Toglievano alle madri i cuccioli di poche settimane, li mettevano in gabbie senza acqua venduti all estero


MILANO 23 marzo 2011 Toglievano alle madri i cuccioli di poche settimane, li mettevano in gabbie senza acqua per trasportarli dall'est Europa a Milano e a Torino e li imbottivano di medicine per nascondere le malattie di cui soffrivano. Il tutto per rimetterli sul mercato come se fossero cani o gatti italiani e rivenderli a caro prezzo a persone ignare del rischio che i loro animali potessero addirittura avere la rabbia. Queste le accuse contestate a nove persone - tra allevatori, rivenditori e veterinari - che secondo il pubblico ministero Nicola Balice avrebbero messo in piedi una vera e propria associazione per delinquere. Tra loro ci sono i proprietari, marito e moglie, di un negozio per animali di via Padova. Per tutti è stata firmata ora la richiesta di rinvio a giudizio. In base a quanto ricostruito dagli inquirenti, gli indagati importavano dalla Repubblica slovacca cuccioli di cane, ma anche gatti, munendosi di passaporti per animali compilati con dati falsi relativamente alla data di nascita degli animali, all'esecuzione delle vaccinazioni obbligatorie per la prevenzione della rabbia e alle condizioni di salute. Il tutto per lucrare sui prezzi differenti del mercato italiano rispetto a quello dell'est europeo e creando un «potenziale pericolo per la salute pubblica», si legge nei capi di imputazione, perché talvolta i cuccioli non erano stati sottoposti all'obbligatoria vaccinazione contro la rabbia. L'organizzazione si sarebbe avvalsa dei servigi di due veterinari. Il primo avrebbe iscritto in modo illegale i cuccioli all'anagrafe canina lombarda, omettendo di rilevare la loro effettiva età e le eventuali patologie di cui soffrivano; avrebbe somministrato il vaccino contro la rabbia pochi giorni dopo l'importazione, senza sapere se fossero già stati vaccinati come prevede la legge; e avrebbe consegnato senza prescrizione ai negozianti medicinali a uso umano e animale perché camuffassero le malattie dei cuccioli. Il secondo, oltre ai farmaci, avrebbe affidato a un allevatore torinese i microchip per l'identificazione dei cuccioli e formato libretti di vaccinazione con il suo timbro e la sua firma in bianco. L’ accusa, per tutti gli indagati, senza differenze, è di aver sottoposto «un numero imprecisato ma tuttavia rilevante di animali a sevizie e fatiche insopportabili», tra l'altro «sottoponendoli a trattamenti vaccinali ripetuti e somministrando medicinali al solo scopo di ritardare la scoperta di patologie in atto».

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