L’adolescenza è una fase evolutiva in cui l’individuo deve affrontare una serie infinita di compiti avendo a disposizione risorse personali talvolta inadeguate, e sempre meno riferimenti culturali e sociali. Potremo identificare tre grandi aree che vedono impegnato l’adolescente.
La prima riguarda il processo di individuazione all’interno della rete familiare attraverso uno smarcarsi da valori di riferimento infantili; pensiamo alle adolescenze prolungate e alla difficoltà di molti giovani a lasciare la casa paterna, in confronto alla spinta a girare il mondo presente nelle generazioni passate.
Un altro aspetto dello sviluppo adolescenziale riguarda le trasformazioni del proprio corpo, la costruzione di una propria immagine non solo fisica ma anche mentale, l’accesso alla sessualità, e quindi la definizione di una propria identità, non sempre supportata da riferimenti culturali e sociali chiari e definiti.
L’ultimo compito riguarda la costruzione di nuovi legami e relazioni affettive. Si esce dal guscio familiare, si costruiscono le prime amicizie, i primi amori, i primi legami, quelli che non si scordano mai, proprio perché rappresentano un debutto.
Nell’affrontare il loro percorso evolutivo gli adolescenti impattano queste aree non sempre in maniera indolore; a volte si rivelano più impegnative del previsto, fonte di disagio, sofferenza, inducono a comportamenti inadeguati o incongrui, a volte esponendo a dei rischi.
Sembra infatti naturale a questa età la tendenza a intraprendere tutta una serie di comportamenti che espongono a rischi a volte anche gravi, come se fosse una parte ineliminabile del processo evolutivo.
In un processo di crescita il rischio è insito ogni qual volta si affronta una esperienza nuova, ci sono delle decisioni da prendere, il fallimento è in agguato, e la posta è alta se si considera che è in gioco l’affermazione di sé stessi.
Quindi è sempre una sfida, con gli adulti, con i genitori, a scuola, con gli amici, con il partner sessuale. Esistono però situazioni dove i comportamenti a rischio sembrano assumere una caratteristica particolare, eccessiva rispetto all’effettivo significato dell’atto. La trasgressione non è più solo un comportamento descrittivo dell’adolescenza, un tratto fase-specifico.
L’uso di sostanze, la sessualità, comportamenti antisociali o propriamente devianti, sembrano essere qualcosa di più che semplici manifestazioni del travaglio adolescenziale; vanno oltre lo sperimentare il proprio coraggio, abilità, sfidare le regole sociali; piuttosto sembrano assumere significati particolari, come l’espressione di un disagio che non trova altre forme condivisibili, o tante volte anche la ricerca di un contenimento esterno.
Esperienze degli ultimi anni evidenziano come una destrutturazione generale, una difficoltà evolutiva, sia un comune denominatore che caratterizza i ragazzi più esposti a vivere situazioni di rischio di comportamenti antisociali.
Tale destrutturazione può essere rappresentata da una vulnerabilità individuale, difficoltà ad accettarsi (i propri sentimenti, il proprio corpo con le sue funzioni, anche espressive) e ad esprimere le proprie emozioni a livello verbale, corporeo, affettivo in modo congruo, dall’intolleranza verso l’attesa e la frustrazione e dal non percepire l’altro come fonte di sostegno, la difficoltà a mantenere un impegno. Contribuiscono a questo quadro situazioni come famiglie problematiche (separati, carenze educative ed affettive) o ambienti sociali deprivati culturalmente o economicamente, atteggiamenti caratterizzati da scarsa autostima, instabilità emotiva, comportamenti provocatori, spesso collegati ad un percorso scolastico marcato da insuccessi, l’uso più o meno saltuario di sostanze stupefacenti.
Questi fattori combinandosi tra loro producono quei comportamenti che più marcatamente evidenziano situazioni di disagio che si manifestano con l’abuso di sostanze stupefacenti o alcolici, abbandoni scolastici, una continua violazione di norme, comportamenti che denotano una incapacità ad assumersi le responsabilità del proprio comportamento.
Il concetto di responsabilità, secondo un modello psicologico, implica la possibilità di assumersi un impegno all’interno di un legame sociale riconosciuto, di prefigurarsi le conseguenze delle proprie azioni, di essere capaci di riparare i danni commessi.
Sembrerebbe quindi che sia l’adolescenza stessa una condizione di rischio, caratterizzata da comportamenti trasgressivi, antisociali, devianti.
E’ importante distinguere allora quando certi comportamenti possono essere considerati specifici dell’adolescenza e quando connotino una più stabile strutturazione deviante.
Per spiegare la devianza minorile si fa riferimento principalmente a quattro gruppi di teorie, quelle psicologiche, sociologiche, psicosociali, e della costruzione sociale.
Tra le teorie psicologiche quella psicoanalitica individua in uno sviluppo evolutivo inadeguato le cause di comportamenti devianti, che si manifesta attraverso un tipo di personalità caratterizzato da incapacità ad interiorizzare delle norme, difficoltà ad instaurare delle relazioni affettive, insufficiente controllo dei propri impulsi, ricerca dell’appagamento immediato dei propri desideri. In termini metapsicologici ci si trova davanti ad un Io inadeguato e onnipotente e un Super-Io incapace di definire limiti. Il versante sistemico-relazionale attribuisce ad un certo tipo di relazioni familiare la genesi della devianza minorile.
Attualmente, pur non riducendo i fenomeni di devianza minorile a semplici sintomi di disturbi psichiatrici adolescenziali, si evidenziano situazioni casi in cui tali comportamenti sono ascrivibili a situazioni psicopatologiche. Fondamentale importanza nello sviluppo adolescenziale è rivestita dal gruppo dei pari, e quindi anche nel caso di comportamenti devianti. Nel gruppo l’adolescente soddisfa bisogni di appartenenza, diluisce la responsabilità dei propri comportamenti, sperimenta autonomie al di fuori della famiglia, scopre nuovi valori. E’ evidente come quindi un tipo di cultura di gruppo possa influenzare alcuni comportamenti piuttosto che altri, e come questa cultura sia il risultato dell’apporto di tutti i membri, che più o meno consapevolmente contribuiscono al suo mantenimento.
Il punto di vista sociologico ci mostra un panorama dove il comportamento è deviante rispetto ad un sistema di valori e norme riconosciute “normalmente”, ma assolutamente integrato e funzionale all’interno di quella che potremmo definire sottocultura. Questo sottosistema è regolato da principi orientati alla violazione delle norme e dei modelli di comportamento “normali” tanto da costituire una sottocultura che restituisce al singolo una sua identità ed un suo ruolo, permettendogli di conseguire obiettivi difficilmente raggiungibili in altro modo.
Una prospettiva che limita la dicotomia psicologia-sociologia si può trovare nelle teorie psicosociali, secondo le quali la devianza corrisponde all’effetto della risposta sociale sul singolo. Non è quindi l’atto in sé deviante, ma lo diventa nel momento in cui quel comportamento non è accettato socialmente. La progressione della risposta istituzionale, crea un apprendimento sociale che può portare l’individuo a condividere un percorso con altri con cui sente avere in comune norme e valori. L’identità deviante quindi non si strutturerebbe semplicemente secondo la teoria dell’etichettamento, ma attraverso un successivo processo di affiliazioneIl quarto modello descrive la devianza come una costruzione sociale operata da chi gestisce il potere e il controllo su classi svantaggiate che hanno più probabilità di essere oggetto di interventi di controllo sociale in quanto vittime di meccanismi di esclusione sociale e di emarginazione. Secondo questo modello interpretativo, l’attenzione va posta sul significato comunicativo dell’azione deviante, più che far riferimento a categorie quali personalità o ambiente socio-familiare.
La prima riguarda il processo di individuazione all’interno della rete familiare attraverso uno smarcarsi da valori di riferimento infantili; pensiamo alle adolescenze prolungate e alla difficoltà di molti giovani a lasciare la casa paterna, in confronto alla spinta a girare il mondo presente nelle generazioni passate.
Un altro aspetto dello sviluppo adolescenziale riguarda le trasformazioni del proprio corpo, la costruzione di una propria immagine non solo fisica ma anche mentale, l’accesso alla sessualità, e quindi la definizione di una propria identità, non sempre supportata da riferimenti culturali e sociali chiari e definiti.
L’ultimo compito riguarda la costruzione di nuovi legami e relazioni affettive. Si esce dal guscio familiare, si costruiscono le prime amicizie, i primi amori, i primi legami, quelli che non si scordano mai, proprio perché rappresentano un debutto.
Nell’affrontare il loro percorso evolutivo gli adolescenti impattano queste aree non sempre in maniera indolore; a volte si rivelano più impegnative del previsto, fonte di disagio, sofferenza, inducono a comportamenti inadeguati o incongrui, a volte esponendo a dei rischi.
Sembra infatti naturale a questa età la tendenza a intraprendere tutta una serie di comportamenti che espongono a rischi a volte anche gravi, come se fosse una parte ineliminabile del processo evolutivo.
In un processo di crescita il rischio è insito ogni qual volta si affronta una esperienza nuova, ci sono delle decisioni da prendere, il fallimento è in agguato, e la posta è alta se si considera che è in gioco l’affermazione di sé stessi.
Quindi è sempre una sfida, con gli adulti, con i genitori, a scuola, con gli amici, con il partner sessuale. Esistono però situazioni dove i comportamenti a rischio sembrano assumere una caratteristica particolare, eccessiva rispetto all’effettivo significato dell’atto. La trasgressione non è più solo un comportamento descrittivo dell’adolescenza, un tratto fase-specifico.
L’uso di sostanze, la sessualità, comportamenti antisociali o propriamente devianti, sembrano essere qualcosa di più che semplici manifestazioni del travaglio adolescenziale; vanno oltre lo sperimentare il proprio coraggio, abilità, sfidare le regole sociali; piuttosto sembrano assumere significati particolari, come l’espressione di un disagio che non trova altre forme condivisibili, o tante volte anche la ricerca di un contenimento esterno.
Esperienze degli ultimi anni evidenziano come una destrutturazione generale, una difficoltà evolutiva, sia un comune denominatore che caratterizza i ragazzi più esposti a vivere situazioni di rischio di comportamenti antisociali.
Tale destrutturazione può essere rappresentata da una vulnerabilità individuale, difficoltà ad accettarsi (i propri sentimenti, il proprio corpo con le sue funzioni, anche espressive) e ad esprimere le proprie emozioni a livello verbale, corporeo, affettivo in modo congruo, dall’intolleranza verso l’attesa e la frustrazione e dal non percepire l’altro come fonte di sostegno, la difficoltà a mantenere un impegno. Contribuiscono a questo quadro situazioni come famiglie problematiche (separati, carenze educative ed affettive) o ambienti sociali deprivati culturalmente o economicamente, atteggiamenti caratterizzati da scarsa autostima, instabilità emotiva, comportamenti provocatori, spesso collegati ad un percorso scolastico marcato da insuccessi, l’uso più o meno saltuario di sostanze stupefacenti.
Questi fattori combinandosi tra loro producono quei comportamenti che più marcatamente evidenziano situazioni di disagio che si manifestano con l’abuso di sostanze stupefacenti o alcolici, abbandoni scolastici, una continua violazione di norme, comportamenti che denotano una incapacità ad assumersi le responsabilità del proprio comportamento.
Il concetto di responsabilità, secondo un modello psicologico, implica la possibilità di assumersi un impegno all’interno di un legame sociale riconosciuto, di prefigurarsi le conseguenze delle proprie azioni, di essere capaci di riparare i danni commessi.
Sembrerebbe quindi che sia l’adolescenza stessa una condizione di rischio, caratterizzata da comportamenti trasgressivi, antisociali, devianti.
E’ importante distinguere allora quando certi comportamenti possono essere considerati specifici dell’adolescenza e quando connotino una più stabile strutturazione deviante.
Per spiegare la devianza minorile si fa riferimento principalmente a quattro gruppi di teorie, quelle psicologiche, sociologiche, psicosociali, e della costruzione sociale.
Tra le teorie psicologiche quella psicoanalitica individua in uno sviluppo evolutivo inadeguato le cause di comportamenti devianti, che si manifesta attraverso un tipo di personalità caratterizzato da incapacità ad interiorizzare delle norme, difficoltà ad instaurare delle relazioni affettive, insufficiente controllo dei propri impulsi, ricerca dell’appagamento immediato dei propri desideri. In termini metapsicologici ci si trova davanti ad un Io inadeguato e onnipotente e un Super-Io incapace di definire limiti. Il versante sistemico-relazionale attribuisce ad un certo tipo di relazioni familiare la genesi della devianza minorile.
Attualmente, pur non riducendo i fenomeni di devianza minorile a semplici sintomi di disturbi psichiatrici adolescenziali, si evidenziano situazioni casi in cui tali comportamenti sono ascrivibili a situazioni psicopatologiche. Fondamentale importanza nello sviluppo adolescenziale è rivestita dal gruppo dei pari, e quindi anche nel caso di comportamenti devianti. Nel gruppo l’adolescente soddisfa bisogni di appartenenza, diluisce la responsabilità dei propri comportamenti, sperimenta autonomie al di fuori della famiglia, scopre nuovi valori. E’ evidente come quindi un tipo di cultura di gruppo possa influenzare alcuni comportamenti piuttosto che altri, e come questa cultura sia il risultato dell’apporto di tutti i membri, che più o meno consapevolmente contribuiscono al suo mantenimento.
Il punto di vista sociologico ci mostra un panorama dove il comportamento è deviante rispetto ad un sistema di valori e norme riconosciute “normalmente”, ma assolutamente integrato e funzionale all’interno di quella che potremmo definire sottocultura. Questo sottosistema è regolato da principi orientati alla violazione delle norme e dei modelli di comportamento “normali” tanto da costituire una sottocultura che restituisce al singolo una sua identità ed un suo ruolo, permettendogli di conseguire obiettivi difficilmente raggiungibili in altro modo.
Una prospettiva che limita la dicotomia psicologia-sociologia si può trovare nelle teorie psicosociali, secondo le quali la devianza corrisponde all’effetto della risposta sociale sul singolo. Non è quindi l’atto in sé deviante, ma lo diventa nel momento in cui quel comportamento non è accettato socialmente. La progressione della risposta istituzionale, crea un apprendimento sociale che può portare l’individuo a condividere un percorso con altri con cui sente avere in comune norme e valori. L’identità deviante quindi non si strutturerebbe semplicemente secondo la teoria dell’etichettamento, ma attraverso un successivo processo di affiliazioneIl quarto modello descrive la devianza come una costruzione sociale operata da chi gestisce il potere e il controllo su classi svantaggiate che hanno più probabilità di essere oggetto di interventi di controllo sociale in quanto vittime di meccanismi di esclusione sociale e di emarginazione. Secondo questo modello interpretativo, l’attenzione va posta sul significato comunicativo dell’azione deviante, più che far riferimento a categorie quali personalità o ambiente socio-familiare.
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