Se comandasse lo zampognaro
Che scende per il viale,
sai che cosa direbbe
il giorno di Natale?
"Voglio che in ogni casa
spunti dal pavimento
un albero fiorito
di stelle d'oro e d'argento".
Se comandasse il passero
Che sulla neve zampetta,
sai che cosa direbbe
con la voce che cinguetta?
"Voglio che i bimbi trovino,
quando il lume sarà acceso
tutti i doni sognati
più uno, per buon peso".
Se comandasse il pastore
Del presepe di cartone
Sai che legge farebbe
Firmandola col lungo bastone?
" Voglio che oggi non pianga
nel mondo un solo bambino,
che abbiano lo stesso sorriso
il bianco, il moro, il giallino".
Sapete che cosa vi dico
Io che non comando niente?
Tutte queste belle cose
Accadranno facilmente;
se ci diamo la mano
i miracoli si faranno
e il giorno di Natale
durerà tutto l'anno
1.Hanno grandi cappelli, ma non teste da coprire. Hanno tutti un solo piede, ma non scarpe da calzare. (i funghi)
2.Hanno vestiti diversi, di un colore particolare, ma quando viene freddo si devono spogliare. (gli alberi)
3.Ha la barba, ma non è vecchio; ha la treccia, ma non è una donna; ha gli spicchi, ma non è un arancio. (l’aglio)
4.Come si chiama quella bevanda ottenuta dall’infuso dei fiori essiccati di una pianta simile alle margheritine? (la camomilla)
5.Mi conservano in cantina, mi tagliano in cucina, faccio piangere la folla e sono …(la cipolla)
6.Come si chiama quel fiore che troviamo solo in alta montagna?
la stella alpina)
7.Verdolino penzolava; l’ho sbucciato e biancheggiava. L’ho aperto ed era rosso, dolce, morbido, senz’osso. Alla bocca l’ho appoggiato, tutto quanto l’ho mangiato. (il fico)
8.Son spinoso, ma ho un cuore buono; d’estate vivo in alto e d’inverno scendo. Tu vai cercando quel che aprendomi perdo. (il riccio della castagna)
GLI ANIMALI
1.Quali sono gli animali, che giovani o vecchi, adoperano il naso per grattarsi gli orecchi? (gli elefanti)
2.Ha la vita appesa ad un filo, e lavora per un pugno di mosche. (il ragno)
3.Indovina indovinello, mezzo topo e mezzo uccello. (il pipistrello)
4.La casetta ha sulle spalle, gira i monti, gira la valle; veloce proprio non sa andare, sai dirmi tu come si fa chiamare? (la lumaca)
5.Non è un re, ma ha la corona. Non è un orologio, ma le ore suona. (il gallo)
6.Sono operaie, ma in fabbrica non vanno; producono dolcezza, ma se le prendi male fanno. (le api)
7.Le case all’altezza dei campanili fa, senza cemento e con facilità, ma non è un muratore. Chi sarà questo signore? (la rondine)
8.Quando nasce è vermicello, proprio brutto e niente bello; ma poi cresce e vengon fuori dei fantastici colori. (la farfalla)
IL CIELO E IL TEMPO
1.Ha tanti raggi ma non è una ruota, che cos’ è? (il sole)
2.Quando sta per calare, non diminuisce, ma aumenta. (la nebbia)
3.La mia vita nessuno può fermare, ma in un mese divento vecchia e mi devo rinnovare. (la luna)
4.cos’è quella cosa che tutti fa tremare senza dover minacciare? (il freddo)
5.Sono padre di dodici figli, e tutti portano doni e consigli, ma l’uno all’altro non sono uguali. (l’anno)
6.Di notte arriviamo anche se non ci hai chiamato; di giorno spariamo, ma nessuno ci ha rubato. (le stelle)
LA GEOGRAFIA
1.Come si chiama quella città veneta famosa per l’acqua alta? (Venezia)
2.Qual è la capitale del panettone? (Milano)
3.La città dei gianduiotti. (Torino)
PERSONE E MESTIERI
1.Sono signore buone e gioiose, ma vivono solo nella fantasia. Con la bacchetta in mano, possono fare ogni magia (le fate)
2.Passa la vita tra rose e fiori, mille profumi, mille colori. (il giardiniere)
3.Non si può dire che le manchi la classe. (la maestra)
4.Lavora sempre nell’oscurità, dove la luce chiaro non fa, e anche se si trova in mezzo a tanti a lui danno sempre cariche brillanti. (il minatore)
5.Chi è quella Santa che si festeggia il 13 dicembre? (Lucia)
COSE E OGGETTI
1.Non ha braccia, non ha gambe, ma corre e salta come un capretto. (la palla)
2.Vola senza piume, ha le ali ma non cinguetta. (l’aereo)
3.Al suo passaggio tutti si tolgono il cappello, perché ha i denti, ma non morde. (il pettine)
4.Di cose ne sa tante ma non sa parlare, chi è? (il libro)
5.Più è nera, più è pulita. (la lavagna)
6.Con un buco in testa, fa tanti buchi. (l’ago)
7.E’ un tipo un pò originale, che sta in casa col bel tempo, ed esce quando piove. (l’ombrello)
8.Chi nasce con me, è ritenuto fortunato. (la camicia)
9.Cos’è quella cosa che più la lavi, più diventa piccola? (il sapone)
10.Ho i raggi, ma non splendo, e se mi buco.. allora attento! (la ruota)
11.Non sono uomini, non sono donne, ma portano i pantaloni e anche le gonne. (gli attaccapanni)
12.Lo puoi piantare, ma non crescerà; ha una testa, ma mai ragionerà. (il chiodo)
IL CIBO
1.Solo quando è fresco scotta, sai dirmi di che si tratta? (il pane)
2.Tutti mi sanno aprire, nessuno mi sa richiudere, non sto in piedi dritto e se mi rompi, a volte, son fritto. (l’uovo)
3.Quando è buona, tutti la scartano. (la caramella)
4.Nella fossa delle acque bollenti, entran bastoni ed escon serpenti. (gli spaghetti)
5.Non ha prurito, però si gratta. (il formaggio)
6.Può essere corretto, anche se non ha alcun errore. (il caffè)
7.Son legato ma innocente, piaccio molto a tanta gente; dormo appeso ad una trave, e non sono niente male. (il salame)
VARIE
1.Con gli occhi aperti non lo puoi trovare, ma se li tieni chiusi, lui può arrivare, cos’è? (il sonno)
2.Mi trovi se vai in un posto desolato, e se parli me ne sono già andato. (il silenzio)
3.Se non parli per primo tu, lui non dice niente. (l’eco)
UN'EURO DI PANNA:è un gioco di gruppo senza limitazioni nel numero di persone che possono parteciparvi.E'necessaria la presenza di un'animatore.
MATERIALE: PIATTI DI CARTA(1 per giocatore),MONETA DA UN'EURO(1 per giocatore),PANNA MONTATA.
SPIEGAZIONE
L'animatore prepara un piatto colmo di panna per ciascun giocatore e,all 'interno di ogni piatto,pone una moneta da un euro.
Al via, i concorrenti devono cercare di trovare la moneta afferrandola tra i denti senza l ausilio delle mani.
VARIAZIONI
Al posto delle monete,si possono utilizzare altri oggetti commestibili(chicco i caffè,un cioccolatino)
BUONA LA PANNA MONTATA:è un gioco di coppie.
MATERIALE:BENDE(una per coppia),cucchiaini(uno per coppia)TAZZE(una per coppia)PANNA MONTATA
SPIEGAZIONE
I partner vengono bendati e a uno di loro viene consegnata una tazza piena di panna montata e un cucchiaino.Al via dell'animatore, il giocatore con la panna montata deve cercare di imboccare il proprio compagno.Vince la coppia che termina per prima.
VARIAZIONI
Sostituire la panna montata altri cibi(crema al cioccolato calda, macedonia,marmellata)
Solo il giocatore con la panna montata viene bendato mentre il partner pur avendo gli ochhi aperti, deve rimanere assolutamente fermo e limitarasi ad aprire il più possibile la bocca per agevolare il compagno.
LA CICCOLATA CALDA
E'un gioco di gruppo senza limitazioni nel numero di persone che possono parteciparvi.
MATERIALE: SEDIE(1 per giocatore),PIATTI DI PLASTICA(1 per giocatore),CIOCCOLATA CALDA.
SPIEGAZIONE
Si sistemano in fila le sedie e sopra ciascuna di esse si dispone un piatto contenente una certa quantità di cioccolata calda,ma non bollente.Si fanno inginocchiare davanti alle sedie i concorrenti cn le mani dietro la schiena.Al via,devono leccare la cioccolata fino a pulire il piatto.Vince chi finisce per primo.
VARIAZIONI
Utilizzare altri cibi,per esempio...spaghetti,frullato,frappè...
Babbo Natale legge le letterine di tutti! Bimbi piccoli e grandi di tutto il mondo, con sogni, desideri, richieste... L'unico requisito è credere nella magia del Natale e di Babbo Natale
COLORIAMO IL NATALE
La parola "Natale"
Sembra che derivi dal latino "natalis dies", giorno della nascita. In Italia si dice "Natale" mentre in Spagna è "Navidad". In tedesco invece si dice "Weihnachten", e cioè "notte santa" (Weih = sacro, e Nacht = notte). In inglese si usa Christmas e Xmas. Il primo termine indica la "messa" di Cristo, e si riferisce al significato religioso del Natale, il secondo comincia con la X, e simboleggia il greco "Xhi" che fu utilizzato per secoli per designare Cristo "Khristo".
Il "Natale": cos'è, come nasce
Il Natale, è la festa con la quale i cristiani celebrano l'avvento di Gesù. Non è storicamente accertato che Gesù è nato il 25 dicembre. La data è stata scelta come contrapposizione cristiana ad una festa di origine romana risalente al IV secolo, che si celebrava nel solstizio d'inverno. Era una festa pagana voluta dall'imperatore Aureliano, nel 275 in onore del dio Sole invitto, della luce che cresce, del sole che viene ed era celebrata anche in tutto il vicino Oriente. Festa da celebrarsi, per l'appunto, il 25 dicembre, cioè quattro giorni dopo il solstizio d'inverno che cade il 21 dicembre. Dopo tale data la luce rinasce e prende gradatamente il sopravvento sulle tenebre, le giornate si allungano fino al 21 giugno, il giorno più lungo dell'anno: il solstizio d'estate. I cristiani d'oriente ripresero questa tradizione pagana e iniziarono a ricordare il 6 gennaio come data dell'avvento del Messia, festa di luce e di epiphania. La Chiesa, poi, per contrastare il perpetuarsi di tale festa pagana radicata nella tradizione popolare, decise di celebrare in quella medesima data il dies natalis Christi, la nascita di Gesù: "Luce dei mondo", "Sole" che brillerà in eterno. Tra il 325 e il 354 d.c. a Roma venne definitivamente fissato il 25 dicembre come giorno della celebrazione della nascita di Gesù.
Il Calendario dell'Avvento
La tradizione del Calendario dell'Avvento è molto antica. Le mamme, nei tempi andati, preparavano delle casette con 24 finestrelle, che I bambini aprivano, una per giorno, nei 24 giorni che precedevano il Natale. In genere questa operazione avveniva la mattina, perché all'interno della finestra c'era un versetto della Bibbia, da recitare insieme. Poi un giorno un certo Gerhard Lang, a Monaco di Baviera, ebbe un'idea: continuare la tradizione di sua madre, che di anno in anno per Natale preparava calendari colorati per i suoi figli. E così decise di stampare il primo Calendario dell'Avvento. Era l'anno 1908. Questa idea ebbe un grande successo e fu ripresa da molte ditte che cominciarono a stampare calendari. Negli anni '20 il calendario ebbe un'evoluzione, sostituendo i famosi versetti con piccoli quadratini di cioccolato, uno dietro ogni finestrella. Ed oggi, ad oltre 90 anni di distanza, I Calendari dell'Avvento sono ancora decorati con piccoli cioccolatini, e accompagnano I bambini nei 24 giorni prima del Natale, mettendo alla prova I più golosi e la loro pazienza!
La Corona dell'Avvento
E' un elemento essenziale della preparazione del Natale nei paesi germanici e scandinavi, dove non c'è casa, chiesa o luogo pubblico dove non faccia mostra di sé. E' una corona di benvenuto o buon augurio e deriva da un'antica tradizione pre-cristiana poi cristianizzata: nell'antichità era usanza intrecciare una corona di foglie sempreverdi che rappresentava la speranza di una rinascita e tale simbologia è proseguita nei secoli fino a diffondersi tra i popoli cristiani e a concretizzarsi in una corona di rami di abete ornata da quattro candele, simboleggianti le quattro settimane che precedono il Natale, il periodo dell'Avvento, appunto. Le candele, che la tradizione vuole di colore viola, vengono accesse una ogni domenica di Avvento fino alla sera di Natale, quando le quattro candele accese evocano il risorgere della luce. Ogni candela ha un significato: la candela di Betlemme, quella dei pastori, quella dei profeti e quella degli angeli.
L'abete di Natale
Forse non tutti sanno che la sua usanza risale ancora ai Romani, che il primo gennaio usavano decorare le loro case con rami di conifere in onore del Dio Giano. L'usanza proseguì nel Medioevo lungo la valle del Reno e in Alsazia si diffuse l'abitudine di porre nelle corti delle Chiese il 24 dicembre un albero ai cui rami pendevano delle mele, simbolo del frutto della tentazione di Adamo. Per imitare questi alberi del paradiso esposti nelle chiese, anche i singoli iniziarono dapprima a mettere nelle loro case dei rami d'abete sostituiti poi verso il 15º secolo da piccoli abeti ornati allo stesso modo. Nel corso dei secoli la decorazione dell'albero si evolve e vengono aggiunte prima delle ostie, poi dei fiori in carta multicolore ("rose di natale"). Man mano gli artigiani si specializzano e con del leggero metallo cromato vengono confezionati fiori, angeli e stelle, che vanno ad arrichire le decorazioni dell'albero. Poco a poco piccoli dolci leggeri, realizzati con stampi a ferro-caldo vengono aggiunti alle decorazioni. Ci si comincia a sbizzarrire nelle forme e con la pasta dei dolci, lo zucchero e il marzapane si preparano ogni sorta di decorazioni da appendere all'albero: angioletti, stelline, cavallucci, cuori, lune, fiori, tantissime forme che avevano significati religiosi o profani. Nelle seconda metà del 19º secolo si cominciano a stampare delle immagini da attaccare su dolci di zucchero o di cioccolata. Dopo l'invenzione della glassa di zucchero, i dolciumi cominciano ad essere decorati con glassa e granelli di vario colore. Poco a poco si aggiungono le noci dorate e argentate. Arrivano le figurine in cera, di solito angeli decorati con lamine di metallo dorato argentato. Con queste lamine si cominciano a confezionare anche delle ghirlande e a dorare le pigne degli abeti. L'abilità aumenta e appaiono le prime sfere, gli uccellini, le stelle in vetro soffiato e colorato. E siamo arrivati ai nostri giorni e alla fine della storia.
La leggende delle palle colorate
A Betlemme c'era un artista di strada molto povero che non aveva nemmeno un dono per il Bambino Gesù così andò a visitarlo e fece ciò che sapeva fare meglio, il giocoliere, e lo fece ridere.
Ecco perché ogni anno sull'albero di Natale appendiamo le palle colorate - per ricordarci delle risate di Gesù Bambino.
La leggende della campane di Natale
I pastori si affollarono a Betlemme per recarsi ad incontrare il neonato re. Un piccolo bimbo cieco sedeva sul lato della strada maestra e, sentendo l'annuncio degli angeli, pregò i passanti di condurlo da Gesù Bambino, ma nessuno aveva tempo per lui.
Quando la folla fu passata e le strade tornarono silenziose, il bimbo udì in lontananza il rintocco di una campana da bestiame. Pensò "Forse quella mucca si trova proprio nella stalla dove è nato Gesù bambino!" e seguì la campana fino alla stalla ove la mucca lo portò fino alla mangiatoia dove giaceva il neonato Gesù.
San Nicola
San Nicola nacque verso il 270, forse a Patara, nella Licia (attuale Turchia). Rimasto orfano ancora giovinetto, venne accolto da uno zio che risiedeva nella città di Mira (oggi Dembre). Ben presto Nicola si fece ammirare per la grande bontà e generosità che animavano il suo operato soprattutto verso i più poveri, ai quali distribuì le ricchezze ricevute in eredità dai genitori.
In seguito venne ordinato sacerdote dal vescovo di Mira e, alla morte di questi, ne divenne il successore. Anche in questo campo si distinse ben presto per lo zelo pastorale e l'amorevole cura con la quale seguì il suo "gregge", mentre la risonanza di grandi miracoli da lui compiuti si diffondeva ovunque accrescendo la fama di santo riconosciutagli dai suoi stessi contemporanei.
L'indomito vescovo, alla sua morte avvenuta il 6 dicembre ma di cui non si conosce con esattezza l'anno (si pensa tra il 345 e il 352), venne sepolto nella cattedrale di Mira.
Le reliquie rimasero a Mira fino al 1087 (la città intanto da diversi anni si trovava sotto il dominio turco), allorché un gruppo di marinai baresi le trafugarono e trasportarono a Bari dove giunsero il 9 maggio 1087 e dove tuttora si trovano. Il fatto che in questa città siano conservate le sue reliquie ha fatto sì che il taumaturgo di Mira sia comunemente conosciuto anche come san Nicola di Bari, di cui venne proclamato patrono.
In diversi paesi del nord Europa questo santo ha dato origine a tradizioni che si intrecciano con la festa della natività.
In Olanda, ad esempio, San Nicola che i bambini chiamano familiarmente Sinter Klaus, con l'abito rosso, la barba bianca e la mitra vescovile in testa, era stato adottato dagli abitanti come portatore di doni per i più piccini. Dall'Olanda la tradizione raggiunse le colonie americane dei Nuovo Mondo, e anche lì Sinter Klaus (Santa Claus) continuò a spostarsi di casa in casa lasciando regali a tutti i bambini.
Con il trascorrere del tempo il suo aspetto mutò, il cappello vescovile divenne un cappuccio a punta, l'abito pur rimanendo rosso si trasformò in giacca e pantaloni orlati di pelliccia bianca, mantenne la folta barba bianca ma ingrassò non poco, infine dall'America tornò in Europa trasformato nel Babbo Natale sorridente e instancabile nel distribuire i regali, proprio come Santa Klaus (cioè san Nicola) di cui mantiene lo spirito e la capacità di donare.
Nei paesi dell'area germanica (Alsazia compresa) continua a vivere la tradizione di Sankt Nikolaus, e in diversi paesi il 6 dicembre un vecchietto con la mitra vescovile in testa sfila in corteo per le città distribuendo dolci e doni ai bambini bravi. E' accompagnato da angeli e dai diavoli, i "Krampus", che portano invece fruste ai bambini cattivi.
Le strenne
Gli abitanti dell'antica Roma erano soliti scambiarsi, in occasione di feste e a capodanno, dei regali chiamati strenne.
Tale consuetudine si ricollegava ad una tradizione secondo la quale, il primo giorno dell'anno, al re veniva offerto in dono un ramoscello raccolto nel bosco della dea Strenna (dea sabina della salute?). Questo rito augurale si diffuse tra il popolo e, ben presto, i rametti di alloro, di ulivo e di fico vennero sostituiti da regali vari.
Ecco perchè i regali di natale, secondo questa tradizione giunta fino a noi, si chiamano anche "strenne".
Il biancospino
Germoglia nei giorni di Natale e fiorisce a Pasqua. La credenza popolare ritiene benefico il biancospino di Glastonbury perchè lo fa risalire al bastone che Giuseppe d'Arimatea aveva piantato con le sue mani.
Il vischio
E' la pianta natalizia tradizionalmente riconosciuta come pianta di buon augurio: incarna lo spirito vitale ed è quindi protettivo, poiché non possiede legami con la terra e viene anche considerato una panacea contro tutti i mali. Già Virgilio nell'Eneide lo cita per le sue virtù magiche ed anche i Celti lo adoravano come pianta sacra. I sacerdoti druidi in occasione del solstizio d'inverno lo distribuivano al popolo che lo considerava un dono del cielo e credeva nel suo effetto medicamentoso. Ancora oggi si usa donare un rametto di vischio come simbolo di buon augurio per il nuovo anno.
Il vin brûlé (Glühwein)
E' una componente essenziale dell'atmosfera dei mercatini di Natale. E' preparato con vino, in genere rosso, riscaldato e al quale vengono aggiunte cannella e spezie aromatiche. Nei mercatini natalizi viene servito, dagli stands gastronomici, in tazze coniate per l'occasione, per le quali si paga una cauzione, corrispondente in genere al valore commerciale della tazza. La decorazione e il colore delle tazze varia ogni anno e alcuni mercatini, di solito i più importanti e più organizzati, fanno incidere anche la data dell'anno in corso e il nome della loro località.
Sembra che derivi dal latino "natalis dies", giorno della nascita. In Italia si dice "Natale" mentre in Spagna è "Navidad". In tedesco invece si dice "Weihnachten", e cioè "notte santa" (Weih = sacro, e Nacht = notte). In inglese si usa Christmas e Xmas. Il primo termine indica la "messa" di Cristo, e si riferisce al significato religioso del Natale, il secondo comincia con la X, e simboleggia il greco "Xhi" che fu utilizzato per secoli per designare Cristo "Khristo".
Il "Natale": cos'è, come nasce
Il Natale, è la festa con la quale i cristiani celebrano l'avvento di Gesù. Non è storicamente accertato che Gesù è nato il 25 dicembre. La data è stata scelta come contrapposizione cristiana ad una festa di origine romana risalente al IV secolo, che si celebrava nel solstizio d'inverno. Era una festa pagana voluta dall'imperatore Aureliano, nel 275 in onore del dio Sole invitto, della luce che cresce, del sole che viene ed era celebrata anche in tutto il vicino Oriente. Festa da celebrarsi, per l'appunto, il 25 dicembre, cioè quattro giorni dopo il solstizio d'inverno che cade il 21 dicembre. Dopo tale data la luce rinasce e prende gradatamente il sopravvento sulle tenebre, le giornate si allungano fino al 21 giugno, il giorno più lungo dell'anno: il solstizio d'estate. I cristiani d'oriente ripresero questa tradizione pagana e iniziarono a ricordare il 6 gennaio come data dell'avvento del Messia, festa di luce e di epiphania. La Chiesa, poi, per contrastare il perpetuarsi di tale festa pagana radicata nella tradizione popolare, decise di celebrare in quella medesima data il dies natalis Christi, la nascita di Gesù: "Luce dei mondo", "Sole" che brillerà in eterno. Tra il 325 e il 354 d.c. a Roma venne definitivamente fissato il 25 dicembre come giorno della celebrazione della nascita di Gesù.
Il Calendario dell'Avvento
La tradizione del Calendario dell'Avvento è molto antica. Le mamme, nei tempi andati, preparavano delle casette con 24 finestrelle, che I bambini aprivano, una per giorno, nei 24 giorni che precedevano il Natale. In genere questa operazione avveniva la mattina, perché all'interno della finestra c'era un versetto della Bibbia, da recitare insieme. Poi un giorno un certo Gerhard Lang, a Monaco di Baviera, ebbe un'idea: continuare la tradizione di sua madre, che di anno in anno per Natale preparava calendari colorati per i suoi figli. E così decise di stampare il primo Calendario dell'Avvento. Era l'anno 1908. Questa idea ebbe un grande successo e fu ripresa da molte ditte che cominciarono a stampare calendari. Negli anni '20 il calendario ebbe un'evoluzione, sostituendo i famosi versetti con piccoli quadratini di cioccolato, uno dietro ogni finestrella. Ed oggi, ad oltre 90 anni di distanza, I Calendari dell'Avvento sono ancora decorati con piccoli cioccolatini, e accompagnano I bambini nei 24 giorni prima del Natale, mettendo alla prova I più golosi e la loro pazienza!
La Corona dell'Avvento
E' un elemento essenziale della preparazione del Natale nei paesi germanici e scandinavi, dove non c'è casa, chiesa o luogo pubblico dove non faccia mostra di sé. E' una corona di benvenuto o buon augurio e deriva da un'antica tradizione pre-cristiana poi cristianizzata: nell'antichità era usanza intrecciare una corona di foglie sempreverdi che rappresentava la speranza di una rinascita e tale simbologia è proseguita nei secoli fino a diffondersi tra i popoli cristiani e a concretizzarsi in una corona di rami di abete ornata da quattro candele, simboleggianti le quattro settimane che precedono il Natale, il periodo dell'Avvento, appunto. Le candele, che la tradizione vuole di colore viola, vengono accesse una ogni domenica di Avvento fino alla sera di Natale, quando le quattro candele accese evocano il risorgere della luce. Ogni candela ha un significato: la candela di Betlemme, quella dei pastori, quella dei profeti e quella degli angeli.
L'abete di Natale
Forse non tutti sanno che la sua usanza risale ancora ai Romani, che il primo gennaio usavano decorare le loro case con rami di conifere in onore del Dio Giano. L'usanza proseguì nel Medioevo lungo la valle del Reno e in Alsazia si diffuse l'abitudine di porre nelle corti delle Chiese il 24 dicembre un albero ai cui rami pendevano delle mele, simbolo del frutto della tentazione di Adamo. Per imitare questi alberi del paradiso esposti nelle chiese, anche i singoli iniziarono dapprima a mettere nelle loro case dei rami d'abete sostituiti poi verso il 15º secolo da piccoli abeti ornati allo stesso modo. Nel corso dei secoli la decorazione dell'albero si evolve e vengono aggiunte prima delle ostie, poi dei fiori in carta multicolore ("rose di natale"). Man mano gli artigiani si specializzano e con del leggero metallo cromato vengono confezionati fiori, angeli e stelle, che vanno ad arrichire le decorazioni dell'albero. Poco a poco piccoli dolci leggeri, realizzati con stampi a ferro-caldo vengono aggiunti alle decorazioni. Ci si comincia a sbizzarrire nelle forme e con la pasta dei dolci, lo zucchero e il marzapane si preparano ogni sorta di decorazioni da appendere all'albero: angioletti, stelline, cavallucci, cuori, lune, fiori, tantissime forme che avevano significati religiosi o profani. Nelle seconda metà del 19º secolo si cominciano a stampare delle immagini da attaccare su dolci di zucchero o di cioccolata. Dopo l'invenzione della glassa di zucchero, i dolciumi cominciano ad essere decorati con glassa e granelli di vario colore. Poco a poco si aggiungono le noci dorate e argentate. Arrivano le figurine in cera, di solito angeli decorati con lamine di metallo dorato argentato. Con queste lamine si cominciano a confezionare anche delle ghirlande e a dorare le pigne degli abeti. L'abilità aumenta e appaiono le prime sfere, gli uccellini, le stelle in vetro soffiato e colorato. E siamo arrivati ai nostri giorni e alla fine della storia.
La leggende delle palle colorate
A Betlemme c'era un artista di strada molto povero che non aveva nemmeno un dono per il Bambino Gesù così andò a visitarlo e fece ciò che sapeva fare meglio, il giocoliere, e lo fece ridere.
Ecco perché ogni anno sull'albero di Natale appendiamo le palle colorate - per ricordarci delle risate di Gesù Bambino.
La leggende della campane di Natale
I pastori si affollarono a Betlemme per recarsi ad incontrare il neonato re. Un piccolo bimbo cieco sedeva sul lato della strada maestra e, sentendo l'annuncio degli angeli, pregò i passanti di condurlo da Gesù Bambino, ma nessuno aveva tempo per lui.
Quando la folla fu passata e le strade tornarono silenziose, il bimbo udì in lontananza il rintocco di una campana da bestiame. Pensò "Forse quella mucca si trova proprio nella stalla dove è nato Gesù bambino!" e seguì la campana fino alla stalla ove la mucca lo portò fino alla mangiatoia dove giaceva il neonato Gesù.
San Nicola
San Nicola nacque verso il 270, forse a Patara, nella Licia (attuale Turchia). Rimasto orfano ancora giovinetto, venne accolto da uno zio che risiedeva nella città di Mira (oggi Dembre). Ben presto Nicola si fece ammirare per la grande bontà e generosità che animavano il suo operato soprattutto verso i più poveri, ai quali distribuì le ricchezze ricevute in eredità dai genitori.
In seguito venne ordinato sacerdote dal vescovo di Mira e, alla morte di questi, ne divenne il successore. Anche in questo campo si distinse ben presto per lo zelo pastorale e l'amorevole cura con la quale seguì il suo "gregge", mentre la risonanza di grandi miracoli da lui compiuti si diffondeva ovunque accrescendo la fama di santo riconosciutagli dai suoi stessi contemporanei.
L'indomito vescovo, alla sua morte avvenuta il 6 dicembre ma di cui non si conosce con esattezza l'anno (si pensa tra il 345 e il 352), venne sepolto nella cattedrale di Mira.
Le reliquie rimasero a Mira fino al 1087 (la città intanto da diversi anni si trovava sotto il dominio turco), allorché un gruppo di marinai baresi le trafugarono e trasportarono a Bari dove giunsero il 9 maggio 1087 e dove tuttora si trovano. Il fatto che in questa città siano conservate le sue reliquie ha fatto sì che il taumaturgo di Mira sia comunemente conosciuto anche come san Nicola di Bari, di cui venne proclamato patrono.
In diversi paesi del nord Europa questo santo ha dato origine a tradizioni che si intrecciano con la festa della natività.
In Olanda, ad esempio, San Nicola che i bambini chiamano familiarmente Sinter Klaus, con l'abito rosso, la barba bianca e la mitra vescovile in testa, era stato adottato dagli abitanti come portatore di doni per i più piccini. Dall'Olanda la tradizione raggiunse le colonie americane dei Nuovo Mondo, e anche lì Sinter Klaus (Santa Claus) continuò a spostarsi di casa in casa lasciando regali a tutti i bambini.
Con il trascorrere del tempo il suo aspetto mutò, il cappello vescovile divenne un cappuccio a punta, l'abito pur rimanendo rosso si trasformò in giacca e pantaloni orlati di pelliccia bianca, mantenne la folta barba bianca ma ingrassò non poco, infine dall'America tornò in Europa trasformato nel Babbo Natale sorridente e instancabile nel distribuire i regali, proprio come Santa Klaus (cioè san Nicola) di cui mantiene lo spirito e la capacità di donare.
Nei paesi dell'area germanica (Alsazia compresa) continua a vivere la tradizione di Sankt Nikolaus, e in diversi paesi il 6 dicembre un vecchietto con la mitra vescovile in testa sfila in corteo per le città distribuendo dolci e doni ai bambini bravi. E' accompagnato da angeli e dai diavoli, i "Krampus", che portano invece fruste ai bambini cattivi.
Le strenne
Gli abitanti dell'antica Roma erano soliti scambiarsi, in occasione di feste e a capodanno, dei regali chiamati strenne.
Tale consuetudine si ricollegava ad una tradizione secondo la quale, il primo giorno dell'anno, al re veniva offerto in dono un ramoscello raccolto nel bosco della dea Strenna (dea sabina della salute?). Questo rito augurale si diffuse tra il popolo e, ben presto, i rametti di alloro, di ulivo e di fico vennero sostituiti da regali vari.
Ecco perchè i regali di natale, secondo questa tradizione giunta fino a noi, si chiamano anche "strenne".
Il biancospino
Germoglia nei giorni di Natale e fiorisce a Pasqua. La credenza popolare ritiene benefico il biancospino di Glastonbury perchè lo fa risalire al bastone che Giuseppe d'Arimatea aveva piantato con le sue mani.
Il vischio
E' la pianta natalizia tradizionalmente riconosciuta come pianta di buon augurio: incarna lo spirito vitale ed è quindi protettivo, poiché non possiede legami con la terra e viene anche considerato una panacea contro tutti i mali. Già Virgilio nell'Eneide lo cita per le sue virtù magiche ed anche i Celti lo adoravano come pianta sacra. I sacerdoti druidi in occasione del solstizio d'inverno lo distribuivano al popolo che lo considerava un dono del cielo e credeva nel suo effetto medicamentoso. Ancora oggi si usa donare un rametto di vischio come simbolo di buon augurio per il nuovo anno.
Il vin brûlé (Glühwein)
E' una componente essenziale dell'atmosfera dei mercatini di Natale. E' preparato con vino, in genere rosso, riscaldato e al quale vengono aggiunte cannella e spezie aromatiche. Nei mercatini natalizi viene servito, dagli stands gastronomici, in tazze coniate per l'occasione, per le quali si paga una cauzione, corrispondente in genere al valore commerciale della tazza. La decorazione e il colore delle tazze varia ogni anno e alcuni mercatini, di solito i più importanti e più organizzati, fanno incidere anche la data dell'anno in corso e il nome della loro località.
Art. 1
Chi ha meno di 18 anni ha tutti i diritti elencati nella convenzione.
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Art. 2
Ogni bambino e ragazzo ha i diritti elencati nella convenzione; non ha importanza il colore della pelle, né il sesso, né la religione, non ha importanza che lingua parla, né se è un disabile, né se è ricco o povero.
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Art. 3
Il Governo e i genitori devono fare quello che è meglio per tutelare il
benessere del bambino.
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Art. 6
Tutti devono riconoscere che hai il diritto di vivere.
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Art. 7
Hai il diritto di avere un nome, una nazionalità e il diritto di conoscere i tuoi genitori e di venire accudito da loro.
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Art. 9
Non dovresti venire separato dai tuoi genitori, a meno che non sia per il tuo bene.
Se i tuoi genitori decidono di vivere separati, dovrai vivere con uno solo di essi, ma hai il diritto di poter contattare facilmente tutti e due.
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Art. 10
Se tu e i tuoi genitori vivete in due nazioni diverse, avete il diritto di ritornare assieme e vivere nello stesso posto.
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Art. 11
Nessuno ha il diritto di rapirti, e se vieni rapito il governo dovrebbe fare di tutto per liberarti.
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Art. 13
Hai il diritto di imparare e di esprimerti per mezzo delle parole, della scrittura, dell'arte e così via, a meno che queste attività non danneggino i diritti degli altri.
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Art. 14
Hai il diritto di pensare quello che vuoi e di appartenere alla religione che preferisci.
I tuoi genitori dovrebbero aiutarti a distinguere fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
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Art. 2
Hai il diritto di incontrare altre persone, fare amicizia con loro, e fondare delle associazioni, a meno che ciò non danneggi i diritti degli altri.
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Art. 16
Hai il diritto di avere una vita privata. Per esempio, puoi tenere un diario che gli altri non hanno il diritto di leggere.
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Art. 17
Hai il diritto di raccogliere informazioni dalle radio, dai giornali, dalle televisioni, dai libri di tutto il mondo. Gli adulti dovrebbero assicurarsi che tu riceva delle informazioni che puoi capire.
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Art. 18
I tuoi genitori dovrebbero collaborare per allevarti e dovrebbero fare quel che è meglio per te.
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Art. 19
Nessuno dovrebbe farti del male in nessun modo.
Gli adulti dovrebbero assicurarsi che tu sia protetto da abusi, violenze o negligenze.
Nemmeno i tuoi genitori hanno il diritto di farti del male.
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Art. 20
Se non hai i genitori, o se vivere con i tuoi genitori è pericoloso per te, hai il diritto di essere protetto e aiutato in modo speciale.
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Art. 21
Se devi essere adottato, gli adulti dovrebbero assicurarsi che vengano scelte le soluzioni più vantaggiose per te.
*************************************************
Art. 22
Se sei un rifugiato (cioè se devi lasciare al tua nazione perché viverci sarebbero pericoloso per te) hai il diritto di essere protetto e aiutato in modo speciale.
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Art. 23
Se sei un disabile, fisico o psichico, hai diritto a cure speciali e a un'istruzione speciale, che ti permettano di crescere come gli altri bambini.
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Art. 24
Hai il diritto di godere di una buona salute. Ciò significa che dovresti ricevere cure mediche e farmaci quando sei malato. Gli adulti dovrebbero fare di tutto per evitare che i bambini si ammalino, in primo luogo nutrendoli e prendendosi cura di essi.
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Art. 27
Hai il diritto ad uno standard di vita sufficientemente buono. Ciò significa che i tuoi genitori hanno l'obbligo di assicurarti cibo, vestiti, un alloggio, etc. Se i tuoi genitori non possono permettersi queste cose, il governo dovrebbe aiutarli.
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Art. 28
Hai il diritto di ricevere un'istruzione. Devi ricevere un'istruzione di base fino a 15 anni e deve essere gratuita. Dovresti poter andare a scuola fino a 18 anni.
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Art. 29
Lo scopo della tua istruzione è di sviluppare al meglio la tua personalità, i tuoi talenti e le tue capacità mentali e fisiche. L'istruzione dovrebbe anche prepararti a vivere in maniera responsabile e pacifica, in una società libera, nel rispetto dei diritti degli altri, e nel rispetto dell'ambiente.
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Art. 30
Se appartieni ad una minoranza hai il diritto di mantenere la tua cultura, professare la tua religione e parlare la tua lingua.
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Art. 31
Hai il diritto di giocare.
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Art. 32
Hai il diritto di essere protetto dal lavorare in posti o in condizioni che possano danneggiare la tua salute o impedire la tua istruzione. Se il tuo lavoro produce un guadagno dovresti essere pagato in modo adeguato.
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Art. 33
Hai il diritto di essere protetto dalle droghe e dalle attività illegali volte a produrre e spacciare droghe.
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Art. 34
Hai il diritto di essere protetto dagli abusi sessuali.Ciò significa che nessuno può fare nulla al tuo corpo contro la tua volontà; per esempio, nessuno può toccarti o scattarti foto o farti dire cose che non vuoi dire.
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Art. 35
A nessuno è permesso rapirti o venderti.
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Art. 37
Anche se fai qualcosa di sbagliato, a nessuno è permesso punirti in una maniera che ti umili o ti ferisca gravemente.
Non dovresti mai essere rinchiuso in prigione, se non come rimedio estremo; e se vieni messo in prigione hai diritto ad attenzioni speciali e a visite regolari della tua famiglia.
*************************************************
Art. 40
Hai il diritto di difenderti se sei stato accusato di aver commesso un crimine.
La polizia e gli avvocati e i giudici in aula dovrebbero trattarti con rispetto e assicurarsi che tu capisca quello che sta succedendo.
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Art. 42
Tutti dovrebbero sapere che esiste questa convenzione.
Hai il diritto di sapere quali sono i tuoi diritti, e anche gli adulti dovrebbero conoscerli.
Chi ha meno di 18 anni ha tutti i diritti elencati nella convenzione.
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Art. 2
Ogni bambino e ragazzo ha i diritti elencati nella convenzione; non ha importanza il colore della pelle, né il sesso, né la religione, non ha importanza che lingua parla, né se è un disabile, né se è ricco o povero.
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Art. 3
Il Governo e i genitori devono fare quello che è meglio per tutelare il
benessere del bambino.
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Art. 6
Tutti devono riconoscere che hai il diritto di vivere.
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Art. 7
Hai il diritto di avere un nome, una nazionalità e il diritto di conoscere i tuoi genitori e di venire accudito da loro.
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Art. 9
Non dovresti venire separato dai tuoi genitori, a meno che non sia per il tuo bene.
Se i tuoi genitori decidono di vivere separati, dovrai vivere con uno solo di essi, ma hai il diritto di poter contattare facilmente tutti e due.
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Art. 10
Se tu e i tuoi genitori vivete in due nazioni diverse, avete il diritto di ritornare assieme e vivere nello stesso posto.
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Art. 11
Nessuno ha il diritto di rapirti, e se vieni rapito il governo dovrebbe fare di tutto per liberarti.
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Art. 13
Hai il diritto di imparare e di esprimerti per mezzo delle parole, della scrittura, dell'arte e così via, a meno che queste attività non danneggino i diritti degli altri.
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Art. 14
Hai il diritto di pensare quello che vuoi e di appartenere alla religione che preferisci.
I tuoi genitori dovrebbero aiutarti a distinguere fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
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Art. 2
Hai il diritto di incontrare altre persone, fare amicizia con loro, e fondare delle associazioni, a meno che ciò non danneggi i diritti degli altri.
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Art. 16
Hai il diritto di avere una vita privata. Per esempio, puoi tenere un diario che gli altri non hanno il diritto di leggere.
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Art. 17
Hai il diritto di raccogliere informazioni dalle radio, dai giornali, dalle televisioni, dai libri di tutto il mondo. Gli adulti dovrebbero assicurarsi che tu riceva delle informazioni che puoi capire.
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Art. 18
I tuoi genitori dovrebbero collaborare per allevarti e dovrebbero fare quel che è meglio per te.
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Art. 19
Nessuno dovrebbe farti del male in nessun modo.
Gli adulti dovrebbero assicurarsi che tu sia protetto da abusi, violenze o negligenze.
Nemmeno i tuoi genitori hanno il diritto di farti del male.
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Art. 20
Se non hai i genitori, o se vivere con i tuoi genitori è pericoloso per te, hai il diritto di essere protetto e aiutato in modo speciale.
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Art. 21
Se devi essere adottato, gli adulti dovrebbero assicurarsi che vengano scelte le soluzioni più vantaggiose per te.
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Art. 22
Se sei un rifugiato (cioè se devi lasciare al tua nazione perché viverci sarebbero pericoloso per te) hai il diritto di essere protetto e aiutato in modo speciale.
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Art. 23
Se sei un disabile, fisico o psichico, hai diritto a cure speciali e a un'istruzione speciale, che ti permettano di crescere come gli altri bambini.
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Art. 24
Hai il diritto di godere di una buona salute. Ciò significa che dovresti ricevere cure mediche e farmaci quando sei malato. Gli adulti dovrebbero fare di tutto per evitare che i bambini si ammalino, in primo luogo nutrendoli e prendendosi cura di essi.
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Art. 27
Hai il diritto ad uno standard di vita sufficientemente buono. Ciò significa che i tuoi genitori hanno l'obbligo di assicurarti cibo, vestiti, un alloggio, etc. Se i tuoi genitori non possono permettersi queste cose, il governo dovrebbe aiutarli.
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Art. 28
Hai il diritto di ricevere un'istruzione. Devi ricevere un'istruzione di base fino a 15 anni e deve essere gratuita. Dovresti poter andare a scuola fino a 18 anni.
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Art. 29
Lo scopo della tua istruzione è di sviluppare al meglio la tua personalità, i tuoi talenti e le tue capacità mentali e fisiche. L'istruzione dovrebbe anche prepararti a vivere in maniera responsabile e pacifica, in una società libera, nel rispetto dei diritti degli altri, e nel rispetto dell'ambiente.
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Art. 30
Se appartieni ad una minoranza hai il diritto di mantenere la tua cultura, professare la tua religione e parlare la tua lingua.
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Art. 31
Hai il diritto di giocare.
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Art. 32
Hai il diritto di essere protetto dal lavorare in posti o in condizioni che possano danneggiare la tua salute o impedire la tua istruzione. Se il tuo lavoro produce un guadagno dovresti essere pagato in modo adeguato.
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Art. 33
Hai il diritto di essere protetto dalle droghe e dalle attività illegali volte a produrre e spacciare droghe.
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Art. 34
Hai il diritto di essere protetto dagli abusi sessuali.Ciò significa che nessuno può fare nulla al tuo corpo contro la tua volontà; per esempio, nessuno può toccarti o scattarti foto o farti dire cose che non vuoi dire.
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Art. 35
A nessuno è permesso rapirti o venderti.
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Art. 37
Anche se fai qualcosa di sbagliato, a nessuno è permesso punirti in una maniera che ti umili o ti ferisca gravemente.
Non dovresti mai essere rinchiuso in prigione, se non come rimedio estremo; e se vieni messo in prigione hai diritto ad attenzioni speciali e a visite regolari della tua famiglia.
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Art. 40
Hai il diritto di difenderti se sei stato accusato di aver commesso un crimine.
La polizia e gli avvocati e i giudici in aula dovrebbero trattarti con rispetto e assicurarsi che tu capisca quello che sta succedendo.
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Art. 42
Tutti dovrebbero sapere che esiste questa convenzione.
Hai il diritto di sapere quali sono i tuoi diritti, e anche gli adulti dovrebbero conoscerli.
La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e in Italia ratificata con Legge del 27 maggio 1991 n. 176.
Prima del 1989 la Comunità internazionale si era occupata
del problema della tutela dei diritti dei fanciulli già due volte, nel 1924 e nel 1959, con l’enunciazione del diritto ad un sano sviluppo psicofisico, del diritto a non subire discriminazioni, ad avere un nome, una nazionalità, assistenza e protezione dalla Stato di appartenenza, e riconoscendo ai minori una propria soggettività di fronte al diritto, aprendo in tal modo una breccia nella visione adulto centrica da sempre accolta dagli Stati.
Tuttavia è solo con la convenzione del 1989 che si ottiene una protezione piena e completa dell’infanzia. La convenzione di New York, infatti, non si limita ad una dichiarazione di principi generali, ma se ratificata, rappresenta un vero e proprio vincolo giuridico per gli Stati contraenti, i quali dovranno uniformare le norme di diritto interno a quelle della Convenzione medesima per far sì che i diritti e le libertà in essa proclamate vengano attuati.
A tutt’oggi, la Convenzione dei Diritti del Fanciullo del 1989 è stata ratificata da 192 Paesi del mondo, tra i quali vi è l’Italia.
Essa rappresenta una tappa fondamentale nel cammino volto al riconoscimento della soggettività del bambino, che finalmente diviene titolare di situazioni giuridiche soggettive a fronte delle quali, i genitori, lo Stato e la Comunità Internazionale si impegnino, con diversi livelli di responsabilità, a predisporre un sistema che ne realizzi il “superiore interesse”.
Prima del 1989 la Comunità internazionale si era occupata
del problema della tutela dei diritti dei fanciulli già due volte, nel 1924 e nel 1959, con l’enunciazione del diritto ad un sano sviluppo psicofisico, del diritto a non subire discriminazioni, ad avere un nome, una nazionalità, assistenza e protezione dalla Stato di appartenenza, e riconoscendo ai minori una propria soggettività di fronte al diritto, aprendo in tal modo una breccia nella visione adulto centrica da sempre accolta dagli Stati.
Tuttavia è solo con la convenzione del 1989 che si ottiene una protezione piena e completa dell’infanzia. La convenzione di New York, infatti, non si limita ad una dichiarazione di principi generali, ma se ratificata, rappresenta un vero e proprio vincolo giuridico per gli Stati contraenti, i quali dovranno uniformare le norme di diritto interno a quelle della Convenzione medesima per far sì che i diritti e le libertà in essa proclamate vengano attuati.
A tutt’oggi, la Convenzione dei Diritti del Fanciullo del 1989 è stata ratificata da 192 Paesi del mondo, tra i quali vi è l’Italia.
Essa rappresenta una tappa fondamentale nel cammino volto al riconoscimento della soggettività del bambino, che finalmente diviene titolare di situazioni giuridiche soggettive a fronte delle quali, i genitori, lo Stato e la Comunità Internazionale si impegnino, con diversi livelli di responsabilità, a predisporre un sistema che ne realizzi il “superiore interesse”.
Il Natale è la principale festa dell'anno, possiamo meglio definirlo un periodo di una serie di festeggiamenti che partendo dal solstizio d'inverno arrivano fino all'Epifania. Feste che nella tradizione popolare erano legate alla chiusura di un ciclo stagionale e alla apertura del nuovo ciclo. La festa appartiene all'anno liturgico cristiano, in cui si ricorda la nascita di Gesù Cristo, che nella Cristianità occidentale cade il 25 dicembre, mentre nella Cristianità orientale viene celebrato il 6 gennaio.
La nascita di Gesù viene fatta risalire dal 10 al 4 a.C. con molte incertezze. Il Natale non viene introdotto subito come festa Cristiana, ma bisogna aspettare l'arrivo del Quarto secolo nell'Impero Romano, epiù tardi anche nelle zone dell'Oriente.
La tradizione cristiana si intreccia con la tradizione
popolare e soprattutto contadina, perchè ricordiamo che
prima della festa cristiana, in questo periodo c'era una
serie di feste e riti legati al mondo rurale.
Prima del Natale Cristiano c'era la festa del Fuoco e del Sole, la festa della divinità della luce Mitra, perchè in questo periodo c'è il solstizio d'inverno, cioè dil giorno più corto dell'anno, e da questa data le giornate iniziano ad allungarsi.
Nell'antica Roma dal 17 al 24 si festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno, dio dell'agricoltura ed era un periodo dove si viveva in pace, si scambiavano i doni, venivano abbandonate le divisioni sociali e si facevano sontuosi banchetti.
Tra i Celti invece si festeggiava il solstizio d'inverno
Nel 274 d.C. l'imperatore Aureliano decise che il 25 dicembre si festeggiasse il Sole. E' da queste origini che risale la tradizione del ceppo natalizio, ceppo che nelle case doveva bruciare per 12 giorni consecutivi e doveva essere preferibilmente di quercia, un legno propiziatorio, e da come bruciava si presagiva come era l'anno futuro. Il ceppo natalizio nei nostri giorni si è trasformato nelle luci e nelle candele che addobbano case, alberi, e strade.
E siamo ai giorni nostri, il nostro Natale deriva da tradizioni borghesi del secolo scorso, con simboli e usanze sia di origine pagana che cristiana. Il natale è anticipato dalla vigilia, che dovrebbe essere una giornata di digiuno e di veglia a cui ci si prepara ai festeggiamenti delle feste. Negli anni recenti il Natale ha dato una spinta ai consumi che spesso divanta un festeggiamento frenetico, lasciando il clima di celebrazione a una gara commerciale, facendo intervenire anche la Chiesa a promuovere con più incisione il significato religioso.Il pranzo di natale è abbondante e viene consumato in casa, con i parenti, di solito a base carnea con animali domestici, variabili a seconda delle vari paesi. Abbiamo anche una richezza di dolci preziosi e prelibati, spesso che ricordano simboli solari o delle tradizioni rurali; i dolci spesso richiedono molto tempo e la loro lavorazione e preparazione viene fatta diversi giorni prima.
Nelle case viene allestito un presepe (o presepio), specie nei paesi meridionali, o un'albero di tradizione più nordica (vedi simboli del Natale).
Questa serie di festeggiamenti continua con l'ultimo dell'anno, dove, passata la breve euforia del brindisi, degli auguri, degli abracci, facciamo una pausa di riflessione e siamo a Capodanno, primo giorno dell'anno.
E' una festa periodica di rinnovamento, celebrata in tutte le civiltà e caratterizzata da rituali che simbolicamente chiudono un ciclo annuale e inaugurano quello successivo. E infine arriva l'Epifania, una delle principali feste cristiane la cui celebrazione cade il 6 gennaio. Nata nella regione orientale per commemorare il battesimo di Gesù, fu presto introdotta in occidente dove assunse contenuti religiosi in parte diversi, come la celebrazione delle nozze di Cana e il ricordo dell'offerta dei doni dei magi nella grotta di Betlemme; quest'ultimo aspetto ha poi finito per prevalere e, sovrapponendosi a precedenti tradizioni folcloriche, ha determinato il nascere della figura della befana distributrice di doni..
I magi erano un gruppo di personaggi che, guidati da una stella, arrivano dall'oriente per rendere omaggio a Gesù appena nato a Betlemme, donandogli oro, incenso e mirra. Successivamente vengono indicati come "re" e che il loro numero viene fissato a tre, con i nomi Melchiorre, Gaspare e Baldassarre. Questa festa da un supplemento di regali ai bambini, e fa terminare questo ciclo di festeggiamenti: il giorno dopo si iniziano a spegnere le luci, a disfare gli addobbi, e si prepara ad affrontare il Carnevale e il San Valentino.
La nascita di Gesù viene fatta risalire dal 10 al 4 a.C. con molte incertezze. Il Natale non viene introdotto subito come festa Cristiana, ma bisogna aspettare l'arrivo del Quarto secolo nell'Impero Romano, epiù tardi anche nelle zone dell'Oriente.
La tradizione cristiana si intreccia con la tradizione
popolare e soprattutto contadina, perchè ricordiamo che
prima della festa cristiana, in questo periodo c'era una
serie di feste e riti legati al mondo rurale.
Prima del Natale Cristiano c'era la festa del Fuoco e del Sole, la festa della divinità della luce Mitra, perchè in questo periodo c'è il solstizio d'inverno, cioè dil giorno più corto dell'anno, e da questa data le giornate iniziano ad allungarsi.
Nell'antica Roma dal 17 al 24 si festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno, dio dell'agricoltura ed era un periodo dove si viveva in pace, si scambiavano i doni, venivano abbandonate le divisioni sociali e si facevano sontuosi banchetti.
Tra i Celti invece si festeggiava il solstizio d'inverno
Nel 274 d.C. l'imperatore Aureliano decise che il 25 dicembre si festeggiasse il Sole. E' da queste origini che risale la tradizione del ceppo natalizio, ceppo che nelle case doveva bruciare per 12 giorni consecutivi e doveva essere preferibilmente di quercia, un legno propiziatorio, e da come bruciava si presagiva come era l'anno futuro. Il ceppo natalizio nei nostri giorni si è trasformato nelle luci e nelle candele che addobbano case, alberi, e strade.
E siamo ai giorni nostri, il nostro Natale deriva da tradizioni borghesi del secolo scorso, con simboli e usanze sia di origine pagana che cristiana. Il natale è anticipato dalla vigilia, che dovrebbe essere una giornata di digiuno e di veglia a cui ci si prepara ai festeggiamenti delle feste. Negli anni recenti il Natale ha dato una spinta ai consumi che spesso divanta un festeggiamento frenetico, lasciando il clima di celebrazione a una gara commerciale, facendo intervenire anche la Chiesa a promuovere con più incisione il significato religioso.Il pranzo di natale è abbondante e viene consumato in casa, con i parenti, di solito a base carnea con animali domestici, variabili a seconda delle vari paesi. Abbiamo anche una richezza di dolci preziosi e prelibati, spesso che ricordano simboli solari o delle tradizioni rurali; i dolci spesso richiedono molto tempo e la loro lavorazione e preparazione viene fatta diversi giorni prima.
Nelle case viene allestito un presepe (o presepio), specie nei paesi meridionali, o un'albero di tradizione più nordica (vedi simboli del Natale).
Questa serie di festeggiamenti continua con l'ultimo dell'anno, dove, passata la breve euforia del brindisi, degli auguri, degli abracci, facciamo una pausa di riflessione e siamo a Capodanno, primo giorno dell'anno.
E' una festa periodica di rinnovamento, celebrata in tutte le civiltà e caratterizzata da rituali che simbolicamente chiudono un ciclo annuale e inaugurano quello successivo. E infine arriva l'Epifania, una delle principali feste cristiane la cui celebrazione cade il 6 gennaio. Nata nella regione orientale per commemorare il battesimo di Gesù, fu presto introdotta in occidente dove assunse contenuti religiosi in parte diversi, come la celebrazione delle nozze di Cana e il ricordo dell'offerta dei doni dei magi nella grotta di Betlemme; quest'ultimo aspetto ha poi finito per prevalere e, sovrapponendosi a precedenti tradizioni folcloriche, ha determinato il nascere della figura della befana distributrice di doni..
I magi erano un gruppo di personaggi che, guidati da una stella, arrivano dall'oriente per rendere omaggio a Gesù appena nato a Betlemme, donandogli oro, incenso e mirra. Successivamente vengono indicati come "re" e che il loro numero viene fissato a tre, con i nomi Melchiorre, Gaspare e Baldassarre. Questa festa da un supplemento di regali ai bambini, e fa terminare questo ciclo di festeggiamenti: il giorno dopo si iniziano a spegnere le luci, a disfare gli addobbi, e si prepara ad affrontare il Carnevale e il San Valentino.
In verità,che se teniamo conto che la velocità della luce è c=300.000km/s, Babbo Natale viaggia ad appena 1/300 di c, dunque è ancora lontano dallo sperimentare fenomeni relativistici significativi, per i quali bisogna viaggiare ad almeno c/10.
In ogni caso, pur rimanendo in ambito della meccanica classica, di quella relativistica diremo in seguito, possiamo confutare l'ipotesi degli esimi colleghi, sui i timori per la sorte di Babbo Natale che a noi sembrano eccessivi. Ci sembra poi che i colleghi abbiano commesso un non trascurabile errore nel calcolo dell'energia necessaria per il movimento
delle renne senza slitta (la cui massa a questo punto diventa quasi trascurabile) che dovrebbe essere dell'ordine di 311 milioni di terajoules.
Siamo certi, al contrario dei colleghi londinesi, che in tempo di ecumenismo, le visite sono state estese anche a molti dei bambini prima ne erano esclusi, cosa che ha certamente procurato un inopinato aumento della mole di lavoro. In ogni caso e in termini cautelativi, noi ipotizziamo che i bambini visitati siano almeno il doppio, di quelli quantificati dai colleghi londinesi, e dunque il tragitto medio tra una fermata e l'altra è ridotto a mezzo millisecondo. Quindi tenendo conto dell'accelerazione e della decelerazione il tempo effettivo durante il quale Babbo Natale viaggia a 1040 km/s è troppo breve per influire sulla salute delle renne e del medesimo. Formuliamo, al contrario, molte più preoccupazioni per le continue "sollecitazioni" che derivano dalle accelerazioni/decelerazioni, che per se stesse abbiamo detto non influire sulla salute "generale" delle renne e di Babbo Natale, ma che possono influire negativamente sulla struttura biologica degli stessi, con il verificarsi del noto fenomeno che avviene nella zona pre-relativistica: il brain-hole. (Ossia il cervello schizza fuori dal sedere). Il problema dei bang sonici provocati dalle onde d'urto in atmosfera, poi, sono stati risolti ecologicamente dal fornitore di slitte di Babbo Natale (è notorio che nei paesi nordici ci tengono molto alla qualità dell'ambiente) con l'applicazione di un "assorbitore" di onde d'urto, il quale tramite un sistema di pompe elettromagnetiche collegate alle lame della slitta, converte l'energia sonora in energia di spinta per migliorare le prestazioni in accelerazione. Abbiamo calcolato, però, che il sistema introduce un ulteriore incremento di massa pari ad almeno 1/5 del totale, cosa che porta ad un ulteriore incremento di richiesta energetica, il che spiegherebbe, con una formulazione ipotetica prossima alla certezza, il fenomeno ormai diffuso della sparizione del carbone tra i regali lasciati da Babbo Natale, giacché supponiamo che il tutto disponibile sia stato usato per produrre energia.
Ergo: Babbo Natale c'è ancora, ma ha la vita molto dura!!!!!
La Meccanica relativistica
La dimostrazione dell'inesistenza di Babbo Natale, tentata dai colleghi che ne hanno riferito sulla rivista scientifica "SPY" di Londra nel 1990, è tutta fondata sui precetti della meccanica classica, che abbiamo già provveduto a confutare, e le loro conclusioni non tengono conto, in ogni caso, dei seguenti effetti della meccanica relativistica:
relatività speciale: l'elevata velocità espressa dal mezzo slitta+renne+BabboNatale comporta una dilatazione del tempo a disposizione.
relatività generale: la massa inerziale (notoriamente elevata) di Babbo Natale più slitta con regali (le cui considerazioni quantitative sono valide in assoluto) comporta una deformazione dello spazio-tempo in un intorno di Babbo Natale, che invalida (si vedano i calcoli di Minkowsky) le considerazioni energetiche effettuate dalla rivista "SPY".
i ritardi postali: questi comportano sicuramente una diminuzione delle richieste pervenute, con conseguente diminuzione del payload della slitta.
L'ipotesi che le renne volanti siano completamente costituite da antimateria, cosa non contemplata dall'analisi dei ricercatori di "SPY", risolverebbe, poi, i seguenti punti fondamentali:
Spiegherebbe una volta per tutte l'eccesso di materia che ha comportato l'esistenza dell'Universo attuale e che le più recenti teorie sul Big-Bang non riescono a spiegare sufficientemente.
Darebbe conto della notevole quantità di energia necessaria al tragitto in un tempo limitato in tutto il mondo (nell'assunto che almeno una renna per ogni Natale si annichilisca).
Se assumiamo che Babbo Natale si muova costantemente all'interno di una "lente gravitazionale" spieghiamo anche come mai non lo si vede mai.
Il vestito di Babbo Natale è rosso a causa del Red Shift. Dimostrazione che egli effettivamente si muove a velocità elevate.
Perveniamo quindi alla conclusione che Babbo Natale ESISTE!!!
Nella nostra società vanno delineandosi nuove povertà dell'infanzia, che si sostanziano di deprivazione ludica, sociale, senso - percettiva e motoria, d'inibizione di fantasia e immaginazione, di mortificazione del bisogno d'avventura, esplorazione e scoperta. In molti casi vi è l’immagine di un bambino confinato all’interno di limitanti pareti domestiche, avendo spesso come unici interlocutori la tv, ma soprattutto, i videogiochi, relegato in compagnia dei suoi costosi giocattoli. Si può notare che il comportamento della nostra società nei confronti dell’infanzia è ambiguo: da un lato il diffondersi di un atteggiamento sempre più protettivo degli adulti nei confronti dei bambini, dall’altro la scoperta da parte degli operatori economici dell’infanzia come nuovo fattore di sviluppo dei consumi (infanzia = consumo).
Ma è soprattutto nei confronti del gioco che la nostra epoca palesa una forte contraddizione: da un lato lo riconosce quale attività elettiva dell’infanzia, essenziale al suo armonico sviluppo; dall’altro lo nega nei fatti. Il gioco sociale e di movimento sono impediti dall’avanzata del cemento, dall’invadente traffico automobilistico, dai divieti e dalle proibizioni del mondo adulto e in generale da una complessa disattenzione nei confronti degli autentici bisogni e delle reali esigenze dell’infanzia. Il gioco tende a smarrire i suoi attributi di autenticità, autonomia, spontaneità, iniziativa, creatività, presentandosi già a livello di prima infanzia con spiccati caratteri consumistici; ai bambini vengono offerti prodotti finiti, cioè, giochi pronti per giocare, giocattoli e non giochi.
Si delinea la necessità che la formazione del bambino si spenda su un ampio ventaglio di esperienze e trovi sostegno e promozione in quella “cosa naturale e universale chiamata gioco” (Winnicot, Gioco e realtà). Il gioco, pertanto, è funzione essenziale della vita e fornisce opportune chiavi di lettura dello sviluppo infantile che affonda le sue radici nell’esperienza, nell’incontro con ciò che il bambino tocca, vede, osserva, conosce. L’attività ludica è per lui conquista di libertà e fonte di conoscenza, motivo di crescita intellettuale, morale e sociale; tutto ciò che apprende lo apprende nel gioco o attraverso il gioco.
Ecco che allora possiamo definire essenzialmente il gioco come un’attività che abbia prima di tutto il carattere della spontaneità, della volontarietà, della motivazione, della finzione, del piacere. Attraverso il gioco il bambino si estrania dalla realtà oggettiva per entrare in un’altra realtà puramente soggettiva dettata dalle situazioni e dal contesto del gioco. In questo modo, tal estraneamento diventa una nuova realtà nella quale il bambino si misura e prova se stesso. Il gioco rappresenta l’occasione nella quale i bambini e le bambine sviluppano la propria autonomia provando a rispettare o modificare le regole che essi stessi hanno stabilito, in rapporto alle situazioni che, di volta in volta, si presentano. Da questo punto di vista, il gioco si propone da un lato come un estraneazione della vita ordinaria e, dall’altro, come un formidabile campo di prova nel qual è possibile sbagliare e ricominciare da capo senza essere rimproverati e puniti.
Il gioco e il gioco simbolico
Attraverso il gioco il bambino si estranea dalla realtà oggettiva, per entrare in un’altra realtà che è puramente soggettiva ed è dettata dalle situazioni e dal contesto di gioco. In questo modo, tale estraneamento, diventa una nuova realtà nella quale il bambino si misura e prova se stesso.
Il gioco rappresenta l’occasione nella quale le bambine ed i bambini sviluppano la propria autonomia provando a rispettare le regole che essi stessi hanno stabilito, ma anche modificandole in rapporto alle situazioni che si presentano. Da questo punto di vista, il gioco si propone come un CAMPO DI PROVA nel quale è possibile sbagliare e ricominciare da capo. L’attività ludica prevalente della prima infanzia è quella del gioco simbolico, quella in cui il bambino si dedica appena può e con grande impegno.
Il gioco simbolico consiste in quella condotta ludica che compare attorno ai 12/15 mesi di vita e attraversa con il suo sviluppo tutta la prima infanzia, raggiungendo il suo grado massimo d’articolazione verso i 5/6 anni d’età. Si chiama simbolico perché si basa su un processo di significazione indiretta in funzione del quale qualcosa viene utilizzato per rappresentare qualcos’altro, che non viene dunque espresso direttamente, ma appunto per via indiretta attraverso un suo sostituto simbolico.
Ma è soprattutto nei confronti del gioco che la nostra epoca palesa una forte contraddizione: da un lato lo riconosce quale attività elettiva dell’infanzia, essenziale al suo armonico sviluppo; dall’altro lo nega nei fatti. Il gioco sociale e di movimento sono impediti dall’avanzata del cemento, dall’invadente traffico automobilistico, dai divieti e dalle proibizioni del mondo adulto e in generale da una complessa disattenzione nei confronti degli autentici bisogni e delle reali esigenze dell’infanzia. Il gioco tende a smarrire i suoi attributi di autenticità, autonomia, spontaneità, iniziativa, creatività, presentandosi già a livello di prima infanzia con spiccati caratteri consumistici; ai bambini vengono offerti prodotti finiti, cioè, giochi pronti per giocare, giocattoli e non giochi.
Si delinea la necessità che la formazione del bambino si spenda su un ampio ventaglio di esperienze e trovi sostegno e promozione in quella “cosa naturale e universale chiamata gioco” (Winnicot, Gioco e realtà). Il gioco, pertanto, è funzione essenziale della vita e fornisce opportune chiavi di lettura dello sviluppo infantile che affonda le sue radici nell’esperienza, nell’incontro con ciò che il bambino tocca, vede, osserva, conosce. L’attività ludica è per lui conquista di libertà e fonte di conoscenza, motivo di crescita intellettuale, morale e sociale; tutto ciò che apprende lo apprende nel gioco o attraverso il gioco.
Ecco che allora possiamo definire essenzialmente il gioco come un’attività che abbia prima di tutto il carattere della spontaneità, della volontarietà, della motivazione, della finzione, del piacere. Attraverso il gioco il bambino si estrania dalla realtà oggettiva per entrare in un’altra realtà puramente soggettiva dettata dalle situazioni e dal contesto del gioco. In questo modo, tal estraneamento diventa una nuova realtà nella quale il bambino si misura e prova se stesso. Il gioco rappresenta l’occasione nella quale i bambini e le bambine sviluppano la propria autonomia provando a rispettare o modificare le regole che essi stessi hanno stabilito, in rapporto alle situazioni che, di volta in volta, si presentano. Da questo punto di vista, il gioco si propone da un lato come un estraneazione della vita ordinaria e, dall’altro, come un formidabile campo di prova nel qual è possibile sbagliare e ricominciare da capo senza essere rimproverati e puniti.
Il gioco e il gioco simbolico
Attraverso il gioco il bambino si estranea dalla realtà oggettiva, per entrare in un’altra realtà che è puramente soggettiva ed è dettata dalle situazioni e dal contesto di gioco. In questo modo, tale estraneamento, diventa una nuova realtà nella quale il bambino si misura e prova se stesso.
Il gioco rappresenta l’occasione nella quale le bambine ed i bambini sviluppano la propria autonomia provando a rispettare le regole che essi stessi hanno stabilito, ma anche modificandole in rapporto alle situazioni che si presentano. Da questo punto di vista, il gioco si propone come un CAMPO DI PROVA nel quale è possibile sbagliare e ricominciare da capo. L’attività ludica prevalente della prima infanzia è quella del gioco simbolico, quella in cui il bambino si dedica appena può e con grande impegno.
Il gioco simbolico consiste in quella condotta ludica che compare attorno ai 12/15 mesi di vita e attraversa con il suo sviluppo tutta la prima infanzia, raggiungendo il suo grado massimo d’articolazione verso i 5/6 anni d’età. Si chiama simbolico perché si basa su un processo di significazione indiretta in funzione del quale qualcosa viene utilizzato per rappresentare qualcos’altro, che non viene dunque espresso direttamente, ma appunto per via indiretta attraverso un suo sostituto simbolico.
IL BALLO DELLA MELA
materiale: musica, mele o palline
SPIEGAZIONE
Si formano delle coppie,le più strane possibili (un uomo molto alto con una donna bassa,una senza capelli l'altra con i capelli lunghissimi).
A ogni coppia viene assegnata una mela: quando la musica parte, i due devono ballare mantenendo il tempoe reggendo il frutto fronte contro fronte senza lasciarlo cadere.vince quella che resiste più tempo.Si consiglia mi mettere una musica vivace e ritmata.
VARIAZIONE
Invece di reggere una mela con le fronti, si può tenere uno spaeghetto con la bocca :quando la musica finisce i partner devono mangiarne un pezzo.
I FACHIRI TRASPORTATI
materiale:una coperta per squadra
SPIEGAZIONE
Ogni squadra sceglie due trasportatori e gli altri si spargono seduti per terra a gambe incrociate nella classica posizione dei fachiri.
Si stabilisce un punto di partenza a una certa distanza e al segnale d'inizio i due raggiungono un compagno. lo sollevano mettendolo sulla coperta e lo portano alla partenza.Chi entro un tempo stabilito recupera più compagni vince.
IL BALLO DELLA STATUA
materiale:musica, libri di ugual peso e dimensioni(1 per oppia)
SPIGAZIONE
Formate le coppie,l'animatore distribuisce un libro ad ogni donna,la quale deve appoggiarlo sulla propria testa e quindi mettere le mani sulle mani del compagno.Si fà partire la musica: le coppie ballano cercando di non fare cadere il libro.Per rendere più difficile il gioco, si può interompere la musica senza preavviso e contemporaneamente le coppia devono cessare di ballare.Chi fà cadere il libro o non segue il ritmo della musica viene eliminato.Vince l'ultima coppia che rimane in gara.
Formate le coppie,l'animatore distribuisce un libro ad ogni donna,la quale deve appoggiarlo sulla propria testa e quindi mettere le mani sulle mani del compagno.Si fà partire la musica: le coppie ballano cercando di non fare cadere il libro.Per rendere più difficile il gioco, si può interompere la musica senza preavviso e contemporaneamente le coppia devono cessare di ballare.Chi fà cadere il libro o non segue il ritmo della musica viene eliminato.Vince l'ultima coppia che rimane in gara.
Acqua, fuoco e fuocherello
In questo gioco, si nasconde un oggetto a scelta, poi si coprono gli occhi con una benda ad un bambino, mentre un altro bambino nasconde l\'oggetto stando attento a non fare rumore.
Si toglie la benda al bambino ed a questo punto il gruppo degli altri bambini lo aiuta nel ritrovare l\'oggetto che è stato nascosto, pronunciando le parole \"acqua...acqua..\" se il bambino è lontano dall\'oggetto, \"fuocherello...fuocherello\", se il bambino si sta avvicinando al nascondiglio e \"fuoco...fuoco\" se è molto vicino. Il bambino allora si metterà a cercare solto in quella zona all\'aperto e quando troverà l\'oggetto tutti insieme grideranno BUUMMMMMMM!
Altre informazioni sul Acqua, fuoco e fuocherello:
1.Età di gioco consigliata per i bambini: 2 anni
2.Numero di giocatori necessari: 3 o più giocatori
In questo gioco, si nasconde un oggetto a scelta, poi si coprono gli occhi con una benda ad un bambino, mentre un altro bambino nasconde l\'oggetto stando attento a non fare rumore.
Si toglie la benda al bambino ed a questo punto il gruppo degli altri bambini lo aiuta nel ritrovare l\'oggetto che è stato nascosto, pronunciando le parole \"acqua...acqua..\" se il bambino è lontano dall\'oggetto, \"fuocherello...fuocherello\", se il bambino si sta avvicinando al nascondiglio e \"fuoco...fuoco\" se è molto vicino. Il bambino allora si metterà a cercare solto in quella zona all\'aperto e quando troverà l\'oggetto tutti insieme grideranno BUUMMMMMMM!
Altre informazioni sul Acqua, fuoco e fuocherello:
1.Età di gioco consigliata per i bambini: 2 anni
2.Numero di giocatori necessari: 3 o più giocatori
Buldozzer
I bambini giocano tutti insieme, è come se ci fosse un'unica squadra. Ci sono, però, due persone (e generalmente queste sono rappresentate da due adulti o due bambini un pò più forti) che sono i Buldozzer.
I bambini partono tutti da una parte del campo e sono tutti in riga. I Buldozzer sono difronte a loro e urlano:"Buldozzer!".
A questo punto tutti i bambini iniziano a correre verso la parte opposta del campo da gioco e appena si muovono, possono già essere presi dai Buldozzer che, per farli prigionieri, devo alzarli (e quindi staccarli da terra).
Nel momento in cui i bambini vengono tirati su da terra dai Buldozzer, diventano a loro volta Buldozzer e quindi dovranno fare altri prigionieri.
I bambini possono correre solo in avanti e cioè: verso la parte opposta da cui sono partiti, mentre i Buldozzer possono tornare anche indietro a prendere gli altri bambini.
Fare tutti Buldozzer tranne uno.
Altre informazioni sul Buldozzer:
1.Età di gioco consigliata per i bambini: 5 anni
2.Numero di giocatori necessari: Molti giocatori
3.Tempo di gioco: Variabile
3.Tempo di gioco: Variabile
Acqua, terra e cielo
In questo gioco all'aperto, i bambini si mettono in cerchio intorno a chi tiene il gioco, ma almeno a 5 - 6 passi da lui.
Questo giocatore lancia la palla, a turno, a ciascuno bambino e nello stesso tempo dirà "Acqua!", oppure "Cielo!" o "Terra!".
Il bambino che ha ricevuto la palla deve rilanciargliela gridando il nome di un animale o di un oggetto che sta nell\'ambiente chiamato.
I bambini giocano tutti insieme, è come se ci fosse un'unica squadra. Ci sono, però, due persone (e generalmente queste sono rappresentate da due adulti o due bambini un pò più forti) che sono i Buldozzer.
I bambini partono tutti da una parte del campo e sono tutti in riga. I Buldozzer sono difronte a loro e urlano:"Buldozzer!".
A questo punto tutti i bambini iniziano a correre verso la parte opposta del campo da gioco e appena si muovono, possono già essere presi dai Buldozzer che, per farli prigionieri, devo alzarli (e quindi staccarli da terra).
Nel momento in cui i bambini vengono tirati su da terra dai Buldozzer, diventano a loro volta Buldozzer e quindi dovranno fare altri prigionieri.
I bambini possono correre solo in avanti e cioè: verso la parte opposta da cui sono partiti, mentre i Buldozzer possono tornare anche indietro a prendere gli altri bambini.
Fare tutti Buldozzer tranne uno.
Altre informazioni sul Buldozzer:
1.Età di gioco consigliata per i bambini: 5 anni
2.Numero di giocatori necessari: Molti giocatori
3.Tempo di gioco: Variabile
3.Tempo di gioco: Variabile
Acqua, terra e cielo
In questo gioco all'aperto, i bambini si mettono in cerchio intorno a chi tiene il gioco, ma almeno a 5 - 6 passi da lui.
Questo giocatore lancia la palla, a turno, a ciascuno bambino e nello stesso tempo dirà "Acqua!", oppure "Cielo!" o "Terra!".
Il bambino che ha ricevuto la palla deve rilanciargliela gridando il nome di un animale o di un oggetto che sta nell\'ambiente chiamato.
Purtroppo gli abbandoni sono sempre tanti, troppi. In Italia sono circa 3mila all’anno i neonati abbandonati e ritrovati (soprattutto vivi, ma anche morti): il 73% è figlio di italiane, il 27% di immigrate, prevalentemente tra i 20 e 40 anni; le minorenni risultano solo il 6% (fonte: Lucia Borgia – vicepresidente della Commissione pari opportunità tra uomini e donne del Ministero pari opportunità).
Quello che molte madri ignorano è la possibilità, per legge, partorire in ospedale e lasciare lì il bambino senza riconoscerlo e rimanendo per sempre nell’anonimato (non c’è proprio alcun obbligo di fornire le proprie generalità o altre informazioni sulla propria identità – vedi dpr 396 del 2000) . Ma tante donne non lo sanno e mettono in pericolo la loro vita e quella del piccolo.
Ricorda molto la “ruota dei trovatelli” ma è un modernissimo dispositivo donato dalla associazione “Venti Moderati”: tramite uno sportello esterno sarà possibile introdurre il neonato nella “culla”, che verrà mantenuto a temperatura costante e garantirà sempre il totale anonimato del “depositario” grazie all’assenza di rilevatori e telecamere. Un impianto infine di segnalazione acustica e video che rileverà la presenza del neonato e gli operatori potranno immediatamente attivarsi.
Un dato: su seimila neonati del 2006, alla clinica milanese Mangiagalli, 14 non sono stati riconosciuti (il totale, contando anche il resto della cità sale però a 51). Milano quindi non è in vetta alle città per abbandono ma il problema rimane comunque molto rilevante.
Quello che molte madri ignorano è la possibilità, per legge, partorire in ospedale e lasciare lì il bambino senza riconoscerlo e rimanendo per sempre nell’anonimato (non c’è proprio alcun obbligo di fornire le proprie generalità o altre informazioni sulla propria identità – vedi dpr 396 del 2000) . Ma tante donne non lo sanno e mettono in pericolo la loro vita e quella del piccolo.
Ricorda molto la “ruota dei trovatelli” ma è un modernissimo dispositivo donato dalla associazione “Venti Moderati”: tramite uno sportello esterno sarà possibile introdurre il neonato nella “culla”, che verrà mantenuto a temperatura costante e garantirà sempre il totale anonimato del “depositario” grazie all’assenza di rilevatori e telecamere. Un impianto infine di segnalazione acustica e video che rileverà la presenza del neonato e gli operatori potranno immediatamente attivarsi.
Un dato: su seimila neonati del 2006, alla clinica milanese Mangiagalli, 14 non sono stati riconosciuti (il totale, contando anche il resto della cità sale però a 51). Milano quindi non è in vetta alle città per abbandono ma il problema rimane comunque molto rilevante.
La Musicoterapia, intesa come metodologia di intervento per un lavoro pedagogico o psicologico, permette di comunicare, con l'aiuto del terapeuta, attraverso un codice alternativo rispetto a quello verbale partendo dal principio dell'ISO (identità sonora individuale) che utilizza il suono, la musica, il movimento per aprire canali di comunicazione ed una finestra nel mondo interno dell'individuo. Dal punto di vista terapeutico essa diviene attiva stimolazione multisensoriale, relazionale, emozionale e cognitiva, impiegata in diverse problematiche come prevenzione, riabilitazione e sostegno al fine di ottenere una maggiore integrazione sul piano intrapersonale ed interpersonale, un migliore equilibrio e armonia psico-fisica.
In tutte le culture dell'antichità musica e medicina erano praticamente una cosa sola. Il sacerdote medico (lo sciamano) sapeva che il mondo è costituito secondo principi musicali, che la vita del cosmo, ma anche quella dell'uomo, è dominata dal ritmo e dall'armonia. Sapeva che la musica ha un potere incantatorio sulla parte irrazionale, che procura benessere e che nei casi di malattia può ricostituire l'armonia perduta.
Anche Platone ed Aristotele furono, oltre che pensatori e filosofi anche dei musicologi e musicisti convinti che le arti del ritmo contribuissero a migliorare la calma interiore, la serenità e la morale.
Il pensiero platonico poggiava su cinque costanti:
II mondo è costituito secondo principi musicali;
La musica ha un potere incantatorio sulla parte irrazionale dell'Io;
La vita intera dell'uomo è dominata dall'armonia e dal ritmo;
Una giusta educazione musicale può garantire la formazione del carattere;
La filosofìa è l'espressione più alta della musica.
Aristotele affermava che la musica possiede la caratteristica di migliorare la morale, ha un potere liberatorio, alleviante e catartico delle tensioni psichiche.
Per Pitagora erano tre gli orientamenti della musica:
di adattamento,la musica deve adattarsi alla personalità dell'individuo, nel contempo l'individuo deve saper lentamente adattarsi a musiche diverse e lontane dalla sua personalità accettandole.
di cambiamento,la musica può modificare lo stato d'animo profondo dell'individuo, consentendogli una maggiore accettazione di sé ed un maggiore uso delle proprie capacità epossibilità.
di purificazione,la musica può liberare l'anima e il corpo dalle tensioni giornaliere.
Il primo trattato di musicoterapia risale alla prima metà del 1700 a cura di un medico musicista londinese, Richard Brockiesby . Il suo volume fece il giro d'Europa sollevando interesse ed anchescetticismo.S. Porgeter fu uno dei primi medici a capire la necessità di una conoscenza molto approfondita della scienza Musicale per applicarla con successo nella cura di certi disturbi mentali.
Per lo sviluppo della sanità mentale ed il benessere, le attività creative sono la chiave per il raggiungimento dell'equilibrio psichico. Attraverso esse si può mirare all'evoluzione dell'essere umano nella sua totalità e far emergere tutte le capacità potenziali.Attività come il cantare, suonare, danzare, sono direttamente creative, essendo la musica sì una disciplina mentale che ha bisogno di ordine, di attenzione e concentrazione, ma che permette la manifestazione della propria espressività.
E' importante ricordare che la musica è un mezzo di comunicazione anche là dove le parole divengono inaccessibili.
Dopo una lesione cerebrale, il pensiero musicale può rimanere completamente integro come lo era sempre stato.Nella sindrome autistica, caratterizzata da isolamento da parte del paziente che sfocia nel silenzio della comunicazione intesa come chiusura al rapporto umano, il soggetto vive in un mondo fatto di riti, di ossessioni, di fobie, dietro i quali si rifugia trovandosi sempre nello stato di paura patologica tipica del prigioniero. In questo caso il linguaggio sonoro può divenire strumento privilegiato per superare questo isolamento; un mezzo di informazione e formazione ed anche di esperienza creativa, poiché contiene elementi suggestivi e suadenti che penetrano nel subconscio influenzando il corpo e la mente permettendo di entrare in un mondo più vasto e ricco di emozioni ed espressioni.
Molti studi hanno dimostrato il duplice effetto psicoterapico della musica sia nell'ambito fisiologico che psichico. La musica evoca sensazioni, stati d'animo, può far scattare meccanismi inconsci, aiuta a rafforzare l' e serve da ponte tra il conscio e l'inconscio . Può aiutare a sbloccare repressioni e resistenze permettendo agli impulsi ed ai complessi che producono conflitti e disturbi neuro-psichici di affiorare a livello di coscienza, anche attraverso il processo catartico (tensione-liberazione). Invia segnali al cervello ed in particolare al sistema limbico , la zona cerebrale detentrice dei più arcani sentimenti e istinti posseduti dall'uomo riguardo ad una filogenesi evolutiva di tutto il sistema nervoso centrale.
La musica sembra essere l'unica funzione superiore dell'encefalo, che direttamente coinvolge in ugual misura l'emisfero destro e l'emisfero sinistro.
Essa permette di comunicare attraverso un codice alternativo rispetto a quello verbale . Attraverso la comunicazione analogica ci si esprime con un sistema di simboli più ricco e in più le stimolazioni musicali possono suscitare miglioramenti nella sfera affettiva, motivazionale e comunicativa.
Utilizza il suono, la musica, il movimento per provocare effetti regressivi ed aprire canali di comunicazione, con possibilità di un'apertura comunicativo - relazionale e una finestra nel mondo interno.
E' chiaro che si può usare la musica per catturare l'attenzione, stabilire un dialogo e quindi ancora condurre la persona ad un obiettivo voluto. In questa ottica le tecniche psicomusicali, offrono un mezzo di espressione e comunicazione complementare. Fattore di sviluppo per l'uomo normale , esse sono una vera terapia per il disadattato . Attraverso la terapia musicale vengono messe in gioco le abitudini, i significati palesi e inconsapevoli, le aspirazioni, i problemi vivi e angoscianti, la ricerca di significati che vanno al di là dell'apparente infantilità di certi testi, rendendo l'esperienza sonoro-musicale molto meno banale di quanto possa apparire a prima vista e di notevole valore se affrontata correttamente.
Bisogna però scartare l'idea semplicistica di alcuni per i quali qualsiasi disco o cassetta di musica può andar bene (proponendo molto spesso alcuni generi musicali pre-confezionati, spesso propinati e spacciati come terapeutici, non adatti allo scopo da raggiungere). In questa ottica naturalmente i risultati non saranno soddisfacenti e di conseguenza il metodo criticato, ridicolizzato e abbandonato.
L'esperienza musicale nell'iter della vita
L'esperienza musicale è e rimane sempre esperienza radicata nel corso della vita, intesa sia come linguaggio pre-verbale all'origine della vita e della crescita originaria del feto nel grembo materno, sia perché continua ad avere profondi agganci nella vita quotidiana, nell'espressione della propria cultura di base, delle proprie emozioni e sentimenti, nella rievocazione dei ricordi ecc.
Canzoni conosciute, imparate nell'infanzia e ripetute per tutta la vita restano impresse permanentemente nella memoria. In virtù di ciò, quando si evoca una melodia ben memorizzata con il paziente in stato di confusione temporale si può stabilire immediatamente un contatto.
La musica come terapia
La musica dal punto di vista terapeutico, diviene attiva stimolazione multisensoriale, cognitiva, relazionale, emozionale, impiegata come prevenzione, sostegno e recupero. Essa può offrire nei casi in cui l'ascolto viene integrato dalla partecipazione attiva del corpo (ritmare, sonorizzare, muoversi ritmicamente, cantare etc.), un momento valido per riorganizzare le condotte relazionali ed il lavoro terapeutico consiste nella attivazione-riattivazione delle abilità personali e delle capacità espressive e relazionali mediante setting organizzati secondo il metodo socio-psico-educazionale che consentono da un lato la possibilità di osservazione valutativa, d'altro canto pongono gli agenti in condizione favorevole alla espressione immaginativa, alla comunicazione, alla partecipazione emotiva dell'evento.
Musica come intervento riabilitativo
L'intervento riabilitativo è efficace sia nel bambino che nell'adulto. Se il paziente è un bambino si comincia a costruire insieme a lui una comunicazione sonora non ancora influenzata da successive esperienze ritmico-musicali; mentre nell'adulto bisogna eseguire un'azione regressiva volta a recuperare una storia corporeo - sensoriale passata. Ogni essere umano ha dentro di sé una identità sonora (ISO), in quanto vi è l'esistenza di un suono o di un insieme di suoni che lo caratterizzano e lo individualizzano. Questi sono rappresentati dagli archetipi sonori ereditati geneticamente a cui si aggiungono l'esperienza sonoro - vibrazionale e di movimento durante la vita intrauterina, e più tardi si arricchisce con le esperienze vissute durante il parto, con di seguito il resto della vita.
L'espressione musicale, all'inizio linguaggio non verbale originato nelle profondità della vita affettiva, diventerà fonte di motivazione per una espressione grafica, un'espressione verbale, un'espressione scritta. Per beneficiare di queste tecniche non è necessario imparare la musica ; basta sentire, comprendere e creare senza coercizione, scegliendo uno strumento piuttosto che un altro , per un suo timbro, utilizzando una cellula melodica in cui si sente bene, in un vissuto corporeo completo.
In tutte le culture dell'antichità musica e medicina erano praticamente una cosa sola. Il sacerdote medico (lo sciamano) sapeva che il mondo è costituito secondo principi musicali, che la vita del cosmo, ma anche quella dell'uomo, è dominata dal ritmo e dall'armonia. Sapeva che la musica ha un potere incantatorio sulla parte irrazionale, che procura benessere e che nei casi di malattia può ricostituire l'armonia perduta.
Anche Platone ed Aristotele furono, oltre che pensatori e filosofi anche dei musicologi e musicisti convinti che le arti del ritmo contribuissero a migliorare la calma interiore, la serenità e la morale.
Il pensiero platonico poggiava su cinque costanti:
II mondo è costituito secondo principi musicali;
La musica ha un potere incantatorio sulla parte irrazionale dell'Io;
La vita intera dell'uomo è dominata dall'armonia e dal ritmo;
Una giusta educazione musicale può garantire la formazione del carattere;
La filosofìa è l'espressione più alta della musica.
Aristotele affermava che la musica possiede la caratteristica di migliorare la morale, ha un potere liberatorio, alleviante e catartico delle tensioni psichiche.
Per Pitagora erano tre gli orientamenti della musica:
di adattamento,la musica deve adattarsi alla personalità dell'individuo, nel contempo l'individuo deve saper lentamente adattarsi a musiche diverse e lontane dalla sua personalità accettandole.
di cambiamento,la musica può modificare lo stato d'animo profondo dell'individuo, consentendogli una maggiore accettazione di sé ed un maggiore uso delle proprie capacità epossibilità.
di purificazione,la musica può liberare l'anima e il corpo dalle tensioni giornaliere.
Il primo trattato di musicoterapia risale alla prima metà del 1700 a cura di un medico musicista londinese, Richard Brockiesby . Il suo volume fece il giro d'Europa sollevando interesse ed anchescetticismo.S. Porgeter fu uno dei primi medici a capire la necessità di una conoscenza molto approfondita della scienza Musicale per applicarla con successo nella cura di certi disturbi mentali.
Per lo sviluppo della sanità mentale ed il benessere, le attività creative sono la chiave per il raggiungimento dell'equilibrio psichico. Attraverso esse si può mirare all'evoluzione dell'essere umano nella sua totalità e far emergere tutte le capacità potenziali.Attività come il cantare, suonare, danzare, sono direttamente creative, essendo la musica sì una disciplina mentale che ha bisogno di ordine, di attenzione e concentrazione, ma che permette la manifestazione della propria espressività.
E' importante ricordare che la musica è un mezzo di comunicazione anche là dove le parole divengono inaccessibili.
Dopo una lesione cerebrale, il pensiero musicale può rimanere completamente integro come lo era sempre stato.Nella sindrome autistica, caratterizzata da isolamento da parte del paziente che sfocia nel silenzio della comunicazione intesa come chiusura al rapporto umano, il soggetto vive in un mondo fatto di riti, di ossessioni, di fobie, dietro i quali si rifugia trovandosi sempre nello stato di paura patologica tipica del prigioniero. In questo caso il linguaggio sonoro può divenire strumento privilegiato per superare questo isolamento; un mezzo di informazione e formazione ed anche di esperienza creativa, poiché contiene elementi suggestivi e suadenti che penetrano nel subconscio influenzando il corpo e la mente permettendo di entrare in un mondo più vasto e ricco di emozioni ed espressioni.
Molti studi hanno dimostrato il duplice effetto psicoterapico della musica sia nell'ambito fisiologico che psichico. La musica evoca sensazioni, stati d'animo, può far scattare meccanismi inconsci, aiuta a rafforzare l' e serve da ponte tra il conscio e l'inconscio . Può aiutare a sbloccare repressioni e resistenze permettendo agli impulsi ed ai complessi che producono conflitti e disturbi neuro-psichici di affiorare a livello di coscienza, anche attraverso il processo catartico (tensione-liberazione). Invia segnali al cervello ed in particolare al sistema limbico , la zona cerebrale detentrice dei più arcani sentimenti e istinti posseduti dall'uomo riguardo ad una filogenesi evolutiva di tutto il sistema nervoso centrale.
La musica sembra essere l'unica funzione superiore dell'encefalo, che direttamente coinvolge in ugual misura l'emisfero destro e l'emisfero sinistro.
Essa permette di comunicare attraverso un codice alternativo rispetto a quello verbale . Attraverso la comunicazione analogica ci si esprime con un sistema di simboli più ricco e in più le stimolazioni musicali possono suscitare miglioramenti nella sfera affettiva, motivazionale e comunicativa.
Utilizza il suono, la musica, il movimento per provocare effetti regressivi ed aprire canali di comunicazione, con possibilità di un'apertura comunicativo - relazionale e una finestra nel mondo interno.
E' chiaro che si può usare la musica per catturare l'attenzione, stabilire un dialogo e quindi ancora condurre la persona ad un obiettivo voluto. In questa ottica le tecniche psicomusicali, offrono un mezzo di espressione e comunicazione complementare. Fattore di sviluppo per l'uomo normale , esse sono una vera terapia per il disadattato . Attraverso la terapia musicale vengono messe in gioco le abitudini, i significati palesi e inconsapevoli, le aspirazioni, i problemi vivi e angoscianti, la ricerca di significati che vanno al di là dell'apparente infantilità di certi testi, rendendo l'esperienza sonoro-musicale molto meno banale di quanto possa apparire a prima vista e di notevole valore se affrontata correttamente.
Bisogna però scartare l'idea semplicistica di alcuni per i quali qualsiasi disco o cassetta di musica può andar bene (proponendo molto spesso alcuni generi musicali pre-confezionati, spesso propinati e spacciati come terapeutici, non adatti allo scopo da raggiungere). In questa ottica naturalmente i risultati non saranno soddisfacenti e di conseguenza il metodo criticato, ridicolizzato e abbandonato.
L'esperienza musicale nell'iter della vita
L'esperienza musicale è e rimane sempre esperienza radicata nel corso della vita, intesa sia come linguaggio pre-verbale all'origine della vita e della crescita originaria del feto nel grembo materno, sia perché continua ad avere profondi agganci nella vita quotidiana, nell'espressione della propria cultura di base, delle proprie emozioni e sentimenti, nella rievocazione dei ricordi ecc.
Canzoni conosciute, imparate nell'infanzia e ripetute per tutta la vita restano impresse permanentemente nella memoria. In virtù di ciò, quando si evoca una melodia ben memorizzata con il paziente in stato di confusione temporale si può stabilire immediatamente un contatto.
La musica come terapia
La musica dal punto di vista terapeutico, diviene attiva stimolazione multisensoriale, cognitiva, relazionale, emozionale, impiegata come prevenzione, sostegno e recupero. Essa può offrire nei casi in cui l'ascolto viene integrato dalla partecipazione attiva del corpo (ritmare, sonorizzare, muoversi ritmicamente, cantare etc.), un momento valido per riorganizzare le condotte relazionali ed il lavoro terapeutico consiste nella attivazione-riattivazione delle abilità personali e delle capacità espressive e relazionali mediante setting organizzati secondo il metodo socio-psico-educazionale che consentono da un lato la possibilità di osservazione valutativa, d'altro canto pongono gli agenti in condizione favorevole alla espressione immaginativa, alla comunicazione, alla partecipazione emotiva dell'evento.
Musica come intervento riabilitativo
L'intervento riabilitativo è efficace sia nel bambino che nell'adulto. Se il paziente è un bambino si comincia a costruire insieme a lui una comunicazione sonora non ancora influenzata da successive esperienze ritmico-musicali; mentre nell'adulto bisogna eseguire un'azione regressiva volta a recuperare una storia corporeo - sensoriale passata. Ogni essere umano ha dentro di sé una identità sonora (ISO), in quanto vi è l'esistenza di un suono o di un insieme di suoni che lo caratterizzano e lo individualizzano. Questi sono rappresentati dagli archetipi sonori ereditati geneticamente a cui si aggiungono l'esperienza sonoro - vibrazionale e di movimento durante la vita intrauterina, e più tardi si arricchisce con le esperienze vissute durante il parto, con di seguito il resto della vita.
L'espressione musicale, all'inizio linguaggio non verbale originato nelle profondità della vita affettiva, diventerà fonte di motivazione per una espressione grafica, un'espressione verbale, un'espressione scritta. Per beneficiare di queste tecniche non è necessario imparare la musica ; basta sentire, comprendere e creare senza coercizione, scegliendo uno strumento piuttosto che un altro , per un suo timbro, utilizzando una cellula melodica in cui si sente bene, in un vissuto corporeo completo.
CORNICI DI PASTA
Da delle scatole di cartone, ritagliate una cornice rettangolare, il dietro della cornice, e una striscia per il sostegno.
Date ai bambini il davanti della cornice, una ciotola con della colla vinilica, dei pennelli per stendere la colla, e diversi formati di pasta da cucina: farfalle, conchiglie, lumachine, spaghetti...
Incoraggiateli a decorare la cornice utilizzando i diversi formati di pasta per creare dei disegni (fiori, casette, ...).
Quando la colla sara' asciutta, colorate la cornice: il modo piu' semplice e' quello di utilizzare una bomboletta spray, magari dorata.
Quindi assemblate le varie parti (il davanti decorato, il dietro, il sostegno), lasciando aperto il lato superiore per poter infilare la foto preferita dei vostri bambini. Il risultato sara' sicuramente piacevole.
Da delle scatole di cartone, ritagliate una cornice rettangolare, il dietro della cornice, e una striscia per il sostegno.
Date ai bambini il davanti della cornice, una ciotola con della colla vinilica, dei pennelli per stendere la colla, e diversi formati di pasta da cucina: farfalle, conchiglie, lumachine, spaghetti...
Incoraggiateli a decorare la cornice utilizzando i diversi formati di pasta per creare dei disegni (fiori, casette, ...).
Quando la colla sara' asciutta, colorate la cornice: il modo piu' semplice e' quello di utilizzare una bomboletta spray, magari dorata.
Quindi assemblate le varie parti (il davanti decorato, il dietro, il sostegno), lasciando aperto il lato superiore per poter infilare la foto preferita dei vostri bambini. Il risultato sara' sicuramente piacevole.
PORTAPENNE RICICLATO
Conservate un barattolo vuoto del caffe': vi tornera' utile per fare un bel portapenne colorato.
Iniziate col rivestire il barattolo con del cartoncino colorato: la colla vinilica va benissimo, e per tenerlo fermo mentre asciuga, utilizzate due o tre elastici.
Quindi stabilite il "tema" del portapenne preparate i disegni su degli altri cartoncini colorati, che il bambino dovra' colorare e ritagliare.
Infine, incollate anche questi ritagli sul vostro portapenne, che sara' cosi' terminato.
Se volete, si possono fare anche cose piu' complicate, magari utilizzando ritagli di stoffa, fili di lana, batuffoli di ovatta per creare disegni "in rilievo" di bamboline, alberelli, nuvolette...
Conservate un barattolo vuoto del caffe': vi tornera' utile per fare un bel portapenne colorato.
Iniziate col rivestire il barattolo con del cartoncino colorato: la colla vinilica va benissimo, e per tenerlo fermo mentre asciuga, utilizzate due o tre elastici.
Quindi stabilite il "tema" del portapenne preparate i disegni su degli altri cartoncini colorati, che il bambino dovra' colorare e ritagliare.
Infine, incollate anche questi ritagli sul vostro portapenne, che sara' cosi' terminato.
Se volete, si possono fare anche cose piu' complicate, magari utilizzando ritagli di stoffa, fili di lana, batuffoli di ovatta per creare disegni "in rilievo" di bamboline, alberelli, nuvolette...
OCCORRENTE:
Gr. 100 di farina
Gr. 100 di sale fino
Gr. 60 di acqua
Tempere
1 cucchiaio di colla per tappezzeria (facoltativo)
ESECUZIONE:
Impastare la farina con il sale, aggiungendo l'acqua pian piano.
Suddividere l'impasto e, usando le tempere, colorarlo a piacere (giallo, verde, rosso, ...).
Gr. 100 di farina
Gr. 100 di sale fino
Gr. 60 di acqua
Tempere
1 cucchiaio di colla per tappezzeria (facoltativo)
ESECUZIONE:
Impastare la farina con il sale, aggiungendo l'acqua pian piano.
Suddividere l'impasto e, usando le tempere, colorarlo a piacere (giallo, verde, rosso, ...).
Se si preferisce, si puo' lavorare la pasta grezza creando le forme desiderate, colorandola con tempere o acquarelli una volta essicata.
(Per colorare, potete procedere anche così: in un piccolo recipiente, tipo i misurini che si utilizzano per gli sciroppi, o un tappo, unite un po' di tempera, altrettanto Vinavil e qualche goccia di acqua mescolando il tutto con il pennello. E' meglio usare la quantità di colore necessaria, senza abbondare, perchè questo miscuglio deve essere utilizzato subito in quanto la colla dopo un po' si asciuga).
Se l'impasto tende a sgretolarsi, aggiungere qualche goccia d'acqua.
Se si appiccica alle mani, aggiungere un velo di farina.
Una volta preparate le creazioni,appoggiarle su un foglio di alluminio e lasciarle asciugare per un paio di giorni all'aria, girando le formine di tanto in tanto (sfruttando anche il calore del calorifero).
Un risultato migliore (non corrono il rischio che si spezzino) e di maggior durata lo si ottiene cuocendole lentamente in forno, per alcune ore, a bassa temperatura.
TEMPI INDICATIVI DI ASCIUGATURA:
Per lavoretti di circa 1/2 cm di spessore si può calcolare 1 ora (o poco più) a 50°C,
1/2 ora a 75°C
1/2 ora a 100°C
1 ora a 125°C
Per lavori di maggior spessore far asciugare un paio di giorni all'aria e poi passare nel forno come sopra indicato.
(Per colorare, potete procedere anche così: in un piccolo recipiente, tipo i misurini che si utilizzano per gli sciroppi, o un tappo, unite un po' di tempera, altrettanto Vinavil e qualche goccia di acqua mescolando il tutto con il pennello. E' meglio usare la quantità di colore necessaria, senza abbondare, perchè questo miscuglio deve essere utilizzato subito in quanto la colla dopo un po' si asciuga).
Se l'impasto tende a sgretolarsi, aggiungere qualche goccia d'acqua.
Se si appiccica alle mani, aggiungere un velo di farina.
Una volta preparate le creazioni,appoggiarle su un foglio di alluminio e lasciarle asciugare per un paio di giorni all'aria, girando le formine di tanto in tanto (sfruttando anche il calore del calorifero).
Un risultato migliore (non corrono il rischio che si spezzino) e di maggior durata lo si ottiene cuocendole lentamente in forno, per alcune ore, a bassa temperatura.
TEMPI INDICATIVI DI ASCIUGATURA:
Per lavoretti di circa 1/2 cm di spessore si può calcolare 1 ora (o poco più) a 50°C,
1/2 ora a 75°C
1/2 ora a 100°C
1 ora a 125°C
Per lavori di maggior spessore far asciugare un paio di giorni all'aria e poi passare nel forno come sopra indicato.
Sono più di 300.000 i minori di 18 anni attualmente impegnati in conflitti nel mondo.Centinaia di migliaia hanno combattuto nell'ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione.
La maggioranza di questi hanno da 15 a 18 anni ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza che si nota è verso un abbassamento dell'età. Decine di migliaia corrono ancora il rischio di diventare soldati.
Il problema è più grave in Africa (il rapporto presentato nell'aprile scorso a Maputo parla di 120.000 soldati con meno di 18 anni) e in Asia ma anche in America e Europa parecchi stati reclutano minori nelle loro forze armate.
Negli ultimi 10 anni è documentata la partecipazione a conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni in 25 Paesi. Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono usati come "portatori" di munizioni, vettovaglie ecc. e la loro vita non è meno dura e a rischio dei primi.
Alcuni sono regolarmente reclutati nelle forze armate del loro stato, altri fanno parte di armate di opposizione ai governi; in ambedue i casi sono esposti ai pericoli della battaglia e delle armi, trattati brutalmente e puniti in modo estremamente severo per gli errori. Una tentata diserzione può portare agli arresti e, in qualche caso, ad una esecuzione sommaria.
Anche le ragazze, sebbene in misura minore, sono reclutate e frequentemente soggette allo stupro e a violenze sessuali. In Etiopia, per esempio, si stima che le donne e le ragazze formino fra il 25 e il 30 per cento delle forze di opposizione armata.
Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento perché è cambiata la natura della guerra, diventata oggi prevalentemente etnica, religiosa e nazionalista. I "signori della guerra" che le combattono non si curano delle Convenzioni di Ginevra e spesso considerano anche i bambini come nemici. Secondo uno studio UNICEF, i civili rappresentavano all'inizio del secolo il 5 per cento delle vittime di guerra. Oggi costituiscono il 90 per cento.
L'uso di armi automatiche e leggere ha reso più facile l'arruolamento dei minori; oggi un bambino di 10 anni può usare un AK-47 come un adulto. I ragazzi, inoltre, non chiedono paghe, e si fanno indottrinare e controllare più facilmente di un adulto, affrontano il pericolo con maggior incoscienza (per esempio attraversando campi minati o intrufolandosi nei territori nemici come spie).
Inoltre la lunghezza dei conflitti rende sempre più urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite. Quando questo non è facile si ricorre a ragazzi di età inferiore a quanto stabilito dalla legge o perché non si seguono le procedure normali di reclutamento o perché essi non hanno documenti che dimostrino la loro vera età.
Si dice che alcuni ragazzi aderiscono come volontari: in questo caso le cause possono essere diverse: per lo più lo fanno per sopravvivere, perché c’è di mezzo la fame o il bisogno di protezione. Nella Rep. Democratica del Congo, per esempio, nel '97 da 4.000 a 5.000 adolescenti hanno aderito all'invito, fatto attraverso la radio, di arruolarsi: erano per la maggior parte "ragazzi della strada".
Un altro motivo può essere dato da una certa cultura della violenza o dal desiderio di vendicare atrocità commesse contro i loro parenti o la loro comunità. Una ricerca condotta dall'ufficio dei Quaccheri di Ginevra mostra come la maggioranza dei ragazzi che va volontario nelle truppe di opposizione lo fa come risultato di una esperienza di violenze subite personalmente o viste infliggere ai propri familiari da parte delle truppe governative.
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Una forma di sfruttamento
Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie respiratorie e dell'apparato sessuale, incluso l'AIDS.
Inoltre ci sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o aver commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi anche dopo anni. Si aggiungano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell'inserirsi nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze poi, soprattutto in alcuni ambienti, dopo essere state nell'esercito, non riescono a sposarsi e finiscono col diventare prostitute.
L'uso dei bambini soldato ha ripercussioni anche su gli altri ragazzi che rimangono nell'area del conflitto, perché tutti diventano sospettabili in quanto potenzialmente nemici. Il rischio è che vengano uccisi, interrogati, fatti prigionieri.
Qualche volta i bambini soldato possono rappresentare un rischio anche per la popolazione civile in senso lato: in situazioni di tensione sono meno capaci di autocontrollo degli adulti e quindi sono "dal grilletto facile".
Per quanto molti stati siano riluttanti ad ammetterlo, l'uso di bambini soldato può essere considerato come una forma di lavoro illegittimo per la natura pericolosa del lavoro. L'ILO riconosce che: "il concetto di età minima per l'ammissione all'impiego o lavoro che per sua natura o per le circostanze in cui si svolge porti un rischio per la salute, la sicurezza fisica o morale dei giovani, può essere applicata anche al coinvolgimento nei conflitti armati". L'età minima, secondo la Convenzione n° 138, corrisponde ai 18 anni.
Ricerche ONU hanno mostrato come la principale categoria di ragazzi che diventa soldato in tempo di guerra, sia soggetta allo sfruttamento lavorativo in tempo di pace.
La maggioranza dei bambini soldato appartiene a queste categorie:
ragazzi separati dalle loro famiglie (orfani, rifugiati non accompagnati, figli di single)
provenienti da situazioni economiche o sociali svantaggiate (minoranze, ragazzi di strada, sfollati)
ragazzi che vivono nelle zone calde del conflitto.
Chi vive in campi profughi è particolarmente a rischio di essere sfruttato da gruppi armati. Le famiglie e le comunità sono distrutte, i ragazzi sono abbandonati a se stessi e la situazione è di grande incertezza. I rifugiati sono così spesso alla mercé dei gruppi armati.
Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie respiratorie e dell'apparato sessuale, incluso l'AIDS.
Inoltre ci sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o aver commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi anche dopo anni. Si aggiungano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell'inserirsi nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze poi, soprattutto in alcuni ambienti, dopo essere state nell'esercito, non riescono a sposarsi e finiscono col diventare prostitute.
L'uso dei bambini soldato ha ripercussioni anche su gli altri ragazzi che rimangono nell'area del conflitto, perché tutti diventano sospettabili in quanto potenzialmente nemici. Il rischio è che vengano uccisi, interrogati, fatti prigionieri.
Qualche volta i bambini soldato possono rappresentare un rischio anche per la popolazione civile in senso lato: in situazioni di tensione sono meno capaci di autocontrollo degli adulti e quindi sono "dal grilletto facile".
Per quanto molti stati siano riluttanti ad ammetterlo, l'uso di bambini soldato può essere considerato come una forma di lavoro illegittimo per la natura pericolosa del lavoro. L'ILO riconosce che: "il concetto di età minima per l'ammissione all'impiego o lavoro che per sua natura o per le circostanze in cui si svolge porti un rischio per la salute, la sicurezza fisica o morale dei giovani, può essere applicata anche al coinvolgimento nei conflitti armati". L'età minima, secondo la Convenzione n° 138, corrisponde ai 18 anni.
Ricerche ONU hanno mostrato come la principale categoria di ragazzi che diventa soldato in tempo di guerra, sia soggetta allo sfruttamento lavorativo in tempo di pace.
La maggioranza dei bambini soldato appartiene a queste categorie:
ragazzi separati dalle loro famiglie (orfani, rifugiati non accompagnati, figli di single)
provenienti da situazioni economiche o sociali svantaggiate (minoranze, ragazzi di strada, sfollati)
ragazzi che vivono nelle zone calde del conflitto.
Chi vive in campi profughi è particolarmente a rischio di essere sfruttato da gruppi armati. Le famiglie e le comunità sono distrutte, i ragazzi sono abbandonati a se stessi e la situazione è di grande incertezza. I rifugiati sono così spesso alla mercé dei gruppi armati.
Prima di arrivare ad essere una responsabile mini club nei villaggi sono prima di tutto un'operatore dei servizi sociali....ho conosciuto realtà molto dure...ho regalato, insieme all'aiuto di altra gente esperta,tanti momenti di serenità a bambini ed adolescenti che di serenità ne hanno veramente poca...
La loro casa è la strada,la loro prima lingua è il dialetto,gli occhi sono spesso spenti,non hanno regole...cercano affetto un affetto che,per varie situazioni famigliari,li viene negato....
Facevo con loro i giochi più banali che possano esistere,erano le cose semplici e che a loro facevano stare bene...e quel mondo senza capricci...con volti tristi da far sorridere,da difficoltà serie da superare con loro che mi hanno portata a essere quella che sono oggi.
Nel 1997 nasce Il primo Piano d’azione sull’infanzia e l’adolescenza indicava le priorità di intervento a breve e medio termine riguardo la promozione dell’agio e la prevenzione del disagio.
Sempre nel 1997, precisamente il 28 agosto viene promulgata la prima legge quadro sulla tutela dell’infanzia e dell’adolescenza. La legge 285/97 (Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza) concretizza una delle priorità del primo Piano d’azione, creando fermento anche in contesti dove storicamente non esisteva una cultura ed una attenzione alle problematiche infantili ed adolescenziali, introducendo innovazioni e sperimentazioni. Principalmente ci si muove con azioni preventive più che riparative, rafforzando quegli elementi di identità, di crescita, di benessere, di cultura, creando possibilità creative e di potenziamento delle proprie capacità. Differentemente dalla legge 216/91, la legge 285/97 stabiliva che dovessero essere le regioni a stabilire la programmazione degli interventi territorialmente così come la ripartizione economica e verificare l’efficacia degli interventi. Hanno visto la luce quindi, mediante accordi di programma che coinvolgevano enti locali, ASL, centri per la giustizia minorile interventi organizzati all’interno di un unico piano della durata massima di un triennio. Tutto ciò si è concretizzato in progetti e/o servizi, assistenziali, riabilitativi, preventivi a volte di natura sperimentale.
Sempre più negli ultimi anni quindi si tende verso una prevenzione primaria con interventi che influiscono positivamente sulla qualità della vita degli adolescenti. Promuovendo socializzazione, benessere, salute, si cerca di fornire strumenti, sostegno, nel percorso evolutivo adolescenziale sempre più caratterizzato da complessità crescenti. Diventano residuali quindi gli interventi di prevenzione secondaria, rivolte alle fasce più marcatamente a rischio, in quanto già questo etichetta, e quelli di prevenzione terziaria, finalizzati a contenere la recidiva.
Sempre più negli ultimi anni quindi si tende verso una prevenzione primaria con interventi che influiscono positivamente sulla qualità della vita degli adolescenti. Promuovendo socializzazione, benessere, salute, si cerca di fornire strumenti, sostegno, nel percorso evolutivo adolescenziale sempre più caratterizzato da complessità crescenti. Diventano residuali quindi gli interventi di prevenzione secondaria, rivolte alle fasce più marcatamente a rischio, in quanto già questo etichetta, e quelli di prevenzione terziaria, finalizzati a contenere la recidiva.
L’adolescenza è una fase evolutiva in cui l’individuo deve affrontare una serie infinita di compiti avendo a disposizione risorse personali talvolta inadeguate, e sempre meno riferimenti culturali e sociali. Potremo identificare tre grandi aree che vedono impegnato l’adolescente.
La prima riguarda il processo di individuazione all’interno della rete familiare attraverso uno smarcarsi da valori di riferimento infantili; pensiamo alle adolescenze prolungate e alla difficoltà di molti giovani a lasciare la casa paterna, in confronto alla spinta a girare il mondo presente nelle generazioni passate.
Un altro aspetto dello sviluppo adolescenziale riguarda le trasformazioni del proprio corpo, la costruzione di una propria immagine non solo fisica ma anche mentale, l’accesso alla sessualità, e quindi la definizione di una propria identità, non sempre supportata da riferimenti culturali e sociali chiari e definiti.
L’ultimo compito riguarda la costruzione di nuovi legami e relazioni affettive. Si esce dal guscio familiare, si costruiscono le prime amicizie, i primi amori, i primi legami, quelli che non si scordano mai, proprio perché rappresentano un debutto.
Nell’affrontare il loro percorso evolutivo gli adolescenti impattano queste aree non sempre in maniera indolore; a volte si rivelano più impegnative del previsto, fonte di disagio, sofferenza, inducono a comportamenti inadeguati o incongrui, a volte esponendo a dei rischi.
Sembra infatti naturale a questa età la tendenza a intraprendere tutta una serie di comportamenti che espongono a rischi a volte anche gravi, come se fosse una parte ineliminabile del processo evolutivo.
In un processo di crescita il rischio è insito ogni qual volta si affronta una esperienza nuova, ci sono delle decisioni da prendere, il fallimento è in agguato, e la posta è alta se si considera che è in gioco l’affermazione di sé stessi.
Quindi è sempre una sfida, con gli adulti, con i genitori, a scuola, con gli amici, con il partner sessuale. Esistono però situazioni dove i comportamenti a rischio sembrano assumere una caratteristica particolare, eccessiva rispetto all’effettivo significato dell’atto. La trasgressione non è più solo un comportamento descrittivo dell’adolescenza, un tratto fase-specifico.
L’uso di sostanze, la sessualità, comportamenti antisociali o propriamente devianti, sembrano essere qualcosa di più che semplici manifestazioni del travaglio adolescenziale; vanno oltre lo sperimentare il proprio coraggio, abilità, sfidare le regole sociali; piuttosto sembrano assumere significati particolari, come l’espressione di un disagio che non trova altre forme condivisibili, o tante volte anche la ricerca di un contenimento esterno.
Esperienze degli ultimi anni evidenziano come una destrutturazione generale, una difficoltà evolutiva, sia un comune denominatore che caratterizza i ragazzi più esposti a vivere situazioni di rischio di comportamenti antisociali.
Tale destrutturazione può essere rappresentata da una vulnerabilità individuale, difficoltà ad accettarsi (i propri sentimenti, il proprio corpo con le sue funzioni, anche espressive) e ad esprimere le proprie emozioni a livello verbale, corporeo, affettivo in modo congruo, dall’intolleranza verso l’attesa e la frustrazione e dal non percepire l’altro come fonte di sostegno, la difficoltà a mantenere un impegno. Contribuiscono a questo quadro situazioni come famiglie problematiche (separati, carenze educative ed affettive) o ambienti sociali deprivati culturalmente o economicamente, atteggiamenti caratterizzati da scarsa autostima, instabilità emotiva, comportamenti provocatori, spesso collegati ad un percorso scolastico marcato da insuccessi, l’uso più o meno saltuario di sostanze stupefacenti.
Questi fattori combinandosi tra loro producono quei comportamenti che più marcatamente evidenziano situazioni di disagio che si manifestano con l’abuso di sostanze stupefacenti o alcolici, abbandoni scolastici, una continua violazione di norme, comportamenti che denotano una incapacità ad assumersi le responsabilità del proprio comportamento.
Il concetto di responsabilità, secondo un modello psicologico, implica la possibilità di assumersi un impegno all’interno di un legame sociale riconosciuto, di prefigurarsi le conseguenze delle proprie azioni, di essere capaci di riparare i danni commessi.
Sembrerebbe quindi che sia l’adolescenza stessa una condizione di rischio, caratterizzata da comportamenti trasgressivi, antisociali, devianti.
E’ importante distinguere allora quando certi comportamenti possono essere considerati specifici dell’adolescenza e quando connotino una più stabile strutturazione deviante.
Per spiegare la devianza minorile si fa riferimento principalmente a quattro gruppi di teorie, quelle psicologiche, sociologiche, psicosociali, e della costruzione sociale.
Tra le teorie psicologiche quella psicoanalitica individua in uno sviluppo evolutivo inadeguato le cause di comportamenti devianti, che si manifesta attraverso un tipo di personalità caratterizzato da incapacità ad interiorizzare delle norme, difficoltà ad instaurare delle relazioni affettive, insufficiente controllo dei propri impulsi, ricerca dell’appagamento immediato dei propri desideri. In termini metapsicologici ci si trova davanti ad un Io inadeguato e onnipotente e un Super-Io incapace di definire limiti. Il versante sistemico-relazionale attribuisce ad un certo tipo di relazioni familiare la genesi della devianza minorile.
Attualmente, pur non riducendo i fenomeni di devianza minorile a semplici sintomi di disturbi psichiatrici adolescenziali, si evidenziano situazioni casi in cui tali comportamenti sono ascrivibili a situazioni psicopatologiche. Fondamentale importanza nello sviluppo adolescenziale è rivestita dal gruppo dei pari, e quindi anche nel caso di comportamenti devianti. Nel gruppo l’adolescente soddisfa bisogni di appartenenza, diluisce la responsabilità dei propri comportamenti, sperimenta autonomie al di fuori della famiglia, scopre nuovi valori. E’ evidente come quindi un tipo di cultura di gruppo possa influenzare alcuni comportamenti piuttosto che altri, e come questa cultura sia il risultato dell’apporto di tutti i membri, che più o meno consapevolmente contribuiscono al suo mantenimento.
Il punto di vista sociologico ci mostra un panorama dove il comportamento è deviante rispetto ad un sistema di valori e norme riconosciute “normalmente”, ma assolutamente integrato e funzionale all’interno di quella che potremmo definire sottocultura. Questo sottosistema è regolato da principi orientati alla violazione delle norme e dei modelli di comportamento “normali” tanto da costituire una sottocultura che restituisce al singolo una sua identità ed un suo ruolo, permettendogli di conseguire obiettivi difficilmente raggiungibili in altro modo.
Una prospettiva che limita la dicotomia psicologia-sociologia si può trovare nelle teorie psicosociali, secondo le quali la devianza corrisponde all’effetto della risposta sociale sul singolo. Non è quindi l’atto in sé deviante, ma lo diventa nel momento in cui quel comportamento non è accettato socialmente. La progressione della risposta istituzionale, crea un apprendimento sociale che può portare l’individuo a condividere un percorso con altri con cui sente avere in comune norme e valori. L’identità deviante quindi non si strutturerebbe semplicemente secondo la teoria dell’etichettamento, ma attraverso un successivo processo di affiliazioneIl quarto modello descrive la devianza come una costruzione sociale operata da chi gestisce il potere e il controllo su classi svantaggiate che hanno più probabilità di essere oggetto di interventi di controllo sociale in quanto vittime di meccanismi di esclusione sociale e di emarginazione. Secondo questo modello interpretativo, l’attenzione va posta sul significato comunicativo dell’azione deviante, più che far riferimento a categorie quali personalità o ambiente socio-familiare.
La prima riguarda il processo di individuazione all’interno della rete familiare attraverso uno smarcarsi da valori di riferimento infantili; pensiamo alle adolescenze prolungate e alla difficoltà di molti giovani a lasciare la casa paterna, in confronto alla spinta a girare il mondo presente nelle generazioni passate.
Un altro aspetto dello sviluppo adolescenziale riguarda le trasformazioni del proprio corpo, la costruzione di una propria immagine non solo fisica ma anche mentale, l’accesso alla sessualità, e quindi la definizione di una propria identità, non sempre supportata da riferimenti culturali e sociali chiari e definiti.
L’ultimo compito riguarda la costruzione di nuovi legami e relazioni affettive. Si esce dal guscio familiare, si costruiscono le prime amicizie, i primi amori, i primi legami, quelli che non si scordano mai, proprio perché rappresentano un debutto.
Nell’affrontare il loro percorso evolutivo gli adolescenti impattano queste aree non sempre in maniera indolore; a volte si rivelano più impegnative del previsto, fonte di disagio, sofferenza, inducono a comportamenti inadeguati o incongrui, a volte esponendo a dei rischi.
Sembra infatti naturale a questa età la tendenza a intraprendere tutta una serie di comportamenti che espongono a rischi a volte anche gravi, come se fosse una parte ineliminabile del processo evolutivo.
In un processo di crescita il rischio è insito ogni qual volta si affronta una esperienza nuova, ci sono delle decisioni da prendere, il fallimento è in agguato, e la posta è alta se si considera che è in gioco l’affermazione di sé stessi.
Quindi è sempre una sfida, con gli adulti, con i genitori, a scuola, con gli amici, con il partner sessuale. Esistono però situazioni dove i comportamenti a rischio sembrano assumere una caratteristica particolare, eccessiva rispetto all’effettivo significato dell’atto. La trasgressione non è più solo un comportamento descrittivo dell’adolescenza, un tratto fase-specifico.
L’uso di sostanze, la sessualità, comportamenti antisociali o propriamente devianti, sembrano essere qualcosa di più che semplici manifestazioni del travaglio adolescenziale; vanno oltre lo sperimentare il proprio coraggio, abilità, sfidare le regole sociali; piuttosto sembrano assumere significati particolari, come l’espressione di un disagio che non trova altre forme condivisibili, o tante volte anche la ricerca di un contenimento esterno.
Esperienze degli ultimi anni evidenziano come una destrutturazione generale, una difficoltà evolutiva, sia un comune denominatore che caratterizza i ragazzi più esposti a vivere situazioni di rischio di comportamenti antisociali.
Tale destrutturazione può essere rappresentata da una vulnerabilità individuale, difficoltà ad accettarsi (i propri sentimenti, il proprio corpo con le sue funzioni, anche espressive) e ad esprimere le proprie emozioni a livello verbale, corporeo, affettivo in modo congruo, dall’intolleranza verso l’attesa e la frustrazione e dal non percepire l’altro come fonte di sostegno, la difficoltà a mantenere un impegno. Contribuiscono a questo quadro situazioni come famiglie problematiche (separati, carenze educative ed affettive) o ambienti sociali deprivati culturalmente o economicamente, atteggiamenti caratterizzati da scarsa autostima, instabilità emotiva, comportamenti provocatori, spesso collegati ad un percorso scolastico marcato da insuccessi, l’uso più o meno saltuario di sostanze stupefacenti.
Questi fattori combinandosi tra loro producono quei comportamenti che più marcatamente evidenziano situazioni di disagio che si manifestano con l’abuso di sostanze stupefacenti o alcolici, abbandoni scolastici, una continua violazione di norme, comportamenti che denotano una incapacità ad assumersi le responsabilità del proprio comportamento.
Il concetto di responsabilità, secondo un modello psicologico, implica la possibilità di assumersi un impegno all’interno di un legame sociale riconosciuto, di prefigurarsi le conseguenze delle proprie azioni, di essere capaci di riparare i danni commessi.
Sembrerebbe quindi che sia l’adolescenza stessa una condizione di rischio, caratterizzata da comportamenti trasgressivi, antisociali, devianti.
E’ importante distinguere allora quando certi comportamenti possono essere considerati specifici dell’adolescenza e quando connotino una più stabile strutturazione deviante.
Per spiegare la devianza minorile si fa riferimento principalmente a quattro gruppi di teorie, quelle psicologiche, sociologiche, psicosociali, e della costruzione sociale.
Tra le teorie psicologiche quella psicoanalitica individua in uno sviluppo evolutivo inadeguato le cause di comportamenti devianti, che si manifesta attraverso un tipo di personalità caratterizzato da incapacità ad interiorizzare delle norme, difficoltà ad instaurare delle relazioni affettive, insufficiente controllo dei propri impulsi, ricerca dell’appagamento immediato dei propri desideri. In termini metapsicologici ci si trova davanti ad un Io inadeguato e onnipotente e un Super-Io incapace di definire limiti. Il versante sistemico-relazionale attribuisce ad un certo tipo di relazioni familiare la genesi della devianza minorile.
Attualmente, pur non riducendo i fenomeni di devianza minorile a semplici sintomi di disturbi psichiatrici adolescenziali, si evidenziano situazioni casi in cui tali comportamenti sono ascrivibili a situazioni psicopatologiche. Fondamentale importanza nello sviluppo adolescenziale è rivestita dal gruppo dei pari, e quindi anche nel caso di comportamenti devianti. Nel gruppo l’adolescente soddisfa bisogni di appartenenza, diluisce la responsabilità dei propri comportamenti, sperimenta autonomie al di fuori della famiglia, scopre nuovi valori. E’ evidente come quindi un tipo di cultura di gruppo possa influenzare alcuni comportamenti piuttosto che altri, e come questa cultura sia il risultato dell’apporto di tutti i membri, che più o meno consapevolmente contribuiscono al suo mantenimento.
Il punto di vista sociologico ci mostra un panorama dove il comportamento è deviante rispetto ad un sistema di valori e norme riconosciute “normalmente”, ma assolutamente integrato e funzionale all’interno di quella che potremmo definire sottocultura. Questo sottosistema è regolato da principi orientati alla violazione delle norme e dei modelli di comportamento “normali” tanto da costituire una sottocultura che restituisce al singolo una sua identità ed un suo ruolo, permettendogli di conseguire obiettivi difficilmente raggiungibili in altro modo.
Una prospettiva che limita la dicotomia psicologia-sociologia si può trovare nelle teorie psicosociali, secondo le quali la devianza corrisponde all’effetto della risposta sociale sul singolo. Non è quindi l’atto in sé deviante, ma lo diventa nel momento in cui quel comportamento non è accettato socialmente. La progressione della risposta istituzionale, crea un apprendimento sociale che può portare l’individuo a condividere un percorso con altri con cui sente avere in comune norme e valori. L’identità deviante quindi non si strutturerebbe semplicemente secondo la teoria dell’etichettamento, ma attraverso un successivo processo di affiliazioneIl quarto modello descrive la devianza come una costruzione sociale operata da chi gestisce il potere e il controllo su classi svantaggiate che hanno più probabilità di essere oggetto di interventi di controllo sociale in quanto vittime di meccanismi di esclusione sociale e di emarginazione. Secondo questo modello interpretativo, l’attenzione va posta sul significato comunicativo dell’azione deviante, più che far riferimento a categorie quali personalità o ambiente socio-familiare.