Nella nostra società vanno delineandosi nuove povertà dell'infanzia, che si sostanziano di deprivazione ludica, sociale, senso - percettiva e motoria, d'inibizione di fantasia e immaginazione, di mortificazione del bisogno d'avventura, esplorazione e scoperta. In molti casi vi è l’immagine di un bambino confinato all’interno di limitanti pareti domestiche, avendo spesso come unici interlocutori la tv, ma soprattutto, i videogiochi, relegato in compagnia dei suoi costosi giocattoli. Si può notare che il comportamento della nostra società nei confronti dell’infanzia è ambiguo: da un lato il diffondersi di un atteggiamento sempre più protettivo degli adulti nei confronti dei bambini, dall’altro la scoperta da parte degli operatori economici dell’infanzia come nuovo fattore di sviluppo dei consumi (infanzia = consumo).
Ma è soprattutto nei confronti del gioco che la nostra epoca palesa una forte contraddizione: da un lato lo riconosce quale attività elettiva dell’infanzia, essenziale al suo armonico sviluppo; dall’altro lo nega nei fatti. Il gioco sociale e di movimento sono impediti dall’avanzata del cemento, dall’invadente traffico automobilistico, dai divieti e dalle proibizioni del mondo adulto e in generale da una complessa disattenzione nei confronti degli autentici bisogni e delle reali esigenze dell’infanzia. Il gioco tende a smarrire i suoi attributi di autenticità, autonomia, spontaneità, iniziativa, creatività, presentandosi già a livello di prima infanzia con spiccati caratteri consumistici; ai bambini vengono offerti prodotti finiti, cioè, giochi pronti per giocare, giocattoli e non giochi.
Si delinea la necessità che la formazione del bambino si spenda su un ampio ventaglio di esperienze e trovi sostegno e promozione in quella “cosa naturale e universale chiamata gioco” (Winnicot, Gioco e realtà). Il gioco, pertanto, è funzione essenziale della vita e fornisce opportune chiavi di lettura dello sviluppo infantile che affonda le sue radici nell’esperienza, nell’incontro con ciò che il bambino tocca, vede, osserva, conosce. L’attività ludica è per lui conquista di libertà e fonte di conoscenza, motivo di crescita intellettuale, morale e sociale; tutto ciò che apprende lo apprende nel gioco o attraverso il gioco.
Ecco che allora possiamo definire essenzialmente il gioco come un’attività che abbia prima di tutto il carattere della spontaneità, della volontarietà, della motivazione, della finzione, del piacere. Attraverso il gioco il bambino si estrania dalla realtà oggettiva per entrare in un’altra realtà puramente soggettiva dettata dalle situazioni e dal contesto del gioco. In questo modo, tal estraneamento diventa una nuova realtà nella quale il bambino si misura e prova se stesso. Il gioco rappresenta l’occasione nella quale i bambini e le bambine sviluppano la propria autonomia provando a rispettare o modificare le regole che essi stessi hanno stabilito, in rapporto alle situazioni che, di volta in volta, si presentano. Da questo punto di vista, il gioco si propone da un lato come un estraneazione della vita ordinaria e, dall’altro, come un formidabile campo di prova nel qual è possibile sbagliare e ricominciare da capo senza essere rimproverati e puniti.
Il gioco e il gioco simbolico
Attraverso il gioco il bambino si estranea dalla realtà oggettiva, per entrare in un’altra realtà che è puramente soggettiva ed è dettata dalle situazioni e dal contesto di gioco. In questo modo, tale estraneamento, diventa una nuova realtà nella quale il bambino si misura e prova se stesso.
Il gioco rappresenta l’occasione nella quale le bambine ed i bambini sviluppano la propria autonomia provando a rispettare le regole che essi stessi hanno stabilito, ma anche modificandole in rapporto alle situazioni che si presentano. Da questo punto di vista, il gioco si propone come un CAMPO DI PROVA nel quale è possibile sbagliare e ricominciare da capo. L’attività ludica prevalente della prima infanzia è quella del gioco simbolico, quella in cui il bambino si dedica appena può e con grande impegno.
Il gioco simbolico consiste in quella condotta ludica che compare attorno ai 12/15 mesi di vita e attraversa con il suo sviluppo tutta la prima infanzia, raggiungendo il suo grado massimo d’articolazione verso i 5/6 anni d’età. Si chiama simbolico perché si basa su un processo di significazione indiretta in funzione del quale qualcosa viene utilizzato per rappresentare qualcos’altro, che non viene dunque espresso direttamente, ma appunto per via indiretta attraverso un suo sostituto simbolico.
Ma è soprattutto nei confronti del gioco che la nostra epoca palesa una forte contraddizione: da un lato lo riconosce quale attività elettiva dell’infanzia, essenziale al suo armonico sviluppo; dall’altro lo nega nei fatti. Il gioco sociale e di movimento sono impediti dall’avanzata del cemento, dall’invadente traffico automobilistico, dai divieti e dalle proibizioni del mondo adulto e in generale da una complessa disattenzione nei confronti degli autentici bisogni e delle reali esigenze dell’infanzia. Il gioco tende a smarrire i suoi attributi di autenticità, autonomia, spontaneità, iniziativa, creatività, presentandosi già a livello di prima infanzia con spiccati caratteri consumistici; ai bambini vengono offerti prodotti finiti, cioè, giochi pronti per giocare, giocattoli e non giochi.
Si delinea la necessità che la formazione del bambino si spenda su un ampio ventaglio di esperienze e trovi sostegno e promozione in quella “cosa naturale e universale chiamata gioco” (Winnicot, Gioco e realtà). Il gioco, pertanto, è funzione essenziale della vita e fornisce opportune chiavi di lettura dello sviluppo infantile che affonda le sue radici nell’esperienza, nell’incontro con ciò che il bambino tocca, vede, osserva, conosce. L’attività ludica è per lui conquista di libertà e fonte di conoscenza, motivo di crescita intellettuale, morale e sociale; tutto ciò che apprende lo apprende nel gioco o attraverso il gioco.
Ecco che allora possiamo definire essenzialmente il gioco come un’attività che abbia prima di tutto il carattere della spontaneità, della volontarietà, della motivazione, della finzione, del piacere. Attraverso il gioco il bambino si estrania dalla realtà oggettiva per entrare in un’altra realtà puramente soggettiva dettata dalle situazioni e dal contesto del gioco. In questo modo, tal estraneamento diventa una nuova realtà nella quale il bambino si misura e prova se stesso. Il gioco rappresenta l’occasione nella quale i bambini e le bambine sviluppano la propria autonomia provando a rispettare o modificare le regole che essi stessi hanno stabilito, in rapporto alle situazioni che, di volta in volta, si presentano. Da questo punto di vista, il gioco si propone da un lato come un estraneazione della vita ordinaria e, dall’altro, come un formidabile campo di prova nel qual è possibile sbagliare e ricominciare da capo senza essere rimproverati e puniti.
Il gioco e il gioco simbolico
Attraverso il gioco il bambino si estranea dalla realtà oggettiva, per entrare in un’altra realtà che è puramente soggettiva ed è dettata dalle situazioni e dal contesto di gioco. In questo modo, tale estraneamento, diventa una nuova realtà nella quale il bambino si misura e prova se stesso.
Il gioco rappresenta l’occasione nella quale le bambine ed i bambini sviluppano la propria autonomia provando a rispettare le regole che essi stessi hanno stabilito, ma anche modificandole in rapporto alle situazioni che si presentano. Da questo punto di vista, il gioco si propone come un CAMPO DI PROVA nel quale è possibile sbagliare e ricominciare da capo. L’attività ludica prevalente della prima infanzia è quella del gioco simbolico, quella in cui il bambino si dedica appena può e con grande impegno.
Il gioco simbolico consiste in quella condotta ludica che compare attorno ai 12/15 mesi di vita e attraversa con il suo sviluppo tutta la prima infanzia, raggiungendo il suo grado massimo d’articolazione verso i 5/6 anni d’età. Si chiama simbolico perché si basa su un processo di significazione indiretta in funzione del quale qualcosa viene utilizzato per rappresentare qualcos’altro, che non viene dunque espresso direttamente, ma appunto per via indiretta attraverso un suo sostituto simbolico.
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