologiche quella psicoanalitica individua in uno sviluppo evolutivo inadeguato le cause di comportamenti devianti, che si manifesta attraverso un tipo di personalità caratterizzato da incapacità ad interiorizzare delle norme, difficoltà ad instaurare delle relazioni affettive, insufficiente controllo dei propri impulsi, ricerca dell’appagamento immediato dei propri desideri. In termini metapsicologici ci si trova davanti ad un Io inadeguato e onnipotente e un Super-Io incapace di definire limiti. Il versante sistemico-relazionale attribuisce ad un certo tipo di relazioni familiare la genesi della devianza minorile.
Attualmente, pur non riducendo i fenomeni di devianza minorile a semplici sintomi di disturbi psichiatrici adolescenziali, si evidenziano situazioni casi in cui tali comportamenti sono ascrivibili a situazioni psicopatologiche. Fondamentale importanza nello sviluppo adolescenziale è rivestita dal gruppo dei pari, e quindi anche nel caso di comportamenti devianti. Nel gruppo l’adolescente soddisfa bisogni di appartenenza, diluisce la responsabilità dei propri comportamenti, sperimenta autonomie al di fuori della famiglia, scopre nuovi valori. E’ evidente come quindi un tipo di cultura di gruppo possa influenzare alcuni comportamenti piuttosto che altri, e come questa cultura sia il risultato dell’apporto di tutti i membri, che più o meno consapevolmente contribuiscono al suo mantenimento.
Il punto di vista sociologico ci mostra un panorama dove il comportamento è deviante rispetto ad un sistema di valori e norme riconosciute “normalmente”, ma assolutamente integrato e funzionale all’interno di quella che potremmo definire sottocultura. Questo sottosistema è regolato da principi orientati alla violazione delle norme e dei modelli di comportamento “normali” tanto da costituire una sottocultura che restituisce al singolo una sua identità ed un suo ruolo, permettendogli di conseguire obiettivi difficilmente raggiungibili in altro modo.
Una prospettiva che limita la dicotomia psicologia-sociologia si può trovare nelle teorie psicosociali, secondo le quali la devianza corrisponde all’effetto della risposta sociale sul singolo. Non è quindi l’atto in sé deviante, ma lo diventa nel momento in cui quel comportamento non è accettato socialmente. La progressione della risposta istituzionale, crea un apprendimento sociale che può portare l’individuo a condividere un percorso con altri con cui sente avere in comune norme e valori. L’identità deviante quindi non si strutturerebbe semplicemente secondo la teoria dell’etichettamento, ma attraverso un successivo processo di affiliazioneIl quarto modello descrive la devianza come una costruzione sociale operata da chi gestisce il potere e il controllo su classi svantaggiate che hanno più probabilità di essere oggetto di interventi di controllo sociale in quanto vittime di meccanismi di esclusione sociale e di emarginazione. Secondo questo modello interpretativo, l’attenzione va posta sul significato comunicativo dell’azione deviante, più che far riferimento a categorie quali personalità o ambiente socio-familiare.
La prima riguarda il processo di individuazione all’interno della rete familiare attraverso uno smarcarsi da valori di riferimento infantili; pensiamo alle adolescenze prolungate e alla difficoltà di molti giovani a lasciare la casa paterna, in confronto alla spinta a girare il mondo presente nelle generazioni passate.
Un altro aspetto dello sviluppo adolescenziale riguarda le trasformazioni del proprio corpo, la costruzione di una propria immagine non solo fisica ma anche mentale, l’accesso alla sessualità, e quindi la definizione di una propria identità, non sempre supportata da riferimenti culturali e sociali chiari e definiti.
L’ultimo compito riguarda la costruzione di nuovi legami e relazioni affettive. Si esce dal guscio familiare, si costruiscono le prime amicizie, i primi amori, i primi legami, quelli che non si scordano mai, proprio perché rappresentano un debutto.
Nell’affrontare il loro percorso evolutivo gli adolescenti impattano queste aree non sempre in maniera indolore; a volte si rivelano più impegnative del previsto, fonte di disagio, sofferenza, inducono a comportamenti inadeguati o incongrui, a volte esponendo a dei rischi.
Sembra infatti naturale a questa età la tendenza a intraprendere tutta una serie di comportamenti che espongono a rischi a volte anche gravi, come se fosse una parte ineliminabile del processo evolutivo.
In un processo di crescita il rischio è insito ogni qual volta si affronta una esperienza nuova, ci sono delle decisioni da prendere, il fallimento è in agguato, e la posta è alta se si considera che è in gioco l’affermazione di sé stessi.
Quindi è sempre una sfida, con gli adulti, con i genitori, a scuola, con gli amici, con il partner sessuale. Esistono però situazioni dove i comportamenti a rischio sembrano assumere una caratteristica particolare, eccessiva rispetto all’effettivo significato dell’atto. La trasgressione non è più solo un comportamento descrittivo dell’adolescenza, un tratto fase-specifico.
L’uso di sostanze, la sessualità, comportamenti antisociali o propriamente devianti, sembrano essere qualcosa di più che semplici manifestazioni del travaglio adolescenziale; vanno oltre lo sperimentare il proprio coraggio, abilità, sfidare le regole sociali; piuttosto sembrano assumere significati particolari, come l’espressione di un disagio che non trova altre forme condivisibili, o tante volte anche la ricerca di un contenimento esterno.
Esperienze degli ultimi anni evidenziano come una destrutturazione generale, una difficoltà evolutiva, sia un comune denominatore che caratterizza i ragazzi più esposti a vivere situazioni di rischio di comportamenti antisociali.
Tale destrutturazione può essere rappresentata da una vulnerabilità individuale, difficoltà ad accettarsi (i propri sentimenti, il proprio corpo con le sue funzioni, anche espressive) e ad esprimere le proprie emozioni a livello verbale, corporeo, affettivo in modo congruo, dall’intolleranza verso l’attesa e la frustrazione e dal non percepire l’altro come fonte di sostegno, la difficoltà a mantenere un impegno. Contribuiscono a questo quadro situazioni come famiglie problematiche (separati, carenze educative ed affettive) o ambienti sociali deprivati culturalmente o economicamente, atteggiamenti caratterizzati da scarsa autostima, instabilità emotiva, comportamenti provocatori, spesso collegati ad un percorso scolastico marcato da insuccessi, l’uso più o meno saltuario di sostanze stupefacenti.
Questi fattori combinandosi tra loro producono quei comportamenti che più marcatamente evidenziano situazioni di disagio che si manifestano con l’abuso di sostanze stupefacenti o alcolici, abbandoni scolastici, una continua violazione di norme, comportamenti che denotano una incapacità ad assumersi le responsabilità del proprio comportamento.
Il concetto di responsabilità, secondo un modello psicologico, implica la possibilità di assumersi un impegno all’interno di un legame sociale riconosciuto, di prefigurarsi le conseguenze delle proprie azioni, di essere capaci di riparare i danni commessi.
Sembrerebbe quindi che sia l’adolescenza stessa una condizione di rischio, caratterizzata da comportamenti trasgressivi, antisociali, devianti.
E’ importante distinguere allora quando certi comportamenti possono essere considerati specifici dell’adolescenza e quando connotino una più stabile strutturazione deviante.
Per spiegare la devianza minorile si fa riferimento principalmente a quattro gruppi di teorie, quelle psicologiche, sociologiche, psicosociali, e della costruzione sociale.
Tra le teorie psicologiche quella psicoanalitica individua in uno sviluppo evolutivo inadeguato le cause di comportamenti devianti, che si manifesta attraverso un tipo di personalità caratterizzato da incapacità ad interiorizzare delle norme, difficoltà ad instaurare delle relazioni affettive, insufficiente controllo dei propri impulsi, ricerca dell’appagamento immediato dei propri desideri. In termini metapsicologici ci si trova davanti ad un Io inadeguato e onnipotente e un Super-Io incapace di definire limiti. Il versante sistemico-relazionale attribuisce ad un certo tipo di relazioni familiare la genesi della devianza minorile.
Attualmente, pur non riducendo i fenomeni di devianza minorile a semplici sintomi di disturbi psichiatrici adolescenziali, si evidenziano situazioni casi in cui tali comportamenti sono ascrivibili a situazioni psicopatologiche. Fondamentale importanza nello sviluppo adolescenziale è rivestita dal gruppo dei pari, e quindi anche nel caso di comportamenti devianti. Nel gruppo l’adolescente soddisfa bisogni di appartenenza, diluisce la responsabilità dei propri comportamenti, sperimenta autonomie al di fuori della famiglia, scopre nuovi valori. E’ evidente come quindi un tipo di cultura di gruppo possa influenzare alcuni comportamenti piuttosto che altri, e come questa cultura sia il risultato dell’apporto di tutti i membri, che più o meno consapevolmente contribuiscono al suo mantenimento.
Il punto di vista sociologico ci mostra un panorama dove il comportamento è deviante rispetto ad un sistema di valori e norme riconosciute “normalmente”, ma assolutamente integrato e funzionale all’interno di quella che potremmo definire sottocultura. Questo sottosistema è regolato da principi orientati alla violazione delle norme e dei modelli di comportamento “normali” tanto da costituire una sottocultura che restituisce al singolo una sua identità ed un suo ruolo, permettendogli di conseguire obiettivi difficilmente raggiungibili in altro modo.
Una prospettiva che limita la dicotomia psicologia-sociologia si può trovare nelle teorie psicosociali, secondo le quali la devianza corrisponde all’effetto della risposta sociale sul singolo. Non è quindi l’atto in sé deviante, ma lo diventa nel momento in cui quel comportamento non è accettato socialmente. La progressione della risposta istituzionale, crea un apprendimento sociale che può portare l’individuo a condividere un percorso con altri con cui sente avere in comune norme e valori. L’identità deviante quindi non si strutturerebbe semplicemente secondo la teoria dell’etichettamento, ma attraverso un successivo processo di affiliazioneIl quarto modello descrive la devianza come una costruzione sociale operata da chi gestisce il potere e il controllo su classi svantaggiate che hanno più probabilità di essere oggetto di interventi di controllo sociale in quanto vittime di meccanismi di esclusione sociale e di emarginazione. Secondo questo modello interpretativo, l’attenzione va posta sul significato comunicativo dell’azione deviante, più che far riferimento a categorie quali personalità o ambiente socio-familiare.
I temi che il ludotecario affronta nel corso del suo lavoro sono estremamente ampi, così come i destinatari delle sue azioni sono tutti i cittadini, sia adulti che bambini.
Il ludotecario, però, è l'esperto del gioco, in quanto il suo specifico è "divertirsi divertendo". Occuparsi di gioco può, senza dubbio, essere interpretato come occuparsi di effimero, se si tiene conto di una società che ha posto al centro dei propri interessi il soggetto in grado di produrre, che diviene "oggetto" di addestramento: "spesso, quindi, si tende a specializzare prima ancora di avere educato".
In una società di questo tipo il bambino è prigioniero di desideri e aspettative che lo prescindono, di un'ottica custodialistica che gli impedisce di imparare secondo tempi "naturali" e fisiologici, sperimentando autonomamente se stesso e l'ambiente fisico in cui cresce, che perciò gli resta sconosciuto e gli appare angosciante.
Il gioco allora, in quest'ottica, è un'attività seria, di cui gli studi psicologici hanno chiarito gli aspetti importanti: "modificazioni della struttura dei rapporti coi coetanei..., funzione socializzatrice, funzione di trasmissione culturale".
Nella professione del ludotecario rientrano competenze che solo in parte possono coincidere con un percorso educativo preciso, ma che d'altra parte non possono consistere in un insieme di saperi di tipo esclusivamente pragmatico-esperenziale.
Le più disparate sono le strade attraverso le quali operatori provenienti dal campo dell'educazione o dell'assistenza sociale hanno iniziato sul campo il proprio tirocinio come ludotecari.
Di modo che risulta difficile formulare o sistematizzare qualunque proposta educativa in grado di garantire "patenti" di qualità e legittimità valide contro la professionalità che molti si sono costruiti sul campo: "Le ludoteche sono essenzialmente gestite da una figura professionale polivalente, il ludotecario, che in mancanza di precisi curricula, non ha uniformità di formazione.
Se l'area del cosiddetto "sapere" si caratterizza in un modo relativamente chiaro ed univoco per la ricorrenza delle discipline psicopedagogiche, già l'area del "saper fare", con il suo comprendere il mercato dei giocattoli oltreché l'offerta dei giochi, proietta il ludotecario in una dimensione dove l'auto-aggiornamento, la ricerca storico-scientifica, la presenza attiva nelle occasioni di dibattito e riflessione diventano fondamentali.
L'area del "saper essere" infine, con la sua insistenza sulle abilità relazionali, sulla flessibilità e sulla disponibilità a "saper divenire", proietta la formazione del ludotecario sul primato dell'esperienza e del tirocinio pratici, cioè su di un tipo di formazione intrinsecamente basato sull'alternanza.
L'esplicitazione delle competenze, come noto, costituisce una delle problematiche più complesse delle ricerche sulle professioni, tanto più quanto più, come nel nostro caso, le competenze si esercitano all'interno di contesti organizzativi non rigidamente strutturati, non articolati in funzioni e gerarchie precise ed in situazioni lavorative fortemente disomogenee ed imprevedibili.
Se l'area del cosiddetto "sapere" si caratterizza in un modo relativamente chiaro ed univoco per la ricorrenza delle discipline psicopedagogiche, già l'area del "saper fare", con il suo comprendere il mercato dei giocattoli oltreché l'offerta dei giochi, proietta il ludotecario in una dimensione dove l'auto-aggiornamento, la ricerca storico-scientifica, la presenza attiva nelle occasioni di dibattito e riflessione diventano fondamentali.
L'area del "saper essere" infine, con la sua insistenza sulle abilità relazionali, sulla flessibilità e sulla disponibilità a "saper divenire", proietta la formazione del ludotecario sul primato dell'esperienza e del tirocinio pratici, cioè su di un tipo di formazione intrinsecamente basato sull'alternanza.
L'esplicitazione delle competenze, come noto, costituisce una delle problematiche più complesse delle ricerche sulle professioni, tanto più quanto più, come nel nostro caso, le competenze si esercitano all'interno di contesti organizzativi non rigidamente strutturati, non articolati in funzioni e gerarchie precise ed in situazioni lavorative fortemente disomogenee ed imprevedibili.
La Ludoteca è un servizio centrato sul gioco, inteso come attività libera, regolata, impegnativa, autogratificante, di immaginazione fantastica, di arricchimento continuo, fine a se stessa.
La Ludoteca è un centro della cultura ludica che studia, valorizza e propone i giochi e giocattoli di una volta, di oggi e di domani.
La Ludoteca è un centro ricreativo, educativo, sociale e culturale che opera per realizzare una migliore qualità della vita infantile.
E' un servizio con sede fissa che proietta le sue attività su tutto il territorio.
La Ludoteca è un servizio rivolto, di norma, a bambini da 3 a 14 anni, ma può essere organizzato per ospitare sia i piccolissimi, sia gli adolescenti, sia gli adulti.
La Ludoteca è un luogo dove il bambino trova degli adulti, compagni di gioco, che aiutano quando e' richiesto ed insegnano a progettare e costruire.
La Ludoteca è un luogo dove il bambino può scegliere il gioco, il giocattolo, i compagni di gioco ed il tempo da dedicare al gioco.
La Ludoteca è un luogo dove il bambino può scegliere i materiali per la costruzione dei giocattoli.
La Ludoteca è un luogo di studio, raccolta e prestito giochi
La Ludoteca è un luogo di progettazione. di costruzione giocattoli e prototipi ludici
La Ludoteca è un centro di controinformazione sui giocattoli
La Ludoteca è un luogo dove si favorisce la libera espressività creativa
La Ludoteca è un luogo di incontro tra bambini di età, capacità e condizioni sociali differenti
La Ludoteca è un luogo di incontro motivato tra generazioni
La Ludoteca è un luogo dove il genitore può giocare con i propri figli.
In cosa consiste e da dove viene l'ippoterapia?
L’ippoterapia (dal greco hippos, cavallo e therapeia, cura) è l’insieme di tecniche mediche che utilizzano il cavallo per migliorare lo stato di salute di un soggetto umano.Già Ippocrate di Coo, nel V secolo a.C., prescrive l’equitazione a scopo terapeutico, eppure, questa pratica rimane nell'ambito ludico-ricreativo fino al XIX secolo, quando in Francia si inizia a utilizzare l'equitazione a scopo terapeutico.
L'ippoterapia viene poi introdotta in modo coerente e metodologicamente corretto, da Daniela Nicolas-Citterio negli anni ’70 del Novecento, che fonda l’Associazione Nazionale Italiana per la Riabilitazione Equestre.L’effetto terapeutico della riabilitazione equestre si basa sul particolare rapporto dialettico che si instaura tra il soggetto ed il cavallo, fondato su un linguaggio prettamente motorio, ricco di sensazioni piacevoli e rassicuranti, estremamente coinvolgenti sotto il profilo emotivo.
In poche parole, quello che il soggetto patologico, come bambini e ragazzi affetti da dislessia, disabilità, non può esprimere con altri soggetti umani, può esprimerlo col cavallo, perché, fin dalle fasi iniziali, a terra, la conoscenza dell’animale stimola e contribuisce a instaurare un senso di fiducia e sicurezza.
In seguito, il montare a cavallo rappresenta una vera e propria correzione globale contro le posture patologiche mentre il movimento ritmato e oscillatorio tipico del cavallo determina molteplici stimoli sensoriali e sensitivi che, se portati a maturazione, hanno effetti benefici sul paziente: controllo della propria emotività, sentimento di fiducia ed autostima, inserimento sociale.
L’ippoterapia (dal greco hippos, cavallo e therapeia, cura) è l’insieme di tecniche mediche che utilizzano il cavallo per migliorare lo stato di salute di un soggetto umano.Già Ippocrate di Coo, nel V secolo a.C., prescrive l’equitazione a scopo terapeutico, eppure, questa pratica rimane nell'ambito ludico-ricreativo fino al XIX secolo, quando in Francia si inizia a utilizzare l'equitazione a scopo terapeutico.
L'ippoterapia viene poi introdotta in modo coerente e metodologicamente corretto, da Daniela Nicolas-Citterio negli anni ’70 del Novecento, che fonda l’Associazione Nazionale Italiana per la Riabilitazione Equestre.L’effetto terapeutico della riabilitazione equestre si basa sul particolare rapporto dialettico che si instaura tra il soggetto ed il cavallo, fondato su un linguaggio prettamente motorio, ricco di sensazioni piacevoli e rassicuranti, estremamente coinvolgenti sotto il profilo emotivo.
In poche parole, quello che il soggetto patologico, come bambini e ragazzi affetti da dislessia, disabilità, non può esprimere con altri soggetti umani, può esprimerlo col cavallo, perché, fin dalle fasi iniziali, a terra, la conoscenza dell’animale stimola e contribuisce a instaurare un senso di fiducia e sicurezza.
In seguito, il montare a cavallo rappresenta una vera e propria correzione globale contro le posture patologiche mentre il movimento ritmato e oscillatorio tipico del cavallo determina molteplici stimoli sensoriali e sensitivi che, se portati a maturazione, hanno effetti benefici sul paziente: controllo della propria emotività, sentimento di fiducia ed autostima, inserimento sociale.
Oh! Che schifo quel bambino!
E’ Pierino Porcospino!
Egli ha unghie smisurate
Che non furono mai tagliate.
I capelli sulla testa
Gli han formato una foresta
Densa, sporca, puzzolente.
Dice a lui tutta la gente:
“Oh! Che schifo quel bambino!E’ Pierino Porcospino!
C’era una volta un povero pastore che aveva un figlio e una figlia. Quando fu in punto di morte li chiamò accanto a sé e disse:- Vi lascio una casetta e tre pecore. Dividetele fra di voi e vogliatevi sempre bene. Detto questo spirò e i figli lo piansero a lungo, poi il fratello chiese alla sorella:- Che cosa preferisci? La casetta o le tre pecore?La ragazza scelse la casetta e il giovane le disse:- Hai scelto bene, e spero che tu possa vivere tranquilla. Io invece me ne andrò per il mondo in cerca di fortuna, ma mi ricorderò sempre di te.L’abbracciò e partì, ma la fortuna tardava a farsi vedere. Un giorno in cui stava sdraiato sul ciglio della strada insieme alle sue pecore, passò di là un uomo che teneva al guinzaglio tre enormi cani, ciascuno dei quali era più grosso degli altri. L’uomo si fermò e disse:- Amico, non vorreste darmi le vostre pecore in cambio dei miei cani? - Fossi matto! – rispose il pastore. – Le pecore mangiano da sole, mentre ai cani bisogna procurare il cibo!- Vi avverto – replicò lo sconosciuto – che i miei cani hanno nomi strani. Che corrispondono esattamente alle loro qualità. Si chiamano “Porta da mangiare”, “Strappalo” e “Rompi ferro e acciaio”.A quelle parole il pastore provò un impulso irresistibile: cedette le pecore e prese i tre cani al guinzaglio. Rimasto solo, volle subito fare l’esperimento e comandò al primo cane:- Porta da mangiare! Il cane partì di corsa e ritornò un attimo dopo tenendo fra i denti pieno di vivande prelibate. Allora il pastore fu proprio convinto di aver fatto un buon baratto e si rimise in viaggio contento.Qualche giorno dopo incontrò un funerale: o meglio, sembrava un funerale, perché c’era una carrozza ricoperta di drappi neri. Ma dentro la carrozza sedeva una bellissima fanciulla bionda e rosea come la primavera, che piangeva disperata. - Che cosa succede? -
Chiese il pastorello.- Perché fate il funerale a una persona viva?- Voi siete foresterie e non sapete queste cose – rispose un uomo. – Sulla montagna laggiù abita un terribile drago, il quale minaccia di sterminare tutti gli abitanti della città, se noi ogni anno non gli conduciamo una fanciulla, il cui nome viene estratto a sorte. Quest’anno è toccato alla figlia del re e tra poco il drago la divorerà. Perciò le facciamo il funerale fin d’ora. Il giovane fu molto commosso e si mise a seguire la carrozza. Non appena il corteo giunse ai piedi della montagna, la giovinetta scese e s' incamminò lungo un sentiero; egli la seguì, ma il cocchiere incominciò a gridare:- Tornate indietro, altrimenti il drago vi divorerà in un solo boccone!Ma il giovane non se ne dette per inteso e proseguì il cammino. Poco dopo vide una caverna nera e da quella sbucò un terribile drago che aveva il corpo ricoperto di scaglie, come un coccodrillo e gettava fuoco e fiamme da un’enorme bocca armata di denti aguzzi. Subito fece per lanciarsi sulla giovinetta, ma il pastore comandò al suo secondo cane: - Strappalo! Il cane partì come un razzo e diede tanti morsi al drago che in poco tempo lo fece a pezzi, poi lo divorò tutto, sputando solo qualche dente. La principessa piangeva, ma questa volta erano lacrime di gioia, e disse al suo salvatore: - Venite alla reggia con me: mio padre vi compenserà come meritate.- Verrò fra tre anni – rispose il pastorello. – Prima voglio viaggiare e vedere il un po’ di mondo.- Vi aspetterò – promise la fanciulla, e tornò indietro felice.Il cocchiere fu assai meravigliato vedendola ricomparire e ascoltando tutta la storia: subito tolse i drappi neri alla carrozza e ai cavalli e si diresse verso la reggia a gran galoppo, ma, mentre attraversava un ponte sopra un fiume tumultuoso, gli venne in mente un piano malvagio. Fermò la carrozza e disse:- Quel giovanotto se n’è andato senza chiedere compensi: perciò vi sarà facile rendermi felice. Direte a vostro padre che il salvatore sono io: altrimenti vi getterò nel fiume. La principessa si sdegnò, si spaventò, pianse e supplicò; ma tutto fu inutile: dovette giurare. Poco dopo giunsero in città. Figurarsi la gioia del popolo! Tutti ballavano per le strade e il re abbracciò il falso salvatore.- Figliolo mio – gli disse – mia figlia è molto giovane, ma fra un anno te la darò in moglie. Intanto sarai fatto nobile e ti farò diventare ricco.Così fu: la principessa pianse molto, ma ottenne soltanto che suo padre rimandasse le nozze di in secondo anno e poi un terzo. Infine il re le disse:- Ti concedo ancora un anno; poi sposerai quell’uomo, perché la parola del re è sacra.Passato anche il terzo anno, giunse finalmente il giorno delle nozze. Proprio quel mattino arrivò in città il pastorello coi suoi tre cani a guinzaglio. Vedendo addobbi a festa chiese che cosa fosse successo.- La figlia del re sposa il suo salvatore, che era il cocchiere – gli risposero.- Ah si? Quel furfante matricolato? – gridò il giovane pieno di sdegno. Udendo insultare l’uomo che tutti credevano un eroe, la folla si getto sul pastore e lo condusse in prigione. Poco dopo egli udì guaire, fuori, i suoi tre cani.- Rompi ferro e acciaio! – chiamò.E subito il terzo cane entrò sbriciolando l’inferriata della finestra, e con un morso spezzò anche le catene. Quando fu libero, il giovane comandò:- Porta da mangiare! E il cane volò a palazzo reale e posò la testa sulle ginocchia della principessa. La principessa, vedendo il cane, cominciò a ridere di gioia, mentre il cocchiere impallidiva e tremava. Il re, insospettito, comandò ai suoi servi: - Seguite questo cane e conducetemi qui il suo padrone.Poco dopo il giovane pastore era alla presenza del re, e tutto fu spiegato. Il malvagio cocchiere venne gettato in prigione, in mezzo ai topi e la principessa potè sposare il vero salvatore. - E adesso – le disse il pastore – voglio mandare a prendere mia sorella perché sia felice con noi.- Bravo! – esclamò allora uno dei cani. – Noi volevamo vedere se ti saresti ricordato di lei anche nella fortuna. Ora possiamo andarcene tranquilli.Così dicendo si trasformarono in tre uccelli, aprirono le ali e volarono via.
La funzione principale della fiaba è quella di colmare temporaneamente nel bambino delle lacune dovute inevitabilmente alla mancanza di esperienza e di informazione per i pochi anni vissuti. Allo stesso tempo, la fiaba permette al bambino di cominciare a controllare il caos interno fra tendenze aggressive - cattive e tendenze buone.
Le prime vengono così proiettate su una strega o su un lupo, soddisfacendo il proprio impulso quando questi personaggi fanno una brutta fine; mentre le seconde - i sentimenti buoni- le può indirizzare su una principessa o su un eroe, permettendo a se stesso di identificarsi con questi personaggi.
Cosa significa quanto detto?
Innanzi tutto evidenzia l'errore riguardante l'omissione di aspetti negativi che molti genitori commettono quando raccontano una storia ai loro figli.
Spesso ci si interroga sull’utilizzo delle fiabe e delle favole nella prassi educativa dei propri figli, chiedendosi se è giusto esporre il proprio bambino ad emozioni forti ma contemporaneamente “negative”; i genitori vorrebbero presentare ai propri figli solo racconti positivi che vanno incontro ai loro desideri. In realtà, come dicevamo, così facendo si commette un'errore, in quanto il bambino non vivrà in una realtà “tutta rose e fiori”, dovendosi invece destreggiare tra gli ostacoli della vita alle quali deve essere preparato, disponendo del più ampio numero di “cartucce”.
A ciò va aggiunto un altro aspetto di non minore importanza: il bambino ha spesso pensieri distruttivi e/o aggressivi, del tutto normali all’interno del suo processo di crescita; egli, tuttavia, non sa che questi sentimenti sono “normali”, perciò se gli vengono presentati esclusivamente modelli positivi si alimentano automaticamente i suoi sensi di colpa. La paura deve essere scoperta dal bambino nella favola, così come la temporanea vittoria del nemico. In questo modo, ciò che avrà appreso potrà essere utilizzato nella quotidianità, consapevole dell'esistenza di eventi negativi (ostacoli e problemi) nella vita di tutti i giorni. A tutto questo va aggiuto che, identificandosi con il personaggio buono o con l'eroe, il bambino comprende che, sebbene sia normale trovare delle difficoltà sul proprio cammino, egli riuscirà a superarle. Questo viene rinforzato anche dalla frase conclusiva di ogni favola: "e vissero tutti felici e contenti" assicura il bambino sia sul lieto fine (della storia e della sua vita) sia sul fatto che egli non rimarrà mai solo. Pensate ad esempio alla favola di Hansel e Gretel: essa permette di far sperimentare il sentimento di solitudine (i due protagonisti che si perdono) e che può accadere nella vita di tutti i giorni. Ci si sente perduti e senza via d'uscita. Poi, come nella fiaba in cui i due protagonisti superano il difficile momento con le prorie forze (sconfiggono la strega e tornano a casa), così anche nella realtà si ha la speranza del lieto fine. Questo elemento è tanto importante nel bambino, quanto nell'adulto in un momento della vita negativo, come può essere ad esempio dover affrontare la fine di una storia d'amore o un lutto.
Vediamo ora perchè è tanto importante una fiaba per il bambino
Come le fantasie, la storia inizia in maniera realistica: una madre dice di andare dalla nonna (Cappuccetto Rosso), una famiglia povera (Hans e Gretel) ed il bambino è stimolato da queste situazioni, ricercando quella che maggiormente si avvicina a lui, comprendendo il perché accadono alcune cose e come risolverle.
Allo stesso tempo la storia non parte dalla realtà fisica del bambino (sedere in mezzo alla cenere come Cenerentola o rimanere nel bosco come Hans e Gretel) perché sarebbe insopportabile e la fiaba ha al contrario la funzione di confortare.
La fiaba aiuta il bambino nello sviluppo di una propria identità, suggerendone i passaggi fondamentali.
In linea generale il messaggio che trasmette è che la vita è gratificante, sebbene gli ostacoli siano tanti, ma importante è superarli.
La possibilità di due personaggi opposti nella fiaba (buoni e cattivi) permette al bambino da un lato di conservare l’immagine di una madre buona anche se in realtà non lo è e dall’altro, di non alienarsi dalle sue grazie, madre non matrigna.Dopo i cinque anni le fiabe diventano importantissime.
L'utilità per il bambino nell'ascoltare fiabe coinvolge vari aspetti: intellettivo, relazionale e morale. Il bambino prova piacere ad ascoltare la voce dell'adulto ed inoltre, facendo parlare sentimenti, viene interrotta la rigidità generazionale.
Per ciò che concerne l'etica, a 6-7 anni si inizia a strutturare il Super-Io. Il portatore della morale è il protagonista della fiaba con il quale il bambino si identifica.
Le fiabe rispecchiano l'immagine interiore che il bambino ha di se stesso, dcosi ora emerge l'ansia ell'abbandono (Hansel e Gretel) o il complesso edipico (Biancaneve) o la rivalità fraterna (Cenerentola).
Ascoltando il racconto di una fiaba, si contribuisce a sviluppare nel bambino la capacità di ascoltare l’altro nella vita di tutti i giorni.
Come possiamo raccontare una fiaba in modo che essa risulti "utile" per lo sviluppodel bambino? Bettheleim consiglia di raccontarla più che leggerla, affermando che le storie illustrate lasciano poco spazio all’immaginazione del bambino su come egli stesso possa rappresentarsi il racconto ascoltato. Pensiamo ad esempio ai diversi modi con cui può essere immaginato un lupo… Allo stesso tempo per raccontare senza leggere, anche l’adulto deve utilizzare la fantasia, lasciarsi trasportare, trasmettendo al bambino l’empatia e il sentirsi coinvolto. Si crea quindi un importante punto di incontro tra l'adulto-genitore e il bambino-figlio in cui l'emozioni circolano liberamente e l'atmosfera diventa magica. Abbiamo detto che ogni fiaba insegna qualcosa alla persona, ancora di più al bambino. E' facile quindi domandarsi: Quale fiaba devo raccontare al bambino? Non possiamo sapere a quale età è importante una determinata storia, possiamo tentare iniziando a raccontare la storia che ci sta più a cuore adesso o quando si era piccoli: se al bambino non interessa, significa che i temi affrontati da quella fiaba non sono significativi per lui in quel dato momento. Questo è l'lemento più importante. Bisogna ascoltare i bisogni del bambino. La richiesta di sentire la stessa storia, significa quanto questa sia importante per lui in quel momento. Ad un certo punto, una volta preso tutto ciò che la favola può offrirgli, oppue nel momento in cui i problemi che l’hanno reso recettivo ad essa sono superati, richiederà una seconda fiaba. E’ importante seguire l’interesse del bambino, non guidarlo. Per lui è fondamentale non solo che il genitore si appassioni a ciò che racconta (come se la favola preferita fosse di entrambi), ma anche che i suoi intimi pensieri siano ignoti al genitore finchè lui stesso non voglia esplicitarli. In questo senso è importante:
non interpretare i suoi bisogni, ma lasciarsi guidare da lui stesso
non spiegare la storia, ognuno trae il suo significato a seconda della personalità e del momento di vita
non deve mai essere rivelato al bambino il motivo per cui gli piace la fiaba. Il significato dei simboli della fiaba nella realtà della sua vita deve rimanere segreto.
non interpretare i suoi bisogni, ma lasciarsi guidare da lui stesso
non spiegare la storia, ognuno trae il suo significato a seconda della personalità e del momento di vita
non deve mai essere rivelato al bambino il motivo per cui gli piace la fiaba. Il significato dei simboli della fiaba nella realtà della sua vita deve rimanere segreto.
Canestro a squadre
1) Il gruppo viene diviso in 2 squadre
2) Ogni squadra riceve una palla di colore diverso
3) Il foro centrale viene ingrandito un poco
4) Le due squadre afferrano il telo
5) I bambini fanno piccoli movimenti con il paracadute
6) Chi fa più canestri?
7) Ogni palla che passa attraverso il foro fa guadagnare un punto alla squadra.
Fai Goal
Il gruppo viene suddiviso in due squadre, ad es. femmine e maschi
Le squadre prendono posto intorno al paracadute in modo da “dividerlo” in due metà
I bambini si accovacciano e tengono il paracadute
Si mettono due palle di colore differente sul telo
Attraverso movimenti alternati i bambini si alzano e si accovacciano e fanno muovere le palle. Le
squadre si alternano in questi movimenti
Quando la palla cade dal paracadute si è fatto goal.
Gioco con la palla e il paracadute
1) Il paracadute è disteso a terra con una grande palla al centro
2) I bambini prendono il paracadute e lo stendono in modo tale che la palla salti in alto.
Gioco con una palla e due paracaduti
Stesso gioco di prima, ma bisogna far volare la palla da un paracadute all’altro.
… Si può anche giocare a “tennis”, facendo passare la palla sopra una panca o sopra un
altro oggetto simile.
Rotola la palla
1) Tirare la corda al centro del telo
2) Mettere la palla (ad es. di gommaspugna) al centro del telo
3) Dare il via ai bambini e lasciare che facciano rotolare la palla sul telo
4) Per rendere l’esercizio più difficile si può dire, a turno, il nome del bambino
Il gruppo deve far rotolare la palla, molto lentamente, verso il bambino nominato.
Gioco del canestro
1) Allargare il foro al centro del telo, in modo che esso sia leggermente più grande del diametro della palla.
2) Sollevando il telo verso il soffitto, tirare in alto la palla e cercare di farla passare attraversi il foro centrale.
3) Ogni “canestro” fatto equivale ad un punto.
Golf
I bambini stanno in piedi intorno al paracadute e lo tengono ben teso.
Ogni bambino ha una palla colorata e cerca, a turno, di farla passare nel foro centrale.
Getta le palle
1) Il gruppo viene suddiviso secondo l’altezza
2) I bambini più piccoli vanno in centro sotto il paracadute, i grandi tutto intorno
3) La squadra ai bordi del paracadute prende il telo con la mano sinistra e lo alza in alto.
4) Occorrono molte palle, almeno una per ogni componente di una squadra
5) bambini del cerchio interno gettano una palla dopo l’altra ai bambini del cerchio esterno che
cercano di afferrarla con una mano e di gettarla indietro
6) Nominare un bambino “raccatta palle”
7) Si possono formare coppie tra il cerchio interno e quello esterno.
8) Se l’altezza dei bambini lo permette, scambiare i posti.
Soffia la palla
1) Il paracadute viene sollevato e trattenuto sotto il mento dei bambini
2) Si mettono sul paracadute una o diverse palline da ping pong
3) La/le palline vengono a turno spostate con il soffio
4) Si può anche giocare a “prendersi” con palline di due colori
5) Si può cercare di colpire la pallina dell’avversario spostando la propria con il soffio
6) Si può fare a gare a chi per primo riesce a fare alla palla il giro del paracadute
Girotondo
1) Il paracadute viene fatto girare passandolo da una mano all’altra senza che i bambini si muovano
2) In un secondo momento il paracadute viene fatto girare passandolo da una mano all’altra
mentre i bambini camminano in senso contrario.
1) Il paracadute viene fatto girare passandolo da una mano all’altra senza che i bambini si muovano
2) In un secondo momento il paracadute viene fatto girare passandolo da una mano all’altra
mentre i bambini camminano in senso contrario.
Giocare a nascondino
1) Nominare due bambini: Questi alzano il paracadute e dicono “cu-cu”
2) Continuare nominando altri bambini.
Isola deserta!
Distendere il paracadute a terra. C’è posto su di esso per tutti i bambini? Da seduti o coricati?
Eventualmente: “Chi viene prima?”
Gioco dei colori
Scegliere un colore del paracadute. Quando il colore viene detto ad alta voce, il bambino deve
mettersi seduto o in piedi o coricarsi sul colore menzionato.
Rotolare!
Due bambini si distendono vicini ai bordi del paracadute. Al via i bambini devono rotolare insieme
fino al centro avvolti nel paracadute.
Gioco delle onde
Uno o più bambini si siedono al centro, gli altri si siedono tutto intorno al paracadute e sollevano
e abbassano con forza il telo per formare delle onde.
Gioco degli oggetti
Coprire diversi oggetti con il paracadute.
I bambini devono indovinare che cosa di nasconde sotto il telo.
Si può anche giocare come “gioco del tatto”.
Camminare carponi
Due o più bambini si accovacciano e tendono il paracadute a poca distanza dal suolo.
Gli altri bambini devono camminate carponi o strisciare sotto.
Giocare con il paracadute stimola e crea confidenza tra gli adulti che dirigono il gioco e i
bambini che lo svolgono, oltre a sviluppare le relazioni personali e sociali.
Inoltre lo stimolo motorio è un fattore importante per migliorare il processo di apprendimento.
Ecco un elenco di giochi possibili con il paracadute, dai quali, liberando la fantasia, ne possono
scaturire altri…
Questa serie di idee sono indirizzate a bambini a partire dai 4 anni in su. E’ comunque possibile
adattare i giochi al ritmo, all’età dei bambini e al luogo in cui si eseguono gli esercizi.
Per iniziare potete far afferrare ai bambini i bordi del paracadute, facendo sollevare e abbassare
il telo, eventualmente contando.
Ecco un elenco di giochi possibili con il paracadute, dai quali, liberando la fantasia, ne possono
scaturire altri…
Questa serie di idee sono indirizzate a bambini a partire dai 4 anni in su. E’ comunque possibile
adattare i giochi al ritmo, all’età dei bambini e al luogo in cui si eseguono gli esercizi.
Per iniziare potete far afferrare ai bambini i bordi del paracadute, facendo sollevare e abbassare
il telo, eventualmente contando.
Lasciate scoprire ai bambini che il telo si gonfia e si riempie d’aria,creando molteplici possibilità di utilizzo. Cercate di accompagnare i movimenti con la musica.
Il paracadute-casa
1) I bambini si sistemano intorno al paracadute e si accovacciano
2) Prendono il paracadute con le due mani
3) Al comando si alzano insieme e sollevano le braccia in alto.
4) Con questo movimento il paracadute si riempie di aria e forma un bel “tetto” sopra i bambini.
Il paracadute e la musica
1) Usare il paracadute con un accompagnamento musicale, lasciando che i bambini si muovano
seguendo la loro fantasia
2) Fare semplici balletti ed esercizi con l’accompagnamento della musica
3) Lasciare suggerire ad ogni bambino nuove idee di gioco.
1) Usare il paracadute con un accompagnamento musicale, lasciando che i bambini si muovano
seguendo la loro fantasia
2) Fare semplici balletti ed esercizi con l’accompagnamento della musica
3) Lasciare suggerire ad ogni bambino nuove idee di gioco.
Esperimenti con il paracadute
a)
1) I bambini si sistemano intorno al paracadute e lo afferrano con le due mani
2) Il paracadute viene tirato da tutti i partecipanti fino a diventare un telo liscio
3) Quando dopo alcuni tentativi si è trovato l’equilibrio si può:
• Tirare il paracadute con tutta la forza e rimanere poi, senza più tirare, in tensione e lasciarlo fluttuare
• Tirare il paracadute finchè è liscio per poi usarlo come una ruota che si fa girare camminando in tondo.
Iniziare lentamente, e aumentare poi gradualmente la velocità.
2) Il paracadute viene tirato da tutti i partecipanti fino a diventare un telo liscio
3) Quando dopo alcuni tentativi si è trovato l’equilibrio si può:
• Tirare il paracadute con tutta la forza e rimanere poi, senza più tirare, in tensione e lasciarlo fluttuare
• Tirare il paracadute finchè è liscio per poi usarlo come una ruota che si fa girare camminando in tondo.
Iniziare lentamente, e aumentare poi gradualmente la velocità.
b)
1) I bambini si sistemano intorno al paracadute e si accovacciano
2) Prendono il paracadute con le due mani
3) Al via si alzano insieme e sollevano le braccia in alto
4) Quando il paracadute è nel punto più alto si può:
• Fare qualche passo verso il centro, far passare il telo sulla testa e sedersi sul bordo: si ferma così una comoda “tana”
• Quando i bambini sono molto piccoli possono andare al centro, sedersi, e lasciare che la tana scenda lentamente su di loro.
c)
1) I bambini si sistemano intorno al paracadute e afferrano il paracadute con la mano sinistra.
2) Tutti camminano o corrono nella stessa direzione
3) La velocità viene stabilita dai bambini o dalla musica
4) Ad un certo punto si cambia mano e si va nell’altra direzione.
5) E’ possibile anche:
• Mettersi con la faccia rivolta verso il paracadute, camminando o correndo lateralmente.
• Tenere il paracadute con le due mani.
Fare attenzione a tenere una buona distanza sia tra le mani che tra i partecipanti.
E' buona norma programmare sempre una o due variazioni al gioco per essere in grado di affrontare degli inconvenieti,qualora si presentassero.
Quando realizzate le variazioni ponete sempre la massima attenzione: SBAGLIARE LE CORREZIONI POTREBBE OSTACOLARE IL RECUPERO DEL GIOCO.
Talvolta troppe variazioni possono portare al cambiamento dello svolgimento del gioco originale: il vostro scopo è quello di far trascorrere piacevolmente il tempo libero.
Anche se dovesse capitare che da un gioco con le carte,apportando delle variazioni, risultasse infine un gioco con la palla, basterà semplicemente cambiargli nome e nessuno potrà farvi notare di aver manomesso quello originale.
Con un pò di pratica...diventerete non solo abili organizzatori ma potrete sbizzarrirvi a creare dei giochi voi stessi.
Non è sufficente saper spiegare un gioco: è necessaria anche una buona preparazione che preceda la realizzazione, per evitare di trovarsi in difficoltà nel momento in cui si inizia a giocare.
- Bisogna effetuare una scelta dei giochi da fare, analizzando come prima cosa il contesto in cui si svolgeranno.Per poter procedere in modo veloce basterà rispondere a tre semplici domande:
- DOVE? in quale luogo si svolgeranno i giochi..all'aperto, al chiuso, in una casa, in piscina....
- CHI?a quale pubblico sono rivolti i giochi: bambini, ragazzi,adulti, coppie...
- QUANDO?si gioca di giorno, di sera, farà caldo o freddo....
- Una volta effettuata la scelta è necessario stabilire un' ordine di successione,così per esempio da alternare gare di movimento o momenti di riposo e coinvolgere tutti gli aspetti: l' inteligenza , il corpo, l'espressività...
- Un' altra cosa cheè bene tenere presente è quella di predisporre in anticipo il materiale necessario allo svolgimento del gioco:sarebbe imbarazzante dare il via d'inizio è accorgersi solo allora che mancano alcuni oggetti indispensabili
- Se poi avrete scelto giochi che prevedono premi di squadra,di coppia o individuali, è doveroso preparare i premi preventivamente , considerando la la quantità e la tipologia più idonea.
Se si desidera essere un buon ANIMATORE è innanzitutto saper ben spiegare un determinato gioco è infatti d' importanza fondamentale per la sua riuscita.
- Prima regola perchè la spiegazione di un gioco sia efficace è che essa deve risultare sempre più corta.Se il momento di svago risulta più breve di quello dedicato all'apprendimento delle regole del gioco, si corre il rischio di annoiare i partecipanti.
- Seconda regola è quella di far fare una prova prima di iniziare a giocare,almeno nel caso di alcune tipologie di giochi. In questo modo si capisce se la spiegazione è stata sufficente chiara e corretta e se hanno appreso le regole nella sequenza esatta.
- La terza regola consiste nel consegnare il materiale ai giocatori man mano che la spiegazione procede.Infatti,se lo si consegna tutto in una volta si può correre il rischio di confondere le idee ai partecipanti mettendo in dubbio l'esito del gioco.
Il trucco sul viso
I bambini adorano farsi truccare. Le farfalle, i gatti, i cani, i leoni, i fantasmi, le streghe sono alcuni dei trucchi preferiti.
Spugna e non pennello
Spugna e non pennello
Se il trucco riguarda tutto il viso o necessita avere un tinta base, usa una spugna per applicare il colore, sarà più rapido. Avere una spugna differente per ogni colore elimina la necessità di lavaggio durante il momento del trucco.
Sii pazienteLascia asciugare il colore prima di applicare il secondo, altrimenti i colori si mescoleranno tra di loro.
Sii pazienteLascia asciugare il colore prima di applicare il secondo, altrimenti i colori si mescoleranno tra di loro.
Immagina il trucco
Non improvvisare. I bambini non hanno molta pazienza ed è impensabile trattenerli seduti a lungo.
Bisogna avere in mente il disegno da fare ancora prima di cominciare a truccare. Il trucco base dovrà essere nella vostra mente; alla fine del trucco si potrà aggiungere un tocco speciale (se il modello sta ancora pazientemente seduto)
Gli stampi
Gli stampi
Se dipingere a mano libera è difficile o abbiamo poco tempo a disposizione possiamo utilizzare degli stampi.
Si può optare per stelle, cuori e fiori da dipingere sulla guancia.
Chiedi
Se possiedi una fila di bambini che attendono di farsi truccare, chiedi al bambino seguente che trucco gradirebbe alcuni minuti prima di aver completato il viso che attualmente state dipingendo. Potete suggerire alcuni trucchi, in modo da limitare la scelta.
Lo specchio, chi è il più bello di tutti?
Ricordarsi di tenere uno specchio a portata di mano in modo da far specchiare il bambino una volta terminato il trucco.
La mia nonnina è veramente tanto carina,
sul suo dolce viso per tutti nasce sempre un sorriso.
Lei è una nonna pimpante,
per niente stravagante,ma sempre molto elegante.
Il mio affetto per lei è proprio gigante!
Per le sue primavere,vanno a Dio le mie preghiere:"Oh mio caro e buon Gesù,non disubbidirò mai più."
Alla mia nonna dona una lunga vita,
piena di salute,
serenità e gioia infinita!"